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Mamma, sei felice?

Ultimamente mio figlio ha preso l’abitudine di pormi quotidianamente questa domanda. Mi trovo sempre in difficoltà a rispondergli.

Sono una persona che prova disagio persino quando incontra un vicino di casa, un conoscente per strada, e si sente chiedere: “Come stai?”

So che è una domanda retorica, detta a mo’ di saluto, posta senza nessun reale interesse verso la risposta dell’altro, eppure faccio sempre un’immensa fatica a rispondere “bene” (che è l’unica risposta socialmente accettata) e, quando lo faccio, non ho un tono molto convinto.
Sto bene? Non lo so. Come faccio a saperlo? Chi mi può dare questa certezza?

E, quando mio figlio mi chiede se sono felice, con quei suoi occhioni grandi che mi fissano e sembrano riuscire a vedermi dentro, io non so bene cosa dire.

Non so esattamente cosa significhi essere “felice”.

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Cosa fai per vivere?

Quando fai conoscenza con qualcuno, una delle prime domande che inevitabilmente ti viene posta è: “Cosa fai per vivere?”

Mi trovo sempre a disagio nel rispondere.
Chi mi conosce bene sa che non amo stare ferma, e che un giorno sì e uno pure mi invento un nuovo obiettivo da raggiungere, una nuova sfida da affrontare. Non tutto mi riesce bene, certo, ma ci metto sempre il cuore, in ogni cosa che faccio.

Quando una persona mi pone quella domanda, però, so bene che quello che intende veramente è sapere quale sia il mio lavoro. Non vuole conoscere i miei sogni, le mie aspirazioni, i miei mille progetti…

E così, con un sorriso tirato, mi ritrovo a rispondere che sono impiegata in una grande azienda. Lavoro in un ufficio. Che è l’unica attività, tra tutte quelle che riempiono la mia giornata, a darmi uno stipendio… E che è pure quella che meno mi rappresenta!

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La mia estate

Non amo le letture estive, mi piace l’abbronzatura ma trovo insopportabile restare immobile sotto il sole per ore ed ore (e poi, con un 4enne al seguito sarebbe impossibile!).
Odio i discorsi da ombrellone, anche perché sentire della gente pontificare sull’immigrazione e sparare a zero su dei poveri cristi mentre si spalmano la crema solare o sorseggiano una birretta fresca, e magari sbagliando pure i congiuntivi, mi sembra alquanto patetico.

Non ho mai conosciuto l’estate che molti di voi hanno vissuto durante l’adolescenza. I pettegolezzi sotto l’ombrellone con le amichette del mare, le passeggiate sul lungomare alla sera e le notti spese nei locali a ballare, gli amori estivi, gli addii… Fare mille promesse con le lacrime agli occhi, sapendo che non verranno mantenute. Non so cosa sia, tutto questo.

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SINDROME POST – PMA (Storia di un’infertilità)

Non mi sento una normale donna “in attesa”.

Non mi piace parlare della mia gravidanza o di tipiche questioni da donna incinta – dolori alla schiena, abiti prémaman, corsi di aquagym (nonostante abbia un gran mal di schiena, adori comprare abiti prémaman e abbia intenzione di iscrivermi in piscina).

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Dall’altra parte

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Sedici settimane e un giorno. Questo è il tempo finora trascorso dall’inizio della mia gravidanza.
Ogni giorno mi sento più… Incinta.
Il tempo passa, tutto sembra andare per il meglio, e la mia ansia si è un pochino placata. O, almeno, è questo che mi ripeto sempre. In realtà, è nella mia natura essere ansiosa, e difficilmente potrò cambiare.

Ogni giorno mi sento più… Normale. Come una qualsiasi altra donna con il pancione. O quasi.

La mia, però, non è una gravidanza normale. Non la può essere, per ovvi motivi.

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Il primo traguardo

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Un bel selfie al pancino!

