Pubblicato in: La mia storia

Non aspetto più.

10802454_1403443943279647_633382706_nFinalmente posso darvi la notizia che non vedevo l’ora di annunciare. 
Roberto è nato sabato 29 novembre 2014 alle h. 15.10 con taglio cesareo dopo due giorni e mezzo di travaglio.
Un parto dolorosissimo ampiamente ricompensato da 3.530 gr per 51 cm di pura bellezza!

Vi lascio con una lettera che ho scritto per il mio piccolo grande miracolo.

Continua a leggere “Non aspetto più.”

Pubblicato in: La mia storia

SINDROME POST – PMA (Storia di un’infertilità)

Non mi sento una normale donna “in attesa”.

Non mi piace parlare della mia gravidanza o di tipiche questioni da donna incinta – dolori alla schiena, abiti prémaman, corsi di aquagym (nonostante abbia un gran mal di schiena, adori comprare abiti prémaman e abbia intenzione di iscrivermi in piscina).

Continua a leggere “SINDROME POST – PMA (Storia di un’infertilità)”

Pubblicato in: La mia storia

Le fasi del lutto

Conoscete le cinque fasi del lutto?
Santa Wikipedia mi dice che questo modello è stato elaborato dalla dottoressa Elisabeth Kübler Ross.

Le fasi sono:
1. Fase della negazione o del rifiuto
2. Fase della rabbia
3. Fase della contrattazione o del patteggiamento
4. Fase della depressione
5. Fase dell’accettazione

Sono profondamente convinta che questi siano gli stessi stadi che si trova ad affrontare una coppia dopo aver scoperto la propria sterilità.
In fondo, sempre di morte si tratta.
La morte di un sogno. La morte di una felicità che si credeva facilmente raggiungibile. La morte di un figlio concepito da due persone che si amano, così come stabilito dalla Natura.

Certo, a differenza di un lutto vero e proprio, in questo caso non tutto è perduto.
Esiste la PMA. E l’adozione.
Un figlio conquistato grazie a bombe ormonali e provette nel primo caso, sopportando la burocrazia e mille difficoltà nel secondo.
Ma, in tutti modi, qualunque sia la strada che le coppie come me e Marito decidono di intraprendere, qualcosa dentro di noi muore.

Ero certa di aver già attraversato tutte queste fasi. E di esserci riuscita egregiamente.
Evidentemente, non è così.

Credevo di trovarmi nell’ultima fase, la più serena. Quella dell’accettazione.
Credevo di aver imparato a convivere con questo “lutto”. Con la morte di un figlio naturale.
Credevo di essere diventata più paziente e calma. Che il pensiero dell’adozione mi avesse fatto scordare che sono… Diversa.

E’ così? O sto solo mentendo a me stessa?

In questo momento mi sento più nella fase della depressione. O in quella della rabbia.
Forse io, che sono sempre stata anticonformista, sto percorrendo le fasi del lutto “al contrario”.
Magari presto affermerò pure che i medici si sono sbagliati, che Marito non è veramente sterile…

In questi giorni ho pensato e urlato tanto.
Io e Marito abbiamo litigato a lungo, e trascorso diverse notti separati, chi sul divano e chi al piano di sopra, nella camera da letto (vi lascio indovinare chi ha dormito dove).

Sono stata troppo drammatica, depressa, impulsiva, nel mio ultimo post?
Probabilmente sì, ma non lo so, non ho voglia di rileggerlo.

Ho inveito tanto contro Marito in questi giorni. Soprattutto contro la sua sterilità. Come non ho mai fatto prima.
Che senso ha arrabbiarsi, ora?
Sono quasi due anni che so come stanno le cose. Perché questa rabbia improvvisa, devastante?

So di aver detto cose cattive, cose che a me non piacerebbe sentirmi dire se fossi al suo posto.
Marito non ha colpa se da piccolo ha preso gli orecchioni, se nessun dottore ha mai pensato che questo avrebbe potuto portargli dei gravi danni alla sua fertilità.
In realtà non ce l’ho con lui. Ce l’ho con il destino che mi rende sempre tutto più difficile che alle altre persone.

Ho sempre creduto che bastasse impegnarsi, lottare, per uscire da un problema.
Ma non è così. A volte, più ti sforzi, più peggiori le cose. Oppure rimani fermo.
Come imprigionato nelle sabbie mobili.

So che sono stata una stupida ad essermi lasciata deprimere da un pomeriggio trascorso insieme a bambini che non sono riuscita a conquistare.
Sono stata una stupida ad aver invidiato mio marito.
Sono stata una stupida a paragonare la maternità biologica a quella adottiva. Lo sappiamo tutti che sono due cose diverse, soprattutto all’inizio.

E’ che ho tanta paura.

Avevo paura persino a tornare qui, nel mio nido virtuale. Avevo paura di leggere i commenti al mio ultimo post. Sapevo che sarebbero stati duri, pieni di critica, di pietà.
E questo perché ero consapevole di aver scritto parole sbagliate, rabbiose.
Ho letto i vostri commenti tutto d’un fiato.

Avete detto tutto ciò che Marito non ha fatto altro che ripetermi negli ultimi giorni.
Che non è detto che un figlio naturale ami la propria madre incondizionatamente.
Che è scontato che due bambini grandicelli si trovino meglio con un giovane uomo piuttosto che con una donna.
Che sono egocentrica e ho sbagliato a decidere di fare volontariato per sentirmi amata.

Il fatto è che io non sono tanto diversa dai bambini che si trovano in comunità, con alle spalle delle famiglie disagiate.
Non ho mai superato, e forse mai supererò, la mancanza di una famiglia di riferimento nella mia vita.
L’unica differenza è che la mia situazione famigliare non è mai venuta alla luce. Non sono mai apparsa come una bambina o una ragazza disagiata.
Solo Marito, gli amici più stretti, la mia psicologa, sanno cosa ho passato. E quanto ancora questo mi faccia male.
Un’altra differenza è che io non sono più una bambina. Sono un’adulta. Da me ci si aspetta che sia saggia e riflessiva.

Ma, a volte, non ci riesco.
A volte la bambina sola e ferita che c’è in me torna alla luce.
E non riesco a metterla a tacere.
Anche se sono grande.

Mi detesto per aver dubitato sull’idea dell’adozione.
In realtà non ho avuto davvero dei dubbi. Sono e spero di essere sempre felice di aver scelto questa strada.

Ma ho paura!

Ho paura dell’ennesimo fallimento.

Ho paura di dover aspettare anni e anni.

Ho paura che il giudice non ci chiamerà mai.

Ho paura che quel bambino che tanto ho aspettato, cercato, sognato, non riesca ad amarmi.

Ho sempre pensato che l’amore fosse sufficiente per ottenere altro amore.
E se non fosse così?

L’assistente sociale, durante i colloqui, ci ha fatto capire molto bene che le coccole e l’affetto non bastano a crescere un bambino (soprattutto se adottivo, ma di certo vale anche per un figlio  biologico). Che occorre comprensione, empatia, pazienza.
Tutto questo è ben chiaro nella mia mente. E sono pronta ad affrontarlo. Sono pronta ad affrontare qualsiasi situazione. Comportamenti violenti, droga, alcool, gioco d’azzardo, cattive compagnie,  domande sull’adozione, il desiderio di ritrovare la famiglia originaria…

Tutto questo non mi fa paura.
Sono brava ad affrontare i problemi. Sia dal lato “pratico” che da quello “emozionale”.

L’unica cosa che mi fa paura è che lui, o lei, non riesca ad amarmi.
Che non mi prenda mai per mano.
Che non mi cerchi per darmi un bacio.
Che non mi preghi di leggergli/le la favola della buona notte, che non mi chieda consigli.

Che non mi veda mai come una “mamma”.

Che non voglia accettare tutto l’amore che ho da dargli.

Una volta, in un post, ho affermato che non mi importerebbe se mio figlio non volesse mai chiamarmi mamma, se preferisse chiamarmi per nome.

Beh, mentivo.
In quel momento non ne ero consapevole, sia chiaro.

Ma ora mi rendo conto che è così.
Ho il terrore di non essere mai una mamma.

Fino a ieri ho tenuto relegato questo pensiero, questo terrore, in un angolo del cuore.
Ma, dopo quello che è accaduto con quei due bambini…

Io non piaccio alla gente. Non sono mai piaciuta.
E non è per fare del facile vittimismo; è proprio così.

Gli altri non mi odiano, no. Io provoco solo… Pura e insignificante indifferenza, nella maggior parte dei casi.

Mi sono sempre sentita invisibile.

Quando ero bambina e partecipavo alle feste di compleanno, spesso mi sentivo tagliata fuori, inadatta, a disagio. Come un pesce fuor d’acqua.
Non sono mai stata brava a prendere l’iniziativa, a propormi agli altri bambini. Ero timida e avevo paura di essere cacciata via.

L’unico modo che conoscevo per attirare l’attenzione, per dire: “Ehi, ci sono anch’io! Io esisto!” era… Fuggire via. Sparire.
Assurdo, vero?

Nel bel mezzo del pomeriggio scappavo dalla casa del festeggiato di turno e mi nascondevo, sperando che qualcuno venisse a cercarmi, che qualcuno sentisse la mia mancanza, che qualcuno volesse ritrovarmi.
Il più delle volte nessuno si accorgeva della mia fuga e, dopo essere rimasta a lungo nascosta, tornavo con la coda tra le gambe.
Altre volte, invece, gli altri bambini mi venivano a cercare. Ma nessuno era felice che stessi bene.
Dicevano sempre: “Brava, ci hai rovinato la festa! E’ un’ora che ti cerchiamo!”
E così sono diventata famosa come Eva la guastafeste.

Marito dice che non è vero. Che ho tante persone che mi amano. Peccato che, quando ha provato ad elencarle, gli sia venuto in mente solo il suo stesso nome.

