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Cose da non dire ad una donna incinta: la top five

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In questo blog ho parlato spesso delle domande stupide che vengono poste alle donne infertili. Ho persino pubblicato un (mi dicono utile) manuale a proposito!

La mia miracolosa gravidanza mi ha restituito il sorriso, donato la felicità, ma di certo non mi ha tolto i soliti idioti di torno.
Eh già, perché le domande sceme arrivano sempre. Per fortuna, quando sei felice riesci a sopportarle meglio.

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Pubblicato in: Riflessioni

Parlare con una donna infertile: istruzioni per l’uso

Domani è il Gran Giorno.
Io e Marito abbiamo appuntamento al San Paolo di Milano, dove mi verrà fatta un’ecografia e finalmente comunicata la terapia che dovrò seguire per la stimolazione ormonale e che, salvo intoppi, dovrei iniziare domani stesso.
Per stemperare un po’ la tensione voglio condividere con voi questo post, che ho già scritto da giorni ma finora non ho avuto tempo di pubblicare. Enjoy 🙂

Qualche tempo fa, nei commenti, mi è stato chiesto di dare qualche consiglio sulle cose da dire/NON dire quando si parla con un’amica/collega/conoscente con problemi di infertilità. Perciò ho redatto questo manuale.

Premessa num. 1: Con il termine “donna infertile” intendo sia la donna che ha difficoltà a concepire, sia quella “sana” che ha un partner/marito “problematico”.
Premessa num. 2: Naturalmente ho scritto questi consigli pensando a me e al mio carattere, ma non penso di sbagliarmi dicendo che sono validi un po’ per tutte le donne. E pure per gli uomini. Anche se, rispetto a noi donne, parlano meno spesso e meno volentieri dei loro problemi con altri, questo non vuol dire che non abbiano un cuore!
Premessa num. 3: La seguente guida, nonostante sia stata scritta con molta (auto)ironia, deve essere presa dannatamente sul serio.

PRIMA REGOLA: Maneggiare con cura!

E’ matematico. Quando una donna è sposata, oppure convive, da qualche mese, i vicini di casa/colleghi/amici cominciano a porle la FATIDICA DOMANDA.

“Ma quando fate un bambino?” oppure “Ma voi non volete bambini?”

A volte la domanda è posta sotto forma di battuta, soprattutto quando esce dalla