Tredici + uno.
Oggi termina ufficialmente il primo trimestre, almeno stando a quanto dicono le tabelle trovate su internet che ho consultato per capire la corrispondenza tra settimane e mesi di gravidanza. Tabelle che, con mio grande disappunto, Marito continua a non comprendere!
Insomma, manco io capisco perché in gravidanza un trimestre debba durare più di dodici settimane, ma, se così è, facciamocene una ragione.

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E oggi è un po’ anche la mia festa

Buona festa della Mamma
alle donne che hanno partorito con dolore
a quelle che hanno trovato un figlio in un luogo lontano
alle mamme di pancia e a quelle di cuore.
Auguri a coloro che ancora madri non sono
ma inseguono questo sogno con tutte le loro forze
tra assistenti sociali e aule di tribunale
tra medici e provette
o semplicemente in un caldo letto…
Auguri alle future mamme
soprattutto a quelle che hanno imparato
cosa vuol dire la parola “attesa”
e ne hanno vissuta una ben poco dolce
prima di crescere in grembo
il frutto dell’amore.
Un augurio alle donne
che hanno perso un figlio
affinché la felicità bussi ancora
alla loro porta, questa volta senza ingannarle.
Auguri a tutte le donne
che semplicemente sognano
di diventare un giorno madre…
(Tranne a quella della pubblicità Desigual
e a quelle come lei!).

Avrei tante cose da dire, che non so da dove iniziare. La gioia, la speranza, l’ansia e la paura riempiono il mio cuore tanto che a volte mi sembra di non riuscire a respirare.
A volte ancora tutto questo non mi sembra vero.
Ogni volta che mi trovo uno specchio davanti mi fermo, mi guardo, mi accarezzo la pancia.
Già, la pancia.
La pancia cresce, anche se non al ritmo che vorrei. Che ci posso fare, sono un tipo impaziente!
Sono alla fine del terzo mese e perciò ancora non è un gran pancione, per me si nota palesemente, e non si tratta di allucinazioni perché non mi entra praticamente più nulla del mio guardaroba!
Le persone che mi conoscono, però, tranne quelle che “sanno”, non mi hanno ancora chiesto niente… Sono in quella fase in cui la mia pancia può anche essere confusa per un accumulo di grasso… E, in effetti, pormi la domanda “ma sei incinta?” potrebbe essere ad alto rischio figuradicacca
Considerando anche che dove lavoro le chiacchiere si diffondono in mezza giornata, immagino che siano in molti a sapere delle mie difficoltà a diventare madre, perciò suppongo che sia anche per questo motivo che nessuno si azzarda a pormi LA DOMANDA.
Uffa, per una volta nella vita che vorrei domande a go-go la gente si fa i cavoli suoi…!

E’ maggio ed è la prima volta che non mi preoccupo per la prova costume, anzi, mi auguro che per agosto, mese in cui ho preso ferie, avrò un bel pancione di cui vantarmi e da coccolare al sole.
Negli ultimi anni la Festa della Mamma, insieme al Natale, è stata una delle ricorrenze che mi ha fatto più soffrire.
Quest’anno, per la prima volta, ho ricevuto gli auguri… Beh, a dire il vero nessuno, a parte Marito (su suggerimento di Suocera) mi ha fatto gli auguri, ma va bene così. Non sono gli auguri la cosa importante. Gli unici auguri che contano sono quelli di Sesamino, che per ora, però, non può farmeli.
Ma Sesamino c’è, ed è questo l’importante.
C’è, e io sono una mamma. Una Futura Mamma, se preferite, ma non più una Cercatrice. E questa festa è un po’ anche mia.

Lunedì ho fatto l’ennesima eco, ormai ho perso il conto. La ginecologa mi compatisce, ma penso che si prenda i miei soldi volentieri, e visto che io sono ben felice di investire lo stipendio per calmare la mia ansia, posso dire che siamo tutti soddisfatti.

Sesamino sta bene, cresce alla velocità della luce, le sue dimensioni (quasi 4 cm, ma ormai sarà diventato ancora più grande), sono perfettamente in linea con la settimana in cui mi trovo.