Secondo lui non è tanto difficile farsi amare da un bambino. Basta una battuta, uno scherzo, fare il solletico, proporre di fare qualcosa insieme…
Ma a me tutto questo non riesce. Con i bambini della comunità mi sento molto timida. Ho paura ad avvicinarmi, a meno che non siano loro a chiedermelo. E se mi allontanassero? Se mi rifiutassero?
Io, che bambina non sono mai stata, non so bene come comportarmi con loro.

So che con mio figlio sarà diverso. Perché io sarò la sua mamma, almeno sulla carta, e avrò e sentirò tutto il diritto di sgridarlo, di abbracciarlo, di prendergli la mano.

Ma se lui mi rifiutasse?

Ho sbagliato tutto.
Il vero motivo per cui ho deciso di fare volontariato in questa comunità è sbagliato. Sentirmi mamma. Che idea stupida ed egoista.

Ciò che più desidero è ricevere amore, quell’amore che ho sempre sognato.
Io sono pronta a sacrificare tutta me stessa per il bambino che arriverà. Che poi, per me non si tratterebbe di un sacrificio, ma della strada per la felicità.
Ma voglio che anche lui mi ami. Lo voglio, ma non posso pretenderlo.

Potrei non piacergli.
Potrebbe preferire Marito.

Qualcuno, nei commenti al mio ultimo post, mi ha detto che questa eventualità esiste.
Non ci avevo mai pensato.
Mi ritrovo a rifletterci solo ora.
E il pensiero mi spaventa.

Riuscirò a trattenere la rabbia, se questo dovesse accadere?
Riuscirò ad accettarlo?

E quel bambino potrebbe anche non arrivare mai.

Questa è l’ipotesi che mi fa più paura.
Perché io sono pronta a rischiare, a impegnarmi, per creare la famiglia felice che ho sempre sognato.

Voglio avere la possibilità di rischiare.
Ma ho anche il timore di non riuscire.

Sono veramente tanto stanca.
E anche in piena fase premestruale.
Piango per qualsiasi cosa. Non è proprio il momento più adatto per lasciarsi andare a riflessioni profonde, che ne pensate?

Oggi ho inveito contro una collega perché non mi ha messo in copia in un’e-mail…
E sogghignando stile ” personaggio cattivo dei cartoni animati” ho affermato di voler dare fuoco all’azienda con tutti i colleghi dentro.

Ehm, insomma… Chissà, forse questa non è veramente la “fase della depressione”. E manco quella della “rabbia”.
Forse è solo la fase “ormoni in subbuglio”.
I brufoli e le tette gonfie sembrano darmi ragione.

Speriamo che sia davvero così.

Pubblicato in: La mia storia, Riflessioni

Bye bye, provetta

Sono passati diversi giorni dall’ultima volta che ho scritto qui.
E intanto è trascorso il primo compleanno del mio rifugio virtuale. I blogger sono soliti festeggiare questa data, io sinceramente l’ho pure scordata.
E poi, che ci sarebbe da festeggiare? La nascita di questo blog coincide con l’inizio del mio inferno.

E’ passato anche il nono anniversario dell’incontro tra me e Marito. Era il primo maggio del 2004.
Solitamente festeggiamo questa ricorrenza, quest’anno ho trascorso metà giornata a letto, piangendo, urlando e accusando Marito di essere la causa del mio dolore, in preda ad un delirio pre-mestruale senza precedenti, mentre l’altra metà l’ho passata togliendo le zecche dai cani e da me stessa (eh sì, una è finita addosso a me, che culo), con conseguente disinfestazione del mio corpo e della casa.
Ah sì, dopo aver fatto pace, alla sera io e Marito siamo andati a mangiare fuori, e stranamente non mi sono ritrovata seduta vicino ad una donna incinta o ad una felice famigliola con neonato al seguito (di solito mi succede sempre).

In questi giorni sono in ferie, perciò oggi ho deciso finalmente di riconnettermi al blog e alla posta, sperando di trovare l’ispirazione per scrivere qualcosa di interessante.

L’ispirazione mi è passata non appena ho trovato nella posta due annunci di gravidanza.

Ora, non vorrei sembrare cinica, ma…
Un po’ di delicatezza, no?
Io non scriverei mai ad una sconosciuta che sta EVIDENTEMENTE male (o non si era capito? Posso essere più esplicita) per il fatto di non riuscire a diventare madre, con il solo scopo di vantarmi della mia felicità di essere incinta…
Ma gli ormoni fanno perdere la sensibilità e la saggezza alle donne?!

Un conto è se siamo amiche intime, seppur virtuali, se ci siamo scritte e parlate a lungo, se si è creato un certo rapporto di confidenza… In quel caso sì, certo che vorrei avere la notizia di una gravidanza, e ne sarei pure felice!
Ma se sei una sconosciuta, o una persona con cui ho parlato qualche volta, sinceramente della notizia mi importa ben poco.
Soprattutto se data con così poco tatto.

Sono invidiosa? E certo che sono invidiosa, cazzo.
Se fosse una cara amica a darmi una notizia del genere riuscirei a domare l’invidia per condividere la sua felicità, ma se è una sconosciuta a farlo, non ci provo neanche.

Mi sembra solo un modo per mettersi in mostra, per dichiarare il proprio successo, piuttosto che un modo per infondere coraggio ad una che non ce l’ha fatta.

Donne, per favore, quando CE LA FATE, ricordatevi di quello che avete provato quando il vostro sogno sembrava ancora irraggiungibile. Ricordatevi chi eravate. E ricordate che tante altre donne vivono ancora in un incubo.

Dopo questo lungo preambolo, arriviamo al dunque.

Marito si è finalmente sottoposto al test per la frammentazione del dna spermatico. Risultato: disastroso.
Frammentazione al 20%, superiore ai valori normali.
Questo significa che i suoi spermini, oltre ad essere immobili e anormali, presentano pure delle frammentazioni (delle “crepe”, diciamo). C’è una tecnica particolare, si chiama IMSI, che permette di scegliere gli spermatozoi privi di queste “crepe”, ma l’andrologo del centro PMA di Bologna ha comunque deciso di fargli fare una cura (che FORSE potrebbe migliorare un po’ le cose) prima di riprovare con la PMA.
La cura durerà tre mesi, quindi potremmo procedere con il prossimo tentativo non prima di settembre.

Il medico ha anche affermato che la sterilità di Marito è al 99% causata dagli orecchioni che ha avuto da ragazzino.
Ho chiesto a Marito di cercare di ricordarsi il nome dell’amichetto che gli ha attaccato la malattia. Ho intenzione di cercarlo.
E ucciderlo, ma dopo averlo torturato a lungo.

Tra qualche giorno avremmo dovuto sostenere il secondo colloquio per l’adozione, ma purtroppo dovremo annullarlo perché Marito ha un urgente impegno di lavoro (ecco il motivo scatenante del nostro litigio dell’altro giorno).
Il terzo colloquio, invece, era stato fissato per il sedici maggio, data che ho già dovuto annullare perché mi sono resa conto che proprio quel giorno ho una riunione importante per quel progetto lavorativo che sto seguendo.
Oltre a fare una figura pessima con l’assistente sociale, per affrontare il secondo colloquio dovremo aspettare il venti maggio. Per una come me, che detesta le attese (si era capito?), questa è una vera e propria tragedia.
Senza contare il fatto che entro fine luglio io spero di terminare la fase dell’istruttoria e di avere già in mano la relazione dei servizi sociali, in modo da poter presentare la domanda di adozione ai vari tribunali prima che chiudano, ad agosto. Così poi ce ne andiamo in ferie tranquilli, aspettando di essere chiamati dal giudice del tribunale di Bologna per il colloquio conoscitivo a settembre.

Visto che dovremo recuperare ben due colloqui (e forse ne dovremo pure fare altri), però, non so se questo sarà possibile. E vedere i miei piani stravolti mi fa incazzare da bestia.

Ma veniamo al titolo del post.
Beh, direi che non occorrono molti chiarimenti.

Basta con la PMA.

E’ da un po’ che questa idea mi frulla per la testa. Da quando abbiamo iniziato il cammino dell’adozione, per l’esattezza.
Pensavo che saremmo riusciti a fare tutto. PMA e adozione. Che bastasse la nostra forza d’animo per affrontare entrambi i percorsi. Che sarebbe stato il destino, o il caso, a decidere se il nostro bambino dovesse nascere in una provetta o nel grembo di un’altra donna.

Ma poi, giorno dopo giorno, sono stata assalita dai dubbi. E se la PMA fosse andata bene e avessimo interrotto le pratiche per l’adozione… E poi avessi perso il bambino al terzo o quarto mese? E se avessi partorito un bambino malato, o pazzo come mia madre? E se da qualche parte ci fosse un bimbo che aspetta noi, proprio noi, a cui potremmo donare la felicità e che ci potrebbe completare? Se fosse un’altra donna a dare alla luce MIO figlio?

E’ stato solo l’egoismo a farci decidere in principio di provare con la PMA. Il desiderio di avere un figlio tutto nostro, come la Natura ci impedisce di fare, e l’invidia verso le persone “normali”, a cui basta fare sesso per avere un bambino. Il desiderio di essere anche noi come tutti gli altri.

Ma, forse, noi non siamo come tutti gli altri. No, no, non intendo dire che siamo migliori o peggiori. Forse siamo solo diversi.
Basta pensare alla mia pazza famiglia o alla vita che ho vissuto per capire che no, non sono uguale agli altri. E se Marito sta con me, tanto normale non lo è neppure lui.

Io non mi sono mai vista con il pancione. Non parlo della realtà. Nella vita reale l’unico pancione che abbia mai avuto è quello dovuto al grasso.
Parlo della mia fantasia, dei miei sogni ad occhi aperti.
Non sono mai riuscita ad immaginarmi come una mamma. Di pancia, intendo.

