Pubblicato in: La mia storia

Voglio godermi il dolore

Ho tante cose da scrivere. Ultimamente non sto aggiornando molto il blog, sia perché non sento più come un tempo il bisogno di sfogarmi, sia perché sono molto impegnata con il lavoro e con il percorso dell’adozione. E poi è scoppiato all’improvviso un gran caldo che mi impedisce di concentrarmi come vorrei!

Spero di trovare nei prossimi giorni il tempo di scrivere, perché ho tante cose da raccontare. Non ho bisogno di sfogarmi come un tempo, ma di condividere e confrontarmi, quello sì, sempre. Anche se a volte le critiche e i consigli che ricevo da chi legge la mia storia mi fanno stare male, ritengo che sia utile ascoltare punti di vista diversi dai propri, anche perché questo mi permette di pormi delle domande che altrimenti, magari, non mi verrebbero mai in mente.

Ho realizzato che, quando sei talmente concentrato (ossessionato?) su qualcosa – nel mio caso, fino a poco tempo fa, nella ricerca di un pancione – oltre a dimenticarti di vivere, non riesci a vedere tutte le possibilità che la vita ha da offrirti.

Quando ti trovi nel bel mezzo della tempesta della sofferenza, e non sai se il cielo tornerà mai sereno, è difficile recuperare forza e speranza dentro di sé.
Una volta che la tempesta è passata (ma non possiamo sapere se questo mai accadrà), non importa quanto è durata, è facile guardarsi indietro e darsi degli stupidi per aver sprecato tante lacrime, per essere stati tanto male… Una volta che si trova la felicità, se mai si trova, tutto il dolore patito diventa solo un brutto ricordo, una cicatrice che non fa più male. Se. Questa è la parolina magica.
Mentre per anni, per decenni, piangiamo, soffriamo, combattiamo, ci facciamo inserire siringhe in ogni dove, ci imbottiamo di medicine, viviamo pensando alla provetta, o risparmiamo soldi per andare all’estero a sottoporci alla fecondazione eterologa, o litighiamo con i servizi sociali e sopportiamo la burocrazia dei tribunali…
Insomma, mentre cerchiamo disperatamente di diventare madri – perché qualcuno ha deciso che per noi non dovesse essere così semplice – non possiamo sapere se riusciremo mai a stringere tra le braccia il frutto del nostro amore, della nostra pazienza – se è un figlio di pancia o di cuore poco importa.

E credo che sia il senso di impotenza, l’incertezza del futuro, più che l’attesa, a divorare il nostro animo, a rubarci il sorriso. Se sapessimo con assoluta sicurezza che diventeremo madri, anche se tra tanto tempo, penso che sapremmo sopportare l’attesa con molta più serenità.

E il desiderio, l’obiettivo, quando diventa ossessione, ci impedisce di vedere… Tutto il resto. Non solo tutte le gioie che la vita ci può offrire, a parte la realizzazione del nostro desiderio più grande, ma anche altre strade, altri modi, altri mondi, attraverso i quali raggiungere la felicità a cui ambiamo.

A volte ci concentriamo talmente tanto su un unico percorso – nel mio caso, la ricerca del pancione e di un figlio biologico – da non vedere tutto il resto. Le altre possibilità.

Da quando mi sono liberata dall’ossessione per il pancione mi sento più leggera. Ho pensato molto ultimamente, mi sono informata, ho letto tante esperienze di coppie infertili, come noi, e ho scoperto un mondo nuovo.
Non solo il mondo dell’adozione, ma anche tante altre strade, che non mi faranno diventare madre – non nel senso stretto del termine, almeno – ma che mi potrebbero aiutare a realizzare ciò che desidero… Crescere una piccola creatura che ha bisogno, non necessariamente di ME, ma di qualcuno che lo aiuti. Trasmettere il mio amore ad un bambino che di amore ne ha conosciuto ben poco. Regalargli un sorriso, un gesto d’affetto. Lasciargli un ricordo bello, ed indelebile, di me.

Qualche tempo fa su un forum ho letto la bellissima storia di una normalissima famiglia atipica. Una coppia che ha adottato un bambino e che si è anche dichiarata disponibile per l’affidamento, e da tanti anni accoglie nella propria casa tanti bambini/ragazzi di tutte le età… Alcuni di loro dopo un po’ di tempo devono rientrare nella famiglia d’origine, alcuni al compimento del diciottesimo anno di età decidono di rimanere con loro, altri no… Questi bambini, questi ragazzi, non prenderanno mai il cognome di questa coppia, sono solo “speciali” ospiti di passaggio, ospiti che ricevono tanto amore, che li chiamano “mamma” e “papà”, anche se non c’è nessun documento che dice che quell’uomo e quella donna sono la loro mamma e il loro papà, oppure che non riescono mai a chiamarli in quel modo…
Ma non importa, perché queste persone donano loro tutto l’amore che solo dei genitori possono dare.

La mia collega, mamma adottiva da un anno, mi ha parlato del volontariato che per tanto tempo ha svolto presso un istituto della nostra città gestito da suore. In questo istituto vengono accolti bambini e ragazzini le cui famiglie stanno attraversando un periodo difficile. Alcuni di loro vengono poi dati in adozione, altri rientrano nel nucleo famigliare d’origine.
I volontari li aiutano a fare i compiti, li portano al parco, a giocare a calcio, a pallavolo… A volte i bambini si affezionano talmente tanto ai volontari da chiamarli “mamma” oppure “papà”… Anche se quelle persone non diventeranno mai loro genitori, non nel senso legale del termine.

Insomma, tutto questo per dire che là fuori esiste un’infinità serie di possibilità per accudire, per donare amore ad un bambino…

E, da quando me ne sono resa conto, la mia percezione del mondo, della maternità, è cambiata.

Non provo più invidia quando incrocio una donna col pancione per strada. Non cerco più di farla abortire con il mio sguardo omicida, come accadeva un tempo. Ora provo solo una strana sensazione… Una specie di nostalgia. Forse ripensando al tempo in cui ancora credevo di poter anch’io tenere un bambino nel mio grembo…
Quando incrocio una donna incinta mi viene spontaneo toccarmi la pancia. Ma ora so che dentro di me, molto probabilmente, non ci sarà mai nessuno. La mia pancia rimarrà per sempre vuota. E va bene così. Perché il mio cuore non sarà vuoto per sempre.
Prima o poi qualcuno lo riempirà. Ora ne sono sicura. Molto più che in passato.
Il mio grembo resterà vuoto, il mio cuore, no. Ed è questo che conta.

E io voglio cercare in tutti i modi di godermi questa (lunga?) attesa, questo dolore, questa tempesta. Perché anche dal dolore può nascere qualcosa di meraviglioso.

Un giorno racconterò al mio bambino tutto quanto. Gli parlerò di questi anni pieni di sofferenza, ma non voglio parlargli di una mamma triste e arrendevole, ma di una donna che ha combattuto con tutte le sue forze e con tanta speranza per arrivare a lui.