Ogni volta che lo vedo mi meraviglio nel constatare quanto sia cresciuto… Lui è qui, nel mio grembo, si nutre, si sviluppa, vive, cresce! E’ un miracolo, è un bellissimo miracolo.
Lunedì ci ha fatto una bella sorpresa… Mentre la ginecologa faceva l’eco, Sesamino ha iniziato a muoversi… Muoveva le braccia e le gambe come un indemoniato! E’ stato un momento meraviglioso… Era la prima volta che lo vedevamo muoversi! (Secondo me l’abbiamo svegliato e quello era il suo modo per lamentarsi ih ih).

La ginecologa vorrebbe che tornassi da lei a metà giugno, dopo aver fatto altre analisi del sangue (me le fa fare ogni trenta giorni). Io sono scoppiata a ridere. Come potrei stare per un mese e mezzo senza vedere Sesamino?!
Domani chiamerò la segretaria per prendere appuntamento per la fine della tredicesima settimana. Cioè tra due settimane, o poco meno. Io faccio sempre di testa mia. E faccio bene.

Le Tremende Dodici Settimane stanno per finire. Finiranno esattamente venerdì prossimo. Il rischio di aborto si abbasserà notevolmente, finalmente potremo rilassarci (qualcuno ci crede davvero?), e finalmente Marito mi accompagnerà a comprare qualche abito pre-maman (finora non ha voluto per scaramanzia…) e potrò andare in giro vestita decentemente.

La prossima settimana dovrei ricevere i risultati dell’esame prenatale, e pregando Dio non ci saranno brutte notizie, io spero vivamente che l’unica informazione che attirerà la nostra attenzione sarà il sesso.
Perciò rimanete sintonizzate, tra pochi giorni potremo dare un vero nome a Sesamino!

Il mio sesto senso mi dice che è un maschietto ma, sinceramente, non ho alcuna preferenza, e anche se l’avessi dopo tutto quello che abbiamo passato non penso che oserei mai mettermi a fare discorsi idioti come questo.
Qualcuno ogni tanto mi chiede se vorrei un maschietto o una femminuccia, ogni volta che mi sento porre questa domanda guardo il mio interlocutore con compatimento e non rispondo…

C’è chi dice che devo stare calma, che ora sono una donna incinta come tutte le altre… No, non è vero, non è così. Fisicamente, forse, sì, ma non nell’animo. Io sono consapevole del miracolo che sta accadendo dentro di me. Ne sono consapevole perché ho dovuto lottare, e piangere, e sudare per realizzarlo. Ne sono consapevole e ne sono grata.
E non importa se sarà Roberto o Ginevra, l’importante è che sia sano/a e che io riesca ad essere una buona mamma per dargli/le una vita serena e degna di essere vissuta.

Tutto il resto sono chiacchiere che lascio volentieri a chi ha concepito senza manco volerlo, e che infine dice “ma sì, dai… Lo tengo.”

A presto!

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“Dolce” attesa?

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La prima foto del mio bimbo!

Sono sempre stata più brava a scrivere, piuttosto che a parlare.
Datemi un foglio di carta e una penna (o un documento di Word e una tastiera) e io vi aprirò il mio cuore.
Se pretendete che lo faccia muovendo le labbra e articolando suoni con la voce formando delle frasi di senso compiuto, invece, difficilmente otterrete un risultato.

Questo giorno, invece, è l’eccezione che conferma la regola.
Eh già, perché oggi non mi sento in grado neppure di scrivere.

Sono giorni che ci penso. A cosa scrivere sul blog. Beh, in realtà non proprio giorni. Diciamo che ho avuto altro a cui pensare. Però, sì, ci tenevo che questo post fosse profondo, poetico, memorabile…
Ci tenevo, ma temo che non sarà così, perché non trovo le parole adatte.

Forse ancora non è stato inventato l’aggettivo adatto per descrivere ciò che si prova vedendo per la prima volta il proprio bambino. E il suo cuore che batte.
Dentro di te.
Vedere, sapere che c’è – finalmente – una vita, in un luogo che per tanto tempo hai odiato, in un luogo che temevi sarebbe rimasto per sempre vuoto.
E che, ora, non lo è più.