Mentre mamma “di cuore”… Quello è sempre stato il mio sogno.
Vi ho già raccontato che anni fa, prima di scoprire i nostri problemi di infertilità, avevo proposto a Marito di adottare PRIMA di provare ad avere un figlio biologico?
A quel tempo, ve lo potete immaginare, Marito mi ha dato della pazza.
Invece, chissà, forse ho un sesto senso, forse dentro di me già sapevo come sarebbero andate le cose.

Non so se vi ho mai detto che amo scrivere. Intendo al di fuori del blog.
Ho alle spalle un paio di libri pubblicati. La scrittura per me è un po’ più di una passione ma, purtroppo, molto meno di una professione.
E’… Un sogno. Un po’ come quello di diventare madre.

Vi dico questo perché sono solita annotare sul computer le idee (che sul momento mi sembrano geniali) per nuovi racconti e romanzi.
Spesso questi spunti vengono poi abbandonati, per mancanza di tempo o di ispirazione.
L’altro giorno ho ritrovato in una cartella del pc diversi file, risalenti agli anni tra il 2008 e il 2010 (quindi, ben prima della scoperta della sterilità), contenenti bozze di storie abbandonate a metà.
Mi sono messa a rileggerle. Non ricordavo neppure di averle scritte!
Mi è venuto un colpo al cuore realizzando che almeno la metà di quelle storie ha come tema principale l’adozione… Sono tutti incipit che ho scritto a distanza l’uno dall’altro, non mi ero mai resa conto di quanto questo argomento fosse già profondamente vivo dentro di me, ancora prima di viverlo nella realtà.

So bene che essere mamma “di pancia” oppure “di cuore” sono due cose ben diverse. Oh, se me ne rendo conto!
Una mamma biologica è mamma a prescindere, nel momento stesso in cui suo figlio viene alla luce, una mamma adottiva, indipendentemente da quello che dicono i documenti, diventa “mamma” solo quando suo figlio decide che lo merita.

Avevamo deciso di provare con la PMA ancora una volta solo per egoismo, per questo desiderio di essere “normali”, e perché siamo convinti che i medici che ci hanno seguito finora abbiano sbagliato.

Ma forse tutto ha un senso. Aver dato fiducia ad un centro poco professionale, i tentativi falliti, questo ulteriore problema medico di Marito, la cura di tre mesi che ci ha fatto rimandare la PMA (io ero pronta ad iniziare questo mese)…

Forse tutto questo è un segno che la PMA non è la nostra strada.
Forse, invece, non vuol dire niente. Forse si tratta solo di sfortuna, di coincidenze, e non di destino.
Ma a me piace credere che sia così. Che abbia un senso.

Ora come ora il pensiero di una stimolazione ormonale, del pick up, del transfer con conseguente attesa colma d’ansia e timori…
Questo pensiero mi mette solo tristezza e paura.

Perciò, almeno per ora, dico “ciao ciao” alla provetta.

Adesso voglio concentrarmi sull’adozione.
A settembre, si vedrà. Se i servizi sociali avranno scritto una relazione positiva su di noi e potremo procedere con il prossimo passo, la provetta aspetterà ancora. Anzi, mi sa che non la vedrò più.
Se i servizi sociali ci avranno descritto come degli squilibrati, uccidendo le nostre speranze…
No, questo non può accadere.
Perché noi siamo destinati a diventare mamma e papà. Di cuore.
E io lo so da sempre.

Pubblicato in: La mia storia

La conversazione più assurda

Ho scritto parecchie volte di conversazioni assurde che mi sono trovata a dover affrontare a proposito della PMA o della ricerca di un figlio.
Quella che vi sto per raccontare, però, le batte tutte. Sia quelle passate sia, ne sono certa!, quelle che dovrò affrontare in futuro.

La conversazione che vi sto per raccontare e che, di sicuro, vi lascerà a bocca aperta, non ha molto a che fare con la PMA.
Una delle persone coinvolte, però, e soprattutto il mio rapporto con lei, è forse la principale causa della mia spasmodica ricerca di un figlio.

Antefatto: Qualche giorno fa uno sconosciuto, un certo Luca di Milano, mi ha chiesto l’amicizia su Facebook. Io ho accettato, come faccio sempre (tranne con i capi), anche se non avevo idea di chi fosse… Pensavo che fosse un mio collega di Milano, oppure che avesse avuto il mio contatto tramite l’associazione animalista di cui faccio parte. Dopo aver accettato l’amicizia, mi sono completamente scordata di lui.

Domenica io e Marito abbiamo sfortunatamente incontrato i miei genitori al supermercato. Io e Marito non andiamo mai a quel supermercato, ma era l’unico aperto, e da quello che so neppure i miei genitori ci vanno spesso. E’ stata una pura botta di sfiga.
La sorpresa e l’incazzatura iniziali hanno ben presto lasciato spazio ad una sensazione di pietà. Era da mesi che non li vedevo. Ogni volta che per caso li incontro (viviamo in una piccola città, purtroppo accade più spesso di quanto non vorrei), li vedo sempre più vecchi e stanchi, ingrigiti, appassiti, anche se anziani non li sono affatto, in due hanno poco più di cent’anni.

Mi fa pena mia madre, così altezzosa e sicura di sé, che pensa che tutti gli uomini vogliano portarsela a letto, che ha fatto interdire la propria madre, una donna di 86 anni, e l’ha rinchiusa in una casa di riposo dove sta rapidamente morendo, senza neppure rendersi conto di quello che ha fatto.

Mi fa pena mio padre, che forse tanto cattivo non è, ma solo stupido, che mi ha dato un buffetto sulla guancia e mi ha sgridato dicendomi che non mi faccio mai sentire, che mi ha chiesto “come stai?” probabilmente riferendosi alla PMA di cui sa grazie a mia nonna, ma di cui non ha il coraggio di parlare apertamente…

Ma non dovrebbero essere i genitori ad accudire i figli, a cercarli quando non si fanno sentire, a interessarsi a loro?

La pietà è sparita non appena mia madre, ormai patita di Facebook (non ha mai lavorato e ultimamente passa tutto il suo tempo in chat – oh, meno male che ha abbandonato mia nonna in un ospizio perché non aveva tempo di curarla!), mi ha chiesto di accettare l’amicizia del suddetto Luca, perché questo ragazzo aveva qualcosa di molto importante da dirmi.

Ho cominciato a scaldarmi. Chi cappero è questo Luca? Che deve dirmi?
Ovviamente mia madre non ha voluto anticiparmi nulla. Mi ha solo detto di parlare con lui.

Non appena arrivata a casa ho mandato un messaggio a questo ragazzo chiedendogli chi fosse e cosa volesse da me. Ieri mi ha risposto, ripetendo che aveva qualcosa di molto importante da dirmi e che voleva parlarmi in chat.

Sul suo profilo avevo notato che la sua data di nascita era uguale alla mia. Il mio primo pensiero è stato: “Cavolo! Vuoi vedere che ci hanno scambiato nelle culle? Magari ho degli altri genitori da un’altra parte!”
Ma questa illusione (speranza??) è sparita non appena mi sono resa conto che Luca è nato qualche anno prima di me.
Niente da fare. Questi genitori me li devo tenere.

Le altre opzioni erano:

– Lui e mia madre avevano una tresca
– Era il figlio illegittimo di mia madre
– Voleva donarmi il suo sperma (oh, uno le pensa tutte!)

A questo punto ho perso di nuovo le staffe, gli ho detto che non uso la chat di Facebook e di scrivermi un messaggio privato, se proprio voleva comunicare con me.

Col senno di poi, mi dico che avrei fatto meglio ad eliminarlo dagli amici immediatamente.

Ieri pomeriggio mi ha mandato un messaggio, molto educato e cordiale devo dire, in cui mi ha raccontato che lui e mia madre si sono conosciuti su Facebook tramite un amico comune e che chattano e si sentono spesso al cellulare.
Cioè, mentre io lavoro, affronto la fecondazione assistita, le pratiche dell’adozione, curo i cani, la casa, mi impegno in progetti nuovi, cerco il modo di riportare mia nonna alla vita… Mentre io faccio tutto questo, mia madre – mia madre! – passa le giornate a parlare su facebook con un ragazzo trentenne sconosciuto?
E non vuole ascoltare sua figlia mentre le spiega la PMA? E non partecipa al suo matrimonio? Ah… Ok.

Luca mi ha spiegato che mia madre è molto depressa, che non fa altro che parlare di me e pentirsi per gli errori fatti in passato, che si chiede se potrà mai riabbracciarmi… Mi ha detto che devo sforzarmi per aiutarla, perché solo una figlia può aiutare la propria madre (e io che credevo fosse il contrario!).

Mi ha anche detto che ero libera di mandarlo al diavolo, che mi aveva scritto solo per aiutare un’amica che evidentemente sta male.

Oh, datemi pure della cinica, ma io ho riso tutto il tempo mentre leggevo ‘sto messaggio delirante!

Naturalmente, io che non so stare zitta, gli ho risposto in maniera altrettanto educata.
Gli ho detto che deve stare attento alle persone con cui parla in chat, che non tutto è come appare, e che io non sono la figlia ingrata che gli è stata raccontata… Gli ho spiegato che mia madre cerca in tutti i modi di attirare l’attenzione, che non gliene importa nulla di me ma usa la nostra triste storia soltanto per essere compatita e amata…
Gli ho parlato un po’ dei miei problemi (tanto, questo chi lo conosce) e del fatto che a mia madre non si è mai interessata per sapere come sto, che non ha neppure presenziato al mio matrimonio!

E ho concluso dicendo che non importa da che pancia sei nato, che conta chi ti ama e chi ti tiene per mano durante il duro percorso della vita…

Speravo che il mio messaggio l’avrebbe messo a tacere, invece Luca mi ha risposto dicendomi nuovamente che devo sforzarmi per aiutare mia madre e riavvicinarmi a lei… Tutti consigli molto belli e teneri, ma che NON sono ben accetti da un perfetto SCONOSCIUTO!

E, come se non bastasse, oggi pomeriggio, mentre mi districavo tra mille pratiche lavorative, mia madre mi ha mandato un sms dicendomi che non riusciva a comunicare con Luca perché aveva dieci – DIECI – chat aperte e le si era bloccato il computer… E chi se ne frega?!

Dopo pochi minuti mi ha scritto dicendomi che spera che Luca dopo avermi parlato le spieghi cos’ha sbagliato con me…

Cioè, questa ha bisogno che qualcuno glielo spieghi? Ma ci è o ci fa?
Ok, capisco i suoi problemi mentali e tutto (magari li ammettesse anche lei), ma se non partecipi al matrimonio di tua figlia, se non ti interessi quando ti parla dei suoi problemi di sterilità, se non le prepari mai il pranzo o la cena, se la guardi senza fare nulla mentre affronta problemi alimentari e altre difficoltà di cui non sto a parlare… Cioè, poi ti chiedi cos’hai sbagliato?! O__o

Per non parlare del fatto che per comunicare con sua figlia deve chiedere aiuto ad un estraneo di 30 anni con cui chatta su Facebook…!

Tutto questo farebbe ridere, se non fosse così squallido.

Pubblicato in: La mia storia

Zerovirgolazero

Dove ero rimasta?
8 pt. Test negativo.
Sì, forse era un po’ presto… Ma dentro di me sapevo che quel negativo era terribilmente, dolorosamente reale.
10 pt, rifaccio il test. Ancora negativo.
Ieri mattina, 11 pt, vado a fare le analisi delle beta hcg.
Sottolineo il fatto che sono dovuta rimanere in coda per almeno venti minuti dietro ad una mamma con tre pargoli al seguito. Il più piccolo dei tre, due anni circa, ogni tanto mi guardava e mi sorrideva timidamente…
Mazzata al cuore.
Come al solito la segretaria mi chiede se ho già fatto un test di gravidanza.
“Sì, era negativo.”
“Ha un ritardo, quindi?”
No. Ho fatto la fecondazione assistita. Devo vedere se è successo qualcosa.”
Sempre la stessa conversazione. Ecchepalle.

Anche il medico che mi fa il prelievo è sempre lo stesso. Un dottore simpatico e cordiale che, dall’accento e dal nome che ho letto sul suo tesserino, probabilmente è originario dell’Est Europa. Anche lui mi fa le stesse domande… Io gli do le stesse risposte. Ecchepalle 2.
Il medico è decisamente più gradevole della segretaria, e cerca di infondermi un po’ di fiducia. Non è che ci riesca molto, però… Mi dice che ha degli amici che hanno provato con la PMA otto o nove volte.
“E’ una specie di roulette russa!” mi dice, sorridendo.
Tentativo di conforto fallito miseramente.
Non me la prendo, però. Anzi, è stato carino. Almeno non ha espresso giudizi e non mi ha detto la solita frase ormai trita e ritrita che mi fa sempre ribollire il sangue nelle vene: “Ma tanto sei gggiovane!”

Dopo il prelievo mi sono incontrata con due amiche che non vedevo da tempo. Ero stata proprio io a organizzare l’uscita, perché, come vi ho detto, sto cercando di riagganciare qualche rapporto umano.
Avrei voluto disdire l’appuntamento, dato che avevo l’umore a terra. Poi però mi sono detta che non posso continuare a fare l’eremita, ad isolarmi nel mio dolore. Forse uscire mi avrebbe fatto bene. E così è stato.

Ero ancora seduta al bar con loro quando è arrivato il momento di chiamare il laboratorio per sapere il risultato delle analisi.

“Buongiorno, sono venuta stamattina a fare le analisi delle beta hcg… Mi può dire il risultato, per favore?”
“Sì, attenda un momento…”
Rumore di fogli, voci in sottofondo… Passano i secondi, il mio cuore si ferma per un istante…
“Il risultato è zerovirgolazero, signora.”
Rido.
“Grazie. Arrivederci.”
E vaffanculo.

Zerovirgolazero? Non bastava dire zero, oppure negativo?
Insomma, la segretaria doveva per forza essere tanto crudele? Il risultato me lo aspettavo. La cattiveria, quella mi ha spiazzato.

Ho fallito di nuovo. Ieri era l’11 pt, direi che il risultato è definitivo.

Sto continuando con le terapie post transfer, non so neppure io perché. Martedì, 14 pt, rifarò il test di gravidanza, tanto per buttare via altri 18 euro. Ma il centro PMA vuole così, e finché sono seguita da questi medici devo fare come dicono. Martedì li chiamerò per comunicare il fallimento, e poi spero di non sentirli mai più.

Da domani io e Marito saremo impegnati a fare tutte le analisi per ricominciare da capo con la PMA alla clinica di Bologna. Come vi ho già detto spero di poter cominciare la stimolazione con il ciclo di fine marzo/inizio aprile, perciò dobbiamo muoverci.

Come sempre accade dopo un fallimento, io e Marito ci siamo messi a parlare del futuro. Di quello che possiamo fare. Di quello che vogliamo fare.

Siamo assolutamente convinti che la clinica di Bologna sia più affidabile e seria, e siamo fiduciosi nella prossima PMA.
Però… Abbiamo ricominciato a parlare di adozione.

Dopo il corso informativo-formativo fatto tra settembre e ottobre avevamo deciso di accantonare l’adozione, almeno per il momento. Gli assistenti sociali ci avevano trasmesso tanta paura e insicurezza. Negli ultimi mesi siamo stati solo e soltanto concentrati sulla PMA.
O, almeno, così credevo. In realtà l’altra sera, mentre io e Marito parlavamo del futuro, mi sono resa conto che l’idea dell’adozione non ci ha mai abbandonato in questo ultimo periodo. Anche se inconsciamente, questo pensiero ha continuato a maturare dentro di noi…
Abbiamo avuto il tempo di confrontarci con le paure, di elaborare tutte le informazioni che ci sono state date… Fino a pochi giorni fa dicevamo che dovevamo assolutamente riuscire ad avere un figlio “naturale”… E ora abbiamo deciso di proseguire con l’adozione.

Questo pensiero mi rende molto felice. Mi rendo conto di aver ritrovato l’entusiasmo che avevo prima del corso. Durante gli incontri ci hanno spaventato, sì, ma probabilmente solo per vedere quali coppie erano veramente determinate a continuare… E noi lo siamo!
Avere un figlio bio e uno adottato è diverso, questo ormai l’abbiamo capito.
Però, alla fine… Mi sono resa conto che non me ne frega niente se nostro figlio non avrà gli occhi di Marito o il mio sorriso…
Anche se quel bimbo avrà la pelle di un colore diverso dalla nostra, se verrà da una terra lontana, non importa.
Lui sarà nostro figlio.
PMA o adozione. Seguiremo entrambe le strade. Sarà il destino, o Dio, a decidere come e quando arriverà nostro figlio.

Sarà difficile… Doppiamente difficile, visto che solitamente le coppie affrontano un solo cammino alla volta… Ma noi siamo fatti così. Ci piace imbarcarci in imprese impossibili.

Forse l’ho già detto, ma lo ripeto… Il cammino dell’adozione, benché lungo e complicato, mi infonde più sicurezza e serenità rispetto alla PMA.
Con l’adozione ogni passo, i colloqui, la presentazione della domanda al Tribunale, la scelta dell’Ente, è un passo in più verso nostro figlio…
Con la PMA ogni tentativo è a se stante, e se si rivela un fallimento non è un passo avanti né indietro, è come rimanere immobili

Abbiamo deciso di provare ancora con la PMA semplicemente perché sentiamo di doverlo a noi stessi. Il centro che ci ha seguiti in quest’ultimo anno si è rivelato inaffidabile e non professionale, è quasi come se non avessimo neppure fatto questi tre tentativi.

Perciò… Proviamo ancora. Ma non importa se non ce la faremo.
Nostro figlio è da qualche parte che ci aspetta… Forse è ancora un piccolo angelo in Cielo, o forse proprio ora sta piangendo in un istituto, abbandonato da chi gli ha dato la vita, aspettando qualcuno, aspettando NOI, che possiamo ridargli la gioia. Non importa, davvero…

Come ormai avrete capito io amo tanto fantasticare quanto “fare”…
Ho già contattato i servizi sociali per comunicare la nostra decisione di proseguire con le pratiche. Ho già presentato la domanda, e mi hanno detto che probabilmente dopo Pasqua faremo il primo colloquio con gli assistenti.
Lunedì prossimo, 4 marzo, faremo la visita con il medico legale, che da quello che ho capito è una cavolata. Non ci hanno chiesto di fare esami particolari, ci hanno solamente domandato di portare analisi del sangue recenti, se le abbiamo (SE le abbiamo? Ho una carpetta da 5 kg piena di analisi…). Probabilmente parleremo qualche minuto con il medico legale, che si accerterà soltanto della nostra sanità mentale e ci chiederà di firmare un’autocertificazione dove dichiariamo di non avere malattie gravi.

Nonostante certe brutte esperienze che si leggono su internet, devo dire che, finora, per quanto riguarda l’adozione, abbiamo avuto sempre a che fare con persone gentili e disponibili. La segretaria del Centro per le Famiglie mi ha inviato addirittura i documenti necessari via e-mail mentre parlavamo al telefono, e la dottoressa dell’ASL si è persino scusata perché non poteva darmi l’appuntamento con il medico legale per la prossima settimana, ma per quella dopo ancora…! Con i tempi burocratici dell’adozione, una settimana in più o in meno non fa di certo la differenza. Ehi, persino io riesco ad accettarlo!