A volte mi sembra che tutto sia accaduto improvvisamente. E mi sento una stupida a pensarlo, dato che sono quattro anni che rincorro questo sogno.
Ho avuto tanto tempo per pensare, per abituarmi a questa sensazione.
E invece no, non è stato così. Perché nel dolore è difficile pensare che forse potresti raggiungere la felicità. E’ difficile immaginare la felicità.

Sapete, ho sempre ingenuamente creduto che, quando finalmente ce l’avrei fatta, quando finalmente sarei rimasta incinta, avrei provato quell’immensa gioia da sempre sognata. Immaginavo che il test di gravidanza positivo mi avrebbe fatto fare i salti di gioia, e che da quel momento sarebbe stato tutto facile.

Niente di più sbagliato.

Non è stato così.
Non può essere così per una donna che ha vissuto la PMA.
Ogni piccolo successo è un passo in avanti, un passo verso la felicità, ma non puoi mai cantare vittoria. Non puoi mai sentirti pienamente felice, perché la gioia è sempre minata dalla paura.

Il test, poi le beta, le ecografie, le tremende prime dodici settimane, poi gli esami pre-natale…

Giovedì 3 aprile ho fatto la prima ecografia al San Paolo di Milano. Non si è visto nulla a parte la camera gestazionale e il sacco vitellino, delle dimensioni in linea con la settimana in cui mi trovavo. Mi è dispiaciuto non vedere l’embrione, ma sapevo che c’era questa possibilità. La dottoressa mi ha detto di tornare due settimane più tardi, ma io non ho saputo resistere e ho prenotato un appuntamento presso la mia ginecologa di fiducia esattamente una settimana dopo, il 10 aprile.
Certo, c’era ancora il rischio che l’embrione non si vedesse, ma ho voluto fidarmi del mio intuito e rischiare.

E infatti… L’embrione era lì, 6,6 mm di pura bellezza. Sull’ecografo sembrava enorme, se consideriamo che solo sette giorni prima neppure si vedeva!
E poi… Il cuoricino. Io all’inizio facevo fatica a vederlo, mi sembrava tutto una chiazza indistinta (sono anche un po’ miope, lo ammetto), ma poi sono riuscita a distinguere il movimento…
Avrei voluto sentirlo, ma secondo la ginecologa è pericoloso ascoltarlo prima del secondo trimestre, perciò per questo dovrò aspettare ancora un po’.
A me per ora importa solo che il mio bimbo ci sia, e che stia bene. E che il suo cuora batta e che continui a battere per almeno i prossimi cento anni.

No, non ho pianto. Era tutto troppo strano. Dentro la mia testa c’era una vocina che diceva: “Ma davvero tutto questo sta accadendo a me? Davvero c’è una vita, un cuore che batte, dentro di me? Nel mio grembo?”

La risposta è .
Ma è ancora così difficile crederci!

La prossima ecografia è fissata tra un mese. Non posso credere di dover aspettare tanto per rivedere il mio bimbo.
Come farò a sopportare l’attesa?

Io e Marito non siamo molto bravi ad aspettare. E non siamo persone propriamente… Tranquille. Marito è ipocondriaco; un giorno sì e l’altro pure pensa di stare per avere un infarto, e ogni sera viene punto da strani insetti esotici che dubito si trovino nella pianura Padana.
Io sono quella che “se qualcosa può andare male, andrà sicuramente male”.
Insomma, proprio una bella coppia.

Ci stavamo chiedendo se esiste un modo per accorciare i tempi della gravidanza.
Dai, pensateci. Nove mesi sono un po’ troppi. Quando la ginecologa ci ha annunciato la data presunta del parto, 28 novembre 2014, per poco non ci sentivamo male.
Beh, io in realtà l’avevo già calcolata, ma sentirla dire a voce alta… Mi ha fatto venire i brividi.
Credo che un paio di settimane, o al massimo un paio di mesi, siano un tempo più che accettabile per una gravidanza. Certo, capisco che, essendo stato Dio a creare l’essere umano e il suo funzionamento, ci sia ben poco da reclamare, ma…
Sappiamo tutti che ci sono tante cose in questo mondo che non funzionano, per le quali piangiamo e chiediamo a Dio “Perché?”
Chissà, magari un giorno Lui ci permetterà di porgli tutti questi quesiti.

Ecco, in fondo alla lista delle domande, dopo aver domandato al Cielo il perché dei bambini che nascono malati, che muoiono di fame, che vengono abbandonati, il motivo delle guerre, della povertà, e di tutte le tragedie che accadono in questo mondo… Potremmo anche chiedere al Signore perché abbia deciso di rendere la gravidanza così lunga e terrificante. No?

Purtroppo, questi non sono stati giorni tranquilli. Non a causa della gravidanza, anzi sì, ma non direttamente, ho vissuto giorni pieni di rabbia. Rabbia che ho il terrore possa aver fatto male al mio bimbo. Rabbia di cui non ho voglia di parlare, ora, per non rovinare questo post.
Ho insistito con Marito per andare a fare un’ecografia questa settimana, magari al Pronto Soccorso, ma non ne vuole sapere. Forse ha ragione. In fondo non sto male.
Non ho dolori alla pancia, né perdite, le tette sono stra-gonfie come sempre e mi è pure iniziata la nausea.
Però.
Io voglio sapere cosa sta accadendo dentro di me. A detta della ginecologa l’ottava settimana, ovvero quella in cui mi trovo ora, è una delle più difficili, perché statisticamente è quella in cui avviene il maggior numero di aborti spontanei.
Grazie per avermelo detto, eh!
No, no, ora non sono per nulla in ansia! Vivrò una settimana proprio tranquilla!

Il mio compleanno cade a fine giugno. Di solito comincio a pensare al regalo che vorrei (sì, sono venale, materialista, quello che volete) verso fine aprile/inizio maggio. Insomma, in tempo per lanciare a Marito i giusti segnali, sperando che intuisca i miei desideri; tanto, anche se non li dovesse capire, non avrei particolari problemi ad esprimerli chiaramente.
Quest’anno ho già deciso cosa vorrei per il mio compleanno.
E, dato che Marito ha preso l’abitudine di leggere il mio blog, suppongo che presto lo scoprirà anche lui, senza bisogno che gli invii dei segnali.
Vorrei in regalo un ecografo.
Non sto scherzando.
Ho già guardato i prezzi su internet. Ne ho trovato uno portatile a 600 euro e rotti. Dato che quest’estate mi auguro di non andare in vacanza, potremmo anche spenderli questi soldini.

Tanto, cosa ci vuole a fare un’ecografia?
Se avessi un ecografo in casa, potrei vedere il mio bimbo ogni volta che voglio. Osservare il suo battito e tranquillizzarmi.
(Gente, sto scherzando. Lo preciso perché c’è chi ha creduto che parlassi sul serio. Devo sembrare proprio matta.)

Questa attesa, di “dolce”, ha veramente ben poco, almeno finora!
Chi l’ha soprannominata in questo modo, “dolce attesa”, evidentemente non ha mai sperimentato la PMA.

Per una mamma da provetta non solo il concepimento è un vero e proprio percorso ad ostacoli, che può ottenere solo grazie a mille iniezioni e dolori anziché ad una sana notte di sesso col proprio uomo, ma manco la felicità si può godere pienamente!

A metà maggio, tra un mesetto, questi terribili tre mesi finiranno. Allora tirerò un grande sospiro di sollievo. Sì, le tragedie possono accadere anche dopo il terzo mese, ma preferirei non pensarci. Io sono fissata con le statistiche, ed esse dicono che dopo i tre mesi le percentuali di aborto spontaneo diminuiscono drasticamente.

A metà maggio si festeggia. Punto e basta. Sarà così. Deve essere così.