Insomma… Da una parte sento di essere allo stesso punto in cui mi trovavo un anno fa… D’altra parte, però, riflettendoci bene, sento di essere molto cresciuta, di aver capito tante cose in quest’ultimo anno.

Ogni giorno mi sento sempre più “mamma”… Anche se ancora non possiamo prevedere né immaginare come, da dove e quando arriverà nostro figlio.
Spero solo che tutta questa attesa, questo dolore, questa frustrazione, mi aiuterà ad essere una donna e una madre migliore.

Pubblicato in: La mia storia

Tra sogno e realtà

Stanotte ho sognato di essere incinta.

Era tutto talmente reale che quando ho aperto gli occhi, mentre la mia mente era ancora in sospeso tra realtà e fantasia, ho allungato le mani per cercare quel test di gravidanza che stringevo – incredula – nel sogno. L’emozione è durata solo per pochi istanti, ma non ho parole per esprimere la delusione e la tristezza che mi hanno pervasa non appena mi sono resa conto che si trattava, appunto, soltanto di una dolcissima fantasia.

Ricordo perfettamente l’emozione che ho provato mentre tenevo in mano quel test di gravidanza positivo. Non riuscivo a crederci. Volevo urlare dalla gioia ma mi trattenevo, perché avevo paura che fosse un’illusione… Mi sono svegliata mentre nel sogno, in preda all’ansia e all’eccitazione, uscivo di casa per andare al laboratorio a fare le analisi del sangue.

Quando sono tornata completamente alla realtà, mi sono sentita molto malinconica. E’ stata una giornata amara. Una di quelle giornate in cui ti impegni con tutte le tue forze per sorridere, e a volte riesci a farlo con convinzione, finché non senti una voce dentro di te che ti dice di smetterla, che ti sprona ad urlare, a mandare tutto a fanculo…

Soprattutto quando, mentre cerchi di concentrarti sul lavoro per dimenticare tutto il resto, ricevi un sms da tua madre, appena rientrata dalle Mauritius, che dice così: “Per me è stato un anno orribile: i soldi, i viaggi, la bellezza e la magrezza aiutano, ma non danno la felicità”

…E ti incazzi pensando che una donna del genere abbia un figlia come ME. Un po’ matta, ribelle forse, ma una BELLA figlia, che sa dare tanto amore, un amore che nessuno vuole, neppure la mia stessa madre! Mentre io, che ho il cuore saturo di affetto che attendo di poter donare, rimango qui, da sola, ad immaginare un figlio che non so se arriverà.

Stamattina, quando sono salita in macchina per andare al lavoro, ho acceso la radio e sentito questa canzone.

Sapevo che Laura Pausini aveva dedicato una canzone alla maternità e, nonostante fossi curiosa di sentirla, avevo cercato in tutti i modi di evitarla. Sapevo che mi sarei commossa, che avrei pianto… Ma quando ho sentito la presentazione del deejay non ho avuto il coraggio di cambiare stazione. E così, l’ho ascoltata. Mi sono persino fermata nel parcheggio per sentirne la fine, nonostante fossi già in ritardo per andare a lavorare.
E sì, mi sono emozionata. E ho pianto un po’. In quel momento mi sarebbe piaciuto avere una mamma da chiamare. O un’amica. Ma non avevo nessuno. Se avessi telefonato a Marito, lui non avrebbe capito. Certe cose, certe emozioni, solo le donne le possono comprendere. E così mi sono ricomposta, mi sono asciugata le lacrime, sono scesa dalla macchina e mi sono diretta verso l’ufficio, mentre dentro la mia mente continuavano a riecheggiare queste parole:

 

Avrai gli occhi di tuo padre
e la sua malinconia
il silenzio senza tempo che pervade
al tramonto la marea

ti aspetterò
e prima o poi
arriverai senza nemmeno far rumore

Io sono perennemente alla ricerca di segnali lungo il mio cammino.
Cerco di dare un’interpretazione, di trovare un messaggio, in ogni cosa che mi accade. Un sogno, una canzone ascoltata per caso, un incontro inaspettato, un film su cui capito facendo zapping, una nuvola dalla forma particolare… Sono sempre alla ricerca di qualcosa. Di qualcosa che mi faccia capire cosa fare, o che soltanto mi inciti a sperare, a continuare a combattere, oppure che mi convinca a desistere. Nonostante tutto, anche se la mia parte più razionale e amareggiata crede solo nel caos, in un angolo del cuore continuo a credere nell’esistenza di un’entità superiore – Dio, un angelo custode – che influenza le nostre vite, che ci consiglia, che ci dice cosa fare.

Non so se per via del sogno che ho fatto stanotte o della canzone ascoltata per caso, ma… Oggi mi sentivo veramente una mamma. Sì, mi sentivo come se la fossi già. Ogni tanto mi accarezzavo la pancia, per poi ritrarla e sorridere tra me e me, un po’ imbarazzata, ricordandomi che il mio ventre è vuoto e freddo come l’inverno che sta arrivando.

Pubblicato in: La mia storia

Il primo gradino di una lunga scalinata

Piccola premessa: Dio c’è. Ed è un gran burlone. Ho pregato affinché questo triste mese di novembre passasse velocemente, che qualcosa, qualsiasi cosa, mi distraesse dal pensiero del transfer, che arrivasse presto il momento in cui quei puntini luminosi sarebbero diventati parte di me…

Beh, diciamo che Dio mi deve aver ascoltato, dato che, nell’ordine, ha fatto stare mia nonna, ha quasi fatto morire uno dei miei gatti e, dulcis in fundo, mi ha fatto venire una terribile influenza che da quasi una settimana mi costringe a letto.

Ecco, Dio, quando parlavo di distrazioni non mi riferivo propriamente a questo… Andava anche bene una misera vincita al lotto, un week end fuori porta, una visita inaspettata da parte di un’amica… Anche un bel film in tv al posto dei soliti trash-show…

Sì, insomma, qualcosa di positivo. No, eh?

Comunque, in questi giorni di riposo forzato ho realizzato che mi sono dimenticata di raccontarvi l’ultimo incontro del corso preparatorio all’adozione. Me ne sono dimenticata non soltanto a causa di tutto quello che è successo ultimamente, ma anche perché, come potete ben immaginare, in questo periodo sono totalmente concentrata sulla PMA e su quei fagiolini congelati che mi aspettano.

Visto che ora ho tempo da perdere tra una soffiata di naso e l’altra, ho pensato che fosse giusto riprendere l’argomento, anche perché è una strada che non ho assolutamente intenzione di abbandonare, indipendentemente dall’esito della PMA.

Per raccontarvi tutto riprendo alcuni spezzoni di un’e-mail scritta ad una blogger mia omonima, perché mi era piaciuto molto quello che le avevo scritto (e non ho molta voglia di rielaborare tutto quanto)!

Come vi avevo già detto il corso, che è durato quattro incontri per un totale di sedici ore, non è stato particolarmente apprezzato da Marito. A me invece alla fin fine è piaciuto, anche se è stato stancante e se gli assistenti sociali hanno cercato in tutti i modi di metterci paura (vero e proprio terrorismo psicologico).

Durante l’ultimo incontro, l’undici ottobre, abbiamo guardato un documentario che mostrava la situazione di alcuni istituti per orfani/bimbi abbandonati di un Paese africano e di un Paese dell’Est. Guardandolo provavo il desiderio di portarmi a casa tutti quei bimbi bellissimi… Devo dire, però, che questa visione non ci ha sconvolti più di tanto: nonostante la mancanza di punti di riferimento “fissi”, i bambini sembravano ben nutriti e in salute e seguiti con affetto dalle operatrici (il documentario non mostrava scene di violenza o cattiveria nei confronti dei bambini, che magari in realtà accadono in certi istituti o Paesi).

Ciò che in realtà ci ha veramente sconvolti, non solo a me e a Marito, ma anche alle altre coppie, è stata la seconda parte del filmato. Abbiamo ascoltato due interviste ad un ragazzo e ad una ragazza adottati (se non sbaglio in Francia o in Belgio), attualmente giovani adulti. Entrambi esprimevano il proprio affetto per i genitori adottivi, ma non facevano altro che ripetere quanto sentissero ancora il legame con quelli naturali.

Il ragazzo, nonostante fosse stato cresciuto in una famiglia adottiva numerosa e che gli ha donato molto affetto, affermava di essersi sempre sentito un pesce fuor d’acqua, anche a causa delle prese in giro subite a scuola per il fatto di essere stato adottato. Da adolescente è scappato numerose volte da casa, ed è tornato solo quando la madre adottiva si è ammalata gravemente.

Mi ha colpito in particolar modo, però, la storia della ragazza: adottata quando aveva tre mesi, per tutta la vita si è chiesta perché fosse stata abbandonata, e quando ha raggiunto la maggiore età è corsa a cercare la madre naturale. Ha scoperto così che è stata abbandonata per motivi economici, e la verità l’ha aiutata a superare finalmente il trauma. I suoi genitori adottivi avevano sempre evitato di parlare della famiglia naturale, tenendole nascosta la verità, e nel corso degli anni la ragazza si era convinta di essere nata da una prostituta tossicodipendente che l’aveva lasciata per strada… E questo pensiero terribile la faceva stare male.

Da quando ha scoperto la verità la ragazza ha deciso di mantenere i rapporti con la madre naturale.