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Il tempo della felicità (11° giorno pt)

Come vedete, sto continuando a contare i giorni post transfer. Il centro PMA, che Marito ha voluto contattare a tutti i costi per sapere se le mie beta vanno bene, ha detto che non avrei dovuto fare le analisi in anticipo. E che sì, i valori vanno bene, ma devo comunque ripetere le analisi lunedì prossimo, 14 pt, come stabilito. Perciò, devo ritenermi ancora nella fase post transfer… Anche se io e la mia impazienza abbiamo voluto mettere la parola “fine” a questa attesa straziante.
In un modo o nell’altro, io volevo farla finita. Volevo sapere.
Quindi in realtà io, ora, non appartengo più allo straziante limbo, fatto di attesa, noie e paure, del post transfer.

Appartengo ad un altro limbo, adesso. Se possibile, ancora più difficile del precedente.

Il limbo di chi ce l’ha fatta. Per il momento.
Il limbo di chi sa che potrebbe perdere tutto da un momento all’altro. E perdere la felicità, dopo aver creduto d’averla afferrata, è forse una sensazione ancora più terrificante del fallimento.

Sono incinta.

Non sono ancora riuscita a dirlo a voce alta.

E anche a scriverlo faccio fatica. Mi sembra così… Strano.

Sono incinta.

Le due parole più belle che abbia mai scritto.

Le parole più terribili per chi ha la consapevolezza di quanto siano fragili.
Sono parole che rappresentano una bellissima verità. Che potrebbe morire da un momento all’altro, come un castello di carte che hai impiegato anni a costruire, con pazienza e dedizione, e che poi viene annientato da un soffio di vento.

Sono incinta.

Le beta di oggi l’hanno confermato. 247,63.
Il valore è triplicato rispetto a due giorni fa. Quando la segretaria me l’ha comunicato al telefono (naturalmente, come l’altro giorno, le ho chiesto conferma un paio di volte), pensavo di svenire.

Non sono sicura che tutto questo stia accadendo veramente a me.

E ho paura.
Vorrei potermi godere semplicemente la felicità, ma… Non riesco. Non posso.
Da quando ho iniziato il percorso della PMA ho sempre pensato che, se un giorno avessi visto il test di gravidanza positivo e un bel valore delle beta, sarei stata felice. Finalmente serena. Che, da quel momento in avanti, tutto sarebbe stato bello, facile.

Non è così.

Se fossi una donna “normale”, probabilmente sarebbe così. Le donne “normali” festeggiano non appena vedono il test di gravidanza positivo. Spesso ignorano persino cosa siano le nostre amate/odiate beta. Certo, magari aspettano il terzo mese di gravidanza prima di annunciare la lieta notizia. Per sicurezza, o per scaramanzia. Ma, a meno di problemi particolari, se tutto sembra filare liscio, di certo non stanno a pensare all’embrione che sta crescendo dentro di loro ogni istante della loro giornata. Sanno che c’è, sanno di essere incinta, bene, stop.

Per noi donne PMA , donne miracolate, donne sofferenti, non è così. Ci avete mai pensato?

Io ci ho pensato per la prima volta in questi giorni. Ho pensato alla paura che si nasconde dietro la felicità. Sto vivendo questa paura.

Ci penso soprattutto per quello che è successo alla mia omonima amica, che si trova dall’altra parte dell’oceano. Mi sono sentita morire leggendo ciò che le è accaduto. Nessuno si merita un dolore del genere, uno scherzo così terribile da parte del destino.

La felicità, questa felicità, è così fragile…

Io non sono abituata alla felicità. La paura, la solitudine, la rabbia, quelle sì, le conosco bene.
Non che sia bravissima a gestire queste emozioni. Ma le conosco. La felicità… Mi fa paura.  E una felicità così fragile, ancora di più.

L’altro giorno, quando ho fatto il test di gravidanza, ero convinta che sarebbe stato negativo.

E invece.

Ero già pronta ad affrontare il fallimento.

Ma poi…

Questa felicità, io non posso fare nulla per tenermela stretta. E’ il mio corpo a dettare le regole, a stabilire come sarà il mio futuro, ma io sul mio corpo non ho alcun controllo.