Questa storia ha sconvolto tutti i partecipanti al corso, ed io sono stata la prima a dire ad alta voce ciò che pensavamo tutti. Tutti noi aspiranti genitori adottivi sogniamo di adottare per avere finalmente quel figlio che la Natura non ci permette di avere… Sogniamo di avere un bambino tutto nostro, da amare e che ci ami. Che ami soltanto noi.
Ma non si può negare che il legame con i genitori naturali c’è, e resterà per sempre… La cosa migliore è evitare di negare questo legame, non mentire al proprio figlio sui motivi per cui è stato abbandonato, e accompagnarlo e aiutarlo nel caso in cui un giorno decidesse di incontrare chi gli ha dato – materialmente – la vita. Anche se è un passo difficilissimo.

Questo è uno degli aspetti dell’adozione che mi fa più paura. Io sono una persona estremamente possessiva… Ma capisco che le persone non si possono possedere, e per amore di mio figlio riuscirei ad affrontare questa difficoltà. Dovrei riuscirci per forza.
L’adozione è una cosa che ho dentro da sempre. Ma non posso negare che negli ultimi anni si fa sentire sempre di più l’istinto materno, il desiderio di sentire una vita crescere dentro di me. Il mio sogno sarebbe quello di avere un figlio di pancia e uno di cuore… Io voglio sempre strafare!

Io intendo ancora adottare, con tutto il cuore, ma è qualcosa che vorrei fare per il bambino e non per me. Ora la mia voglia di maternità è così forte, rabbiosa, che fa quasi male, non mi dona la pazienza e la serenità necessarie per compiere un percorso difficile e lungo come l’adozione. Ho paura che sbaglierei tutto. Sia prima, che dopo. Se riuscissi ad avere un figlio naturale, a trovare quella gioia e quella pace che desidero da tanto tempo, affronterei l’adozione con un’altra ottica. E la vedrei più come una scelta di donare amore, piuttosto che come il desiderio di avere amore, di completare la famiglia.

Non intendo dire che amerei meno un figlio adottato, avendone già uno naturale, o che lo considererei in maniera diversa… No! Assolutamente no! Però IO sarei diversa. Sarei più serena, più calma, come ora non sono affatto. Se la PMA dovesse andare male ancora, se quel figlio di pancia non dovesse arrivare mai, sicuramente procederemmo con l’adozione. Ma sarebbe un vero e proprio calvario. Dovrei sforzarmi con tutta me stessa per non perdere la testa durante tutti quegli anni di attesa, e i colloqui con gli psicologi, e i corsi (basta non se ne può più di ‘sti corsi!!) che ti obbligano a fare gli enti per l’adozione internazionale… Lo farei, perché per avere un figlio farei qualsiasi cosa. Ma forse non lo farei con lo spirito giusto.

Devo ancora imparare tanto… Ma ce la farò. In fondo, imparare a fare la mamma – di pancia o di cuore non importa – è la cosa più bella del mondo.

Ecco, se magari arrivasse anche il materiale su cui studiare non sarebbe male, eh.

Pubblicato in: La mia storia

Il mio posto nel mondo

Sono pronta. Domani è il giorno del pick up.

Almeno, la ginecologa dice che sono pronta. Non vedevo l’ora che questo giorno arrivasse, e ora ho paura. Ma non posso tirarmi indietro. Non voglio, soprattutto.

Io faccio sempre così. Mi mostro calma e serena, quasi fredda, apatica. Scherzo, rido, interpreto la parte di quella forte, della guerriera che può affrontare tutto, che non ha paura di niente. Solo quando poi mi trovo realmente davanti alla prova che devo superare comincio a capire davvero cosa sta accadendo.

Ma non è di questo che voglio parlare, ora. Domani avrò tutto il tempo per sfogarmi e raccontarvi di come mi sono fatta nuovamente compatire urlando davanti ai medici…

Ora vorrei condividere con voi un post che ho scritto qualche giorno fa e che finora non avevo trovato il tempo di pubblicare.

 

La domanda che mi sento porre più spesso dalle poche persone a cui ho parlato dei nostri tentativi di PMA è: “Come mai hai tanta fretta di avere un figlio?”
Non mi chiedono perché io desideri un bambino, che sarebbe una domanda più che lecita. No. Mi domandano perché lo voglia ora. E questo mi fa girare le ovaie a mille.

Dall’atteggiamento di queste persone ho capito una cosa importante. La maggior parte della gente ritiene che avere un figlio sia un fatto naturale, istintivo, non un desiderio d’amore, ma un compito che si deve alla società, a cui assolvere dopo aver, possibilmente, goduto appieno della propria vita. Ovvero, dopo essersi divertiti alla grande, aver viaggiato tanto, fatto esperienze nuove e magari aver intrapreso una carriera lavorativa. Infatti mi sono anche sentita chiedere, da un’amica che sa che a novembre i miei genitori andranno alle Mauritius, perché non abbia deciso di rimandare la PMA e approfittarne per andare via con loro… Come se una vacanza fosse più importante di un figlio! Come se avere un bambino non potesse essere un desiderio, ma soltanto un obbligo a cui ci tocca adempiere perché costretti dall’istinto o dalla società. Come se un figlio non fosse la vita, ma una scocciatura, come se una vacanza, o la carriera, o il divertimento fossero i veri piaceri dell’esistenza umana.

Magari per qualcuno è così. Se sta bene a loro, sta bene anche a me. Ma per me è diverso.

Perché voglio tanto un figlio?

Nella mia vita mi sono sempre sentita fuori posto. Prima di tutto nella mia squilibrata famiglia. Ed è a causa dell’anaffettività dei miei genitori che mi sono sempre sentita molto sola, diffidente, spesso incapace di stringere legami. Ho dovuto leggere numerose ricerche mediche e subire anni di psicanalisi prima di capirlo… Ma ora, finalmente, ce l’ho fatta. Ho capito che tutti i miei fallimenti sono stati in gran parte causati da quello che ho passato nella prima, delicatissima fase della vita. La psicologa dice che, con un vissuto come il mio, avrei potuto facilmente imboccare la strada sbagliata, diventare a mia volta una persona squilibrata, addirittura finire nel tunnel della droga o diventare aggressiva. La rabbia c’è, non lo nego, ma il desiderio di trasformala in amore, anziché essere risucchiata dall’ira, è più grande.

Non mi sento mai al posto giusto. Mi sento sempre diversa. A volte migliore, ma spesso peggiore degli altri. Ho perennemente paura di sbagliare, di essere fraintesa, di non essere amata. Faccio di tutto per essere accettata dagli altri, per avere una briciola di affetto. Ma questo non mi aiuta ad ottenere amore, ma mi mostra come una persona insicura e anche un po’ pirla.

Sono sempre stata esclusa, incompresa, non amata. Prima di tutto dai miei genitori, che mi hanno sempre detto che sono un’ingrata e un fallimento, dalle coetanee che da ragazzina mi escludevano perché dicevano che ero strana, e dalle attuali amicizie che si ricordano di me soltanto per Natale e il giorno del mio compleanno.

Le difficoltà sul lavoro, i litigi con i miei genitori, il matrimonio, la PMA, sono tutte grandi prove che ho dovuto affrontare da sola. Certo, ho Marito al mio fianco, ma a volte sarebbe bello avere una mamma da cui farsi coccolare o un’amica pronta a correre da te quando stai male.

Sarebbe bello. Ma, a dire il vero, forse in fondo al cuore non è che mi importi più di tanto.

A volte penso che l’unico modo per sentirmi finalmente al mio posto sia diventare madre.

Questa affermazione, detta da una femminista come me, può sembrare alquanto paradossale. Ma è proprio così che mi sento.

Non è che la mia vita sia totalmente vuota, eh. Ho un buon lavoro, ho la passione per la scrittura, ho il volontariato. E anche l’amore non mi manca. So che Marito mi ama e sono certa che staremo insieme per sempre, e ho i miei cani che mi donano ogni giorno un affetto puro e disinteressato. E gli amici… Le rare volte in cui sono, sanno darmi affetto anche loro. Non è un affetto sui cui io possa contare, ma è meglio di niente.

Non ho nessuna intenzione di avere un figlio per riversare su di lui tutta la mia frustrazione, i miei sogni non realizzati, per avere una rivincita attraverso di lui, o per assicurarmi un “bastone” per la vecchiaia… No, ve lo assicuro. Non importa se mio figlio sarà un genio oppure un asino, o semplicemente mediocre, non importa se sarà bello o brutto, non importa neppure se mi vorrà bene o se mi vedrà come una rompiballe. E non mi interessa neanche se a vent’anni dovesse decidere di lasciare l’Italia per trasferirsi dall’altra parte del mondo.

Dal momento in cui darò alla luce mio figlio, io non mi sentirò più sola. Non sarò più sola. Troverò finalmente quel legame che ho sempre desiderato. Un legame indissolubile, qualsiasi cosa accada. Io ho bisogno di quel legame. Ho bisogno di sapere che in questo mondo c’è qualcuno legato a me, per sempre.
E solo un figlio ti può dare quella certezza. Non mi sentirò più inutile, un fallimento. Avrò una piccola creatura da crescere. Una creatura che avrà bisogno di me. Una creatura da cui non dovrò elemosinare amore, ma che mi amerà a prescindere, perché io gli darò la vita.

Forse penserete che io sia un’egoista, che abbia troppe aspettative verso la maternità… Ma non credo che sia così. Prendete me. Nonostante tutto quello che mia madre mi ha fatto – e vi assicuro che su questo blog ho raccontato solo le parti divertenti – io continuo a tenderle la mano, aspettando – invano – che l’afferri. Continuo a farmi del male, volontariamente, perché una madre e un figlio sono per sempre legati, qualsiasi cosa accada.

Mio figlio avrà da me tutto quello di cui un bambino ha bisogno: amore e protezione. E non importa se non riuscirà a restituirmi lo stesso affetto. Semplicemente donargli il mio amore mi farà sentire bene. Perché finalmente saprò di non stare sprecando le mie energie e il mio cuore per qualcuno che non li merita, per qualcuno che non sa cosa farsene.