Noi donne PMA non possiamo goderci la felicità finché non si materializza tra le nostre mani. Siamo destinate a vivere le nostre gravidanze nella perenne paura che accada qualcosa. Le prime settimane, poi, sono le peggiori. Questo monitoraggio delle beta è sfiancante. E pensate che finora ho fatto solo due prelievi!

E poi ci sarà la prima ecografia, quella per sentire il battito del bambino. Oggi leggevo che la prima eco si fa tra la sesta e l’ottava settimana. Io non sono sicura di riuscire a pazientare tutto questo tempo… La paura mi divorerà!

Non so niente di gravidanza. So tutto di PMA, di concepimento, di giorni fertili, di ovaie e liquido seminale, ma… Di gravidanza, non so niente. Non so riconoscere i segnali del mio corpo. Non so se me ne renderei conto subito, se qualcosa non andasse bene.

Non so nulla.

So solo che sono felice, e che ho paura. Al tempo stesso. E’ una sensazione strana.

Proprio come quella frase… Sono incinta. Così strana, assurda quasi, che non riesco neppure a dirla.

Mi chiedo quando arriverà il tempo della felicità. La felicità pura, senza macchie, senza se e senza ma.

Non lo so.
Intanto, però, mi godo questa fragile felicità, che è già molto più di quanto non avessi sperato di ottenere.

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Three is a magic number (la stimolazione della felicità)

uovaLe mie uova

Sono giorni strani, questi. Non belli, non brutti, ma solo… Strani.
I giorni in cui imparo a riconoscere i veri amici. Sono quelli che mi chiedono come sto, quelli che mi ascoltano fingendo interesse quando inizio a parlare di ovociti, provette, spermatozoi… Sono quelli che mi sopportano anche se sono insopportabile, perché sanno che, se mi sono trasformata in una iena (poco) ridens, è solo per colpa di un mix letale di ormoni, tensione e speranza.

Sono i giorni in cui ogni sera condivido un momento romanticomico con Marito, quando ci chiudiamo in una stanza non perché presi da un momento di irrefrenabile passione, ma per scoprirmi la pancia e lasciare che mi faccia una bella iniziezione di follitropina alfa…
Chi non ha vissuto sulla propria pelle la PMA non ha idea di quanto sia importante questo momento. Di quanto amore e speranza ci possano essere in un’iniezione sottocutanea.
Sono i giorni in cui ho scoperto di fidarmi di più della mano insicura e gentile di Marito che tiene una siringa come se fosse un oggetto strano e spaventoso, piuttosto di quella ferma e sicura di un medico.

La Chiesa è contraria alla fecondazione assistita perché dice che uomo e donna devono procreare con amore, unendo i propri corpi, e non ovociti e spermatozoi in una sterile provetta… Io dico che c’è molto più amore tra due persone che cercano un figlio così disperatamente, che non in un uomo e una donna che mettono al mondo un figlio dopo una sveltina, o per ricucire un rapporto ormai morto, o per chissà quale altro, stupido, motivo…

Questi sono i giorni dell’illusione, della speranza. I giorni in cui un attimo tutto sembra possibile, e quello successivo penso che tutto andrà male. Ma poi ricordo che ancora nulla è stato deciso. Che posso ancora sperare, sognare. E sognare è bellissimo.

Sono i giorni in cui a volte mi sfioro la pancia, come se sotto tutti questi strati di ciccia (ciccia non causata solo dagli ormoni) ci fosse già qualcosa… Un piccolo cuore pulsante… Una vita.
I giorni in cui mi vergogno anche solo a pensarlo, di poter essere presto madre. Ché l’idea mi sembra assurda. Ma neanche tanto, in fondo.

Sono i giorni in cui sono costretta a discutere le ferie con i colleghi, e ci rimango male quando mi chiedono se ho intenzione di prendere dei giorni sotto Natale… Perché io, a Natale, spero di avere la mente ben lontana dalle noiose pratiche d’ufficio, e di essere a casa a coccolare il mio cucciolo.