Amare è tutto quello che desidero fare. Voglio fare qualcosa di buono. Amare e sapere che il mio amore non è vano.

Pubblicato in: La mia storia

Sogni infranti

Come previsto, sabato io e Marito siamo tornati al centro PMA per discutere il prossimo tentativo di ICSI. Praticamente sono stata io a dettare alla dottoressa dosi e giorni delle iniezioni, tanto sono diventata esperta! Per fortuna non ci ha fatto pagare per la consulenza (e meno male, con tutti i soldi che le dovremo dare alla fine!), e Marito mi ha detto che avremmo dovuto chiederle noi dei soldi, dato che ho fatto tutto io…  😉

Visto che le Malefiche mi sono arrivate, sgradite come sempre, il sei settembre, dovrò iniziare la terapia ormonale il ventisei, ovvero il ventunesimo giorno del ciclo. Come l’altra volta farò la soppressione con un’unica iniezione di Enantone, poi dovrò attendere la nuova visita delle Malefiche e il terzo giorno del ciclo successivo inizierò la stimolazione con il Gonal. Questa volta assumerò dosi maggiori per tentare di produrre qualche ovocita in più, dato che l’altra volta non è andata molto bene (sei follicoli di cui tre vuoti).

Ho parlato alla dottoressa della prostatite di Marito. Ero convinta che l’avrebbe considerata come una buona notizia, invece mi ha detto che, anche dopo la cura antibiotica, sarà impossibile per noi provare ad ottenere una gravidanza naturale. Magari gli spermini miglioreranno come motilità, ma come numero e morfologia assolutamente no. La notizia non mi ha gettato nel panico più di tanto. E’ vero, ci speravo, come vi ho detto nell’ultimo post, ma in fondo al cuore sapevo che era solo una remota possibilità… E quindi, le strade tornano ad essere due, proprio come pensavo fino a pochi giorni fa. Adozione o PMA. E, ripeto, non mi importa quale cammino ci porterà al traguardo. Basta arrivarci, a ‘sto benedetto traguardo!

Tutta la mia vita ormai ruota intorno a questo. Ad un figlio. La mia vita è in stand by. E io voglio che sia così. Non voglio prendermi una pausa di riflessione, come molte altre coppie fanno. Forse mi farebbe bene, ma non voglio. Non voglio prendermi del tempo per me, non voglio che io e Marito sperperiamo soldi in viaggi e ristoranti per cercare di distrarci da qualcosa che, anche impegnandomi con tutte le mie forze, anche godendomi la vita come mai prima, non potrei mai dimenticare: io voglio un figlio. Di tutto il resto non mi importa. La mia vita riprenderà quando lui sarà qui con me. E sarà una bella vita. Sarà la vita che ho sempre voluto.

“Sogni infranti” è il titolo di questo post. Ma non mi riferisco al fatto di aver capito (di nuovo) che diventare mamma normalmente (brutta parola…) è impossibile per noi.

Quello che state per leggere l’ho scritto qualche giorno fa. L’ho scritto di getto, rabbiosamente, mentre piangevo. Ho esitato prima di pubblicarlo sul blog. Un po’ mi vergognavo. Sono pensieri molto intimi. E temevo anche che qualcuno mi potesse accusare di vittimismo, di voler essere compatita… Non è così. E se alla fine ho deciso di pubblicare le righe che state per leggere è perché non voglio più avere paura. E perché voglio liberarmi, e non ho molte persone nel mondo “reale” con cui farlo. E anche per farvi capire che non dovete dare nulla, ma proprio nulla, per scontato. Soprattutto l’amore. E poi, in fondo, tra i lettori di questo blog solo un paio sanno veramente chi sia Eva. Per gli altri sono solo un’anonima blogger come tante altre. Quindi, chi se ne frega se mi giudicherete male.

Famiglia. Cosa significa questa parola per voi? Per me la famiglia è il morbido e caldo materasso che ti accoglie e ti impedisce di ferirti ogni volta che la vita cerca di farti cadere a terra. Gli amori e gli amici se ne vanno, ma la famiglia resta. La famiglia c’è sempre. La famiglia è una certezza. Questa è la famiglia che io e Marito vogliamo essere per il nostro bambino. Questa è la famiglia che ho sempre sognato, e che non ho mai avuto. Sono caduta molte volte. E raramente ho trovato qualcuno ad accogliermi tra le sue braccia per sorreggermi. Sono sempre finita con il culo per terra. Quel morbido materasso che la maggior parte delle persone che conosco da per scontato io non l’ho mai avuto. Non ho mai vissuto, non ho mai sofferto con la certezza di avere qualcuno pronto a tendermi la mano. Anzi. Tante, troppe volte sono stata io a tendere la mano, a dare un aiuto a quelle persone che mi avrebbero dovuto crescere con amore, e che invece hanno lasciato che crescessi priva di qualsiasi fiducia negli altri e in me stessa.

Mia madre non sta bene. Da tanto, troppo tempo. Ma la sua malattia non è visibile, non può essere diagnosticata tramite un’ecografia o una tac, non provoca dolori fisici, non presenta tracce sul corpo. Tutti hanno sempre fatto finta che non ci fosse alcun problema. Tutti dicono che mia madre è semplicemente un tipo “particolare”. Nessuno osa dire la verità. La malattia di mia madre ha condizionato tutta la mia vita. Le sue crisi isteriche mi hanno fatto crescere nella paura, la sua morbosa gelosia verso di me e mio padre mi hanno impedito di frequentare la famiglia, la sua incapacità di provare affetto per qualcuno all’infuori di se stessa mi ha fatto sempre sentire sola. Mio padre, succube della moglie, ha sempre piegato la testa e chiuso gli occhi davanti ai problemi di mia madre. Ha cercato di vivere la sua vita senza lasciarsi condizionare dalle stranezze della moglie. E se l’è sempre presa con me per qualsiasi cosa. Ogni cosa era, ed è, colpa mia. Non di mia madre, non della sua malattia che non riese ad ammettere. NO. Mia.

Da quando avevo tredici anni o giù di lì io e i miei genitori abbiamo smesso di mangiare a tavola insieme. Alla sera ognuno mangiava ad orari diversi. Io a volte mi preparavo qualcosa che poi mi mangiavo nella mia camera, da sola. Ho passato l’adolescenza chiusa nella mia camera. La maggior parte delle volte, in realtà, saltavo la cena. Nessuno si curava di questo. Pensavano che volessi dimagrire. Pensavano che me ne stessi sempre chiusa in camera perché ero un’adolescente tormentata. Con il digiuno, il silenzio e la solitudine io volevo farmi sentire. Ma loro non hanno mai sentito niente.

Quando sono andata a vivere da sola credevo che finalmente mi sarei liberata dell’influenza negativa dei miei genitori sulla mia vita. Mi sbagliavo. Nonostante tutto, loro sono sempre la mia mamma e il mio papà, e ho mantenuto i rapporti con loro. E anche se non viviamo più insieme in questi anni sono sempre riusciti a trascinarmi nel loro vortice di rabbia e pazzia, mentre io, anche impegnandomi con tutta me stessa, non sono stata in grado di trasformarli nei genitori che avrei voluto.

I miei genitori non sono voluti venire al mio matrimonio. Credevo che dopo un affronto del genere non sarei più riuscita a parlare con loro, e invece ho continuato a frequentarli, anche se raramente. Perché sono sempre la mia mamma e il mio papà. E non posso averne altri. Ma ora ho deciso che posso fare a meno di loro. Devo fare a meno di loro, se voglio sopravvivere.

Un paio di giorni fa sono andata a trovare mia madre. Non ci vedevamo da mesi. Ultimamente ci siamo sentite soltanto qualche volta per telefono. Ogni volta la conversazione è finita tra urla e insulti. Mia madre non sopporta il fatto che io frequenti i miei nonni paterni e mia zia, che lei odia, non ho ancora capito per quale motivo. In realtà non è gelosa di me. Non le importa niente di sua figlia. Ma detesta il fatto che altri membri della famiglia ricevano più attenzioni di lei. Forse dovrebbe chiedersi perché le cose vanno così…

In tutti i modi, come dicevo, sono andata a trovarla. Le prime due cose mi ha detto sono state “Hai visto come sono magra?” e “Lo sai che Francesca, la tua compagna di scuola materna, ha un figlio di due anni?”

Bell’inizio.

Poi mi ha parlato dei litigi con mio padre, del fatto che si è vendicato di lui perché non gliel’ha data per sei mesi.

Lei: “Ah ah! Non gliel’ho data per sei mesi!”
Io: “Non sono termini appropriati per parlare con tua figlia.”
Lei: “Eh, va beh, allora dirò che non abbiamo fatto l’amore per sei mesi… Tanto è uguale a dire che non abbiamo scopato!”
Io: “Puoi usare qualsiasi termine, ma la cosa non mi interessa. Non credo che dovresti parlare di questo con tua figlia.”

I discorsi di mia madre non seguono un filo logico. Dopo pochi istanti ha cominciato ad urlarmi per essere andata un pomeriggio sul fiume con Marito,  mio padre, mia nonna e mia zia.
“Hai fatto vedere a tuo marito tua zia in bikini, ma non gli hai fatto vedere le mie foto su facebook!”
Ho fatto vedere a mio marito mia zia in bikini?? Mia zia era sul fiume a nuotare e prendere il sole come tutte le altre persone presenti, era ovvio che fosse in costume! Cosa gliene può fregare a mio marito di guardarla?
“Le tue foto su facebook sono imbarazzanti. Sembri una pornostar. Marito le ha viste. E anche due nostri amici le hanno accidentalmente viste. Si sono vergognati per me.”
Lei ha riso. “Non è vero! Sicuramente hanno detto che sono una bella donna! Perché è così!”
“Si sono vergognati per me,” ho ripetuto. “Quelle foto sono penose.”
“E invece di certo hanno detto che sono una bella donna!”
Oooook.

A novembre i miei genitori andranno alle Mauritius. Mia madre mi ha chiesto se durante la loro assenza posso andare a casa loro a pulire e accudire i gatti, come ho fatto quest’estate. Le ho detto che tra poco dovrò essere operata, e non so se potrò farlo. Non so perché l’ho detto. I miei genitori non sanno nulla dei problemi miei e di Marito. Non sanno della fecondazione assistita. Non conoscono l’inferno che stiamo vivendo. Credono che i loro problemi siano i più gravi del mondo. I litigi da adolescenti, i profili su facebook, le ripicche infantili… Pensavo che non avrebbero mai potuto capire quello che io e Marito stiamo passando, pensavo che non sarebbero stati di alcun aiuto. Eppure in fondo al cuore ho sempre desiderato confessare loro tutto quanto. Continuavo a dirmi che forse questa volta sarebbero riusciti a capire, che davanti ad una realtà tanto cruda e dolorosa sarebbero stati, per la prima volta, il materasso caldo e morbido che non mi hai mai sostenuto…

Quando le ho detto che dovrò subire un’operazione, mia madre ha voluto sapere a tutti i costi di cosa si trattasse. Io ho esitato. La sua agitazione mi metteva ansia. Poi, urlando, mi ha chiesto se i miei nonni e mio padre sapessero già tutto. Non avrebbe potuto sopportare un simile affronto.
“Se l’hanno saputo prima di me ti ammazzo!”
Io le ho risposto di no, che nessuno sapeva niente, ma lei non mi ha creduto e ha alzato la cornetta per chiamare mio padre e chiederglielo. Io l’ho fermata, a fatica, l’ho pregata di non farlo, dicendole che si tratta di una questione molto delicata.

Ha continuato a chiedermi spiegazioni, a chiedermi che cos’ho. Ad un certo punto mi sono lasciata andare e ho detto tutto.
“Abbiamo scoperto di non poter avere figli. E quindi abbiamo fatto la fecondazione assistita,” ho detto, laconicamente, senza lasciar trasparire alcuna emozione, come faccio sempre quando racconto a qualcuno del nostro dramma. Solo chi mi conosce realmente capisce quello che si cela dietro alla mia voce ferma e ai miei occhi impassibili. E mia madre non mi conosce realmente.
“Ah. Ho letto qualcosa, ma non so bene come funziona. Cos’hai dovuto fare?”
Ha parlato con tono neutrale, anzi, quasi allegro, come se non stessimo parlando della prova più grande che ho dovuto affrontare nella vita, come se mi stesse chiedendo, che ne so, da che estetista vado a farmi fare la ceretta…
Avevo appena cominciato a spiegare in cosa consiste la PMA, quando mia madre mi ha interrotto di nuovo per chiedermi ancora se fossi sicura di non aver detto niente a mia nonna. “Devi stare attenta, non dire niente a quella donna, è una vipera, una stronza!”
Ha continuato ad insultare mia nonna per diversi minuti. Mi guardava, ma i suoi occhi vuoti non mi vedevano realmente. Il suo sguardo è sempre stato spaesato, allucinato, perso. Lei non è mai realmente presente. Vive in un altro mondo. Un mondo che solo lei capisce. Io sono in un altro universo. Un universo dove lei non vuole entrare, dove non le interessa entrare.
A quel punto sono scoppiata. “Mamma, ma mi stai ascoltando? Capisci quello che ti sto dicendo?”

Le ho fatto notare che, ogni volta che le parlo di qualcosa di importante, lei non si cura di me, non mi ascolta, non le interessa ascoltarmi, ma coglie il pretesto (o se lo inventa) per cominciare a parlare di mia nonna e a insultarla, proprio come una pazza. Proprio com’è accaduto quella volta che, mettendo da parte tutto il mio orgoglio, le ho mostrato (senza che mi fosse neppure chiesto, eh) l’album del matrimonio, dopo che né lei né mio padre erano venuti alla cerimonia. Anche in quell’occasione non ha prestato alcuna attenzione a me, sua figlia. Ricordo benissimo la foga con cui sfogliava le pagine. Non ha guardato una sola foto che ritraeva me o mio marito. Si soffermava soltanto su quelle dove compariva mia nonna, per criticarla, e insultarla, e sputare veleno. Se qualcuno le chiedesse com’era l’abito di sua figlia o il colore dei fiori in Comune, lei non saprebbe rispondere, ma ricorderebbe perfettamente cosa indossava mia nonna o il modo in cui era seduta.

“Hai ragione,” ha detto, “ma tua nonna è veramente una puttana! Ed è invidiosa di me perché sono una bella donna! Non sono belle le mie foto su facebook?”
“Sono imbarazzanti.”
“Ah, allora dillo che sei arrabbiata con me per quelle foto! Ma non è colpa mia se sono una bella donna…”

A questo punto me ne sono andata, urlando, arrabbiata con lei ma soprattutto con me stessa per aver ingenuamente creduto che per una volta mia madre fosse in grado di ascoltarmi. Mentre me ne andavo lei continuava ad inveire contro mia nonna. Non mi ha fermata, non mi ha domandato perdono.

Da quel giorno mia mamma si è fatta sentire soltanto tramite alcuni sms. Ma non mi ha chiesto scusa, non mi ha chiesto se potevamo riprendere il discorso, non mi ha chiesto come sto. Mi ha solamente scritto che è stanca di essere esclusa da tutto e di non esistere per nessuno.

Quando ho raccontato l’accaduto alla psicologa, mi ha consigliato, per il mio bene, di stare lontano da mia madre e di non arrabbiarmi così tanto, ma di considerare che è una donna malata che vive in un suo mondo immaginario. Non è in grado di comprendere la realtà, né di capire che il suo comportamento non è normale.

Mamma. Sono tua figlia. Te ne rendi conto? Non posso avere figli. E un figlio è tutto quello che desidero dalla vita. Lo sapevi, questo? No. Non lo sai. Non me l’hai mai chiesto. Non ti è mai interessato scoprirlo. Non te ne frega niente di sapere quello che ho passato. Non mi hai neppure lasciato finire di parlare. Non sai che mi sono dovuta imbottire di ormoni, non sai che ho pianto durante il pick up, non sai che gioia ho provato sentendo quei due puntini luminosi dentro di me, non sai nulla… Cazzo, non sai neppure se sono incinta o meno!
Io ho avuto un aborto, mamma. Non so neppure se chiamarlo così, visto che la gravidanza è durata poco più di due giorni. Ma io mi sono sentita tanto felice quando pensavo di poter finalmente essere una mamma, e sono stata malissimo quando quella piccola vita, quella che sarebbe diventata una vita, mi ha lasciato.
Mamma, non mi interessano le tue scopate, i tuoi amanti, le tue foto su facebook, il tuo odio per la nonna. Volevo soltanto che mi ascoltassi. Ma non sei riuscita a farlo. So che non ci riesci perché sei malata, ma avrei voluto tanto, per una volta, una volta sola, avere una mamma.
Quando mio figlio o mia figlia verranno da me, sofferenti, io sarò per loro il caldo materasso che tu non sei mai stata.
Che strano il destino, vero, mamma? Tu che un figlio non lo volevi e non eri neppure in grado di crescerlo sei rimasta incinta senza volerlo, mentre io, che sogno di essere madre da sempre, devo faticare così tanto per realizzare il mio sogno.
Ti ho dato la possibilità per essere una mamma, per una volta. Ma tu non hai voluto approfittarne. Io sarò una madre decisamente migliore di te.
E, chissà, forse è anche grazie a tutto quello che mi hai fatto passare che negli anni ho capito chi voglio e chi non voglio essere. Forse dovrei ringraziarti, perché mi hai fatto scoprire cosa significa crescere con una persona incapace d’amarti. E i miei figli non scopriranno mai cosa si prova. I miei figli non diranno mai quello che io sto per dire: “Io non ho più una madre.”

Mi piacerebbe poterle dire tutto questo. Ma lei non capirebbe. Non capisce mai. Ed ora ho capito che non posso obbligarla a capire.

L’altro giorno, non so per quale motivo (forse a causa dello scombussolamento ormonale provocato dalle Malefiche) ho raccontato ai miei colleghi qualche anneddoto sulla mia famiglia. Ho detto loro che non mangiavamo mai insieme, e che ognuno si cucinava quello che voleva all’ora che voleva e mangiava da solo.

I miei colleghi non mi hanno creduto. Hanno riso di me. Mi hanno accusata di esagerare, perché secondo loro è impossibile che esistano famiglie del genere e che dei genitori si possano comportare in questo modo.

Tralasciando l’ignoranza dei miei colleghi (ci sono anche dei genitori che abusano sessualmente dei figli – ma non li leggono i giornali?), i loro commenti mi hanno fatto capire che le persone danno tutto per scontato.

I genitori amano i figli.

No, non è così. Non sempre. A volte li vorrebbero amare, ma non sono in grado di farlo.

I miei colleghi credono anche che avere un figlio sia una cosa normale, un qualcosa che tutti possono ottenere. E neanche questo è vero.

Non bisogna dare nulla per scontato. E i miei figli riceveranno tutto l’amore che ho da dare, tutto l’amore che non ho mai ricevuto, tutto l’amore che ho sempre desiderato.

L’obiettivo della mia vita è trasformare la rabbia in amore. Finora ci sono sempre riuscita, seppur a fatica. E anche la rabbia per dover lottare tanto per diventare madre alla fine si rivelerà qualcosa di buono. Dopo aver atteso tanto, mio figlio sarà il bambino più amato del mondo. E gli insegnerò a non dare nulla per scontato.

P.S. Un applauso a chi è riuscito ad arrivare alla fine di questo luuuungo post!