Sono i giorni in cui vorrei che il mondo mi ritenesse già madre, come un po’ faccio io, anche se so che non ha senso. Se non per me.

Questi sono i giorni della stimolazione della speranza, come li chiamo io. Un termine un po’ più romantico di stimolazione ovarica, che dite?

Questi sono giorni frenetici, in cui c’è poco tempo per fermarsi a pensare ma, quando ci riesco, i pensieri belli e quelli brutti si sovrappongono, facendomi impazzire.

Lunedì scorso ho iniziato la terapia con il mio solito, amato-odiato Gonal F, 75 unità, poi 100, e da ieri 125. Lunedì ho fatto la prima iniziezione di Cetrotide, oggi la seconda. L’ago è molto più grosso rispetto a quello che uso per il Gonal. Domani dovrò fare la terza iniezione, ho già paura.
Un giorno sì e uno no devo alzarmi alle 5.30 per andare a Milano a fare i monitoraggi. Sono stanca morta, dato che il viaggio in macchina dura molto più della visita e che, una volta rientrata a casa, dopo essermi data una sistemata (= ripulirmi per togliere il gel laggiù), devo correre al lavoro, per fare in modo di usare il minor numero di ore di permesso possibile.

Ma affronto volentieri tutto questo, se servirà a portarmi da lui.

Ieri, dopo l’ecografia, ho scoperto il mio numero.
Come, quale numero? Il numero della speranza. Il numero magico. Insomma, il numero di follicoli ormai pronti. Sono tre.

Tre, il numero perfetto.
Tre, come la Trinità.
Tre, come il numero di bimbi che vorrei avere.
Tre, come 3Juno, l’asteroide battezzato così in onore alla dea Giunone, divinità del matrimonio, del parto e protettrice degli animali.
Tre, che nella Smorfia è il numero della gatta.

Ho cercato tanti motivi per amare questo numero (e Wikipedia mi ha dato una mano), per convincermi che sia un numero fortunato, ma…
Quando la dottoressa mi ha detto che ho tre follicoli, mi sono sentita morire.

In realtà i follicoli sarebbero molti di più, ma quelli che raggiungeranno le dimensioni giuste per il pick up sono, appunto, soltanto tre.

Tre follicoli. E inoltre bisogna tener conto che in ogni follicolo ci può essere al massimo un ovocita, ma anche nessuno. Si saprà solo al pick up. Considerando che gli spermini di Marito fanno schifo e che la fecondazione non è mai del 100%… Se riusciamo ad ottenere uno/due embrioni siamo già fortunati.

E io che speravo di poter affrontare questo tentativo con più tranquillità. Di riuscire a produrre tanti embrioni, magari di congelarne qualcuno… Così, nel caso in cui fosse andata male di nuovo, avrei potuto riprovare subito con un bel criotransfer…

La dottoressa non capisce la mia agitazione, secondo lei va tutto bene. Per me tre follicoli in una donna di 27 anni è un risultato pessimo.

Ma ormai non posso far altro che sopportare l’attesa. Non è facile.

Domani la dottoressa mi darà la conferma, ma il pick up dovrebbe essere questo venerdì. E, quindi, il transfer il lunedì successivo. Considerando che il centro PMA chiude di sabato e domenica, non potrò neppure chiamare per chiedere se si sono formati degli embrioni oppure no. Vivrò un week end da incubo.

Lo so, mi sto fasciando la testa prima di essermela rotta. Ma io sono fatta così.
Lo so, devo essere ottimista, e bla bla bla.

La mia preoccupazione ha spinto Marito a mettersi alla ricerca di informazioni su internet… E così anche lui è entrato nel vortice di AlFemmile, CUB, e chi più ne ha più ne metta…
Ma questo merita un post a parte. Ecco, solo immaginare Marito che legge i post di donne invasate sui forum mi fa sorridere 🙂

Restate sintonizzate, suppongo che avrò molto di cui parlare nei prossimi giorni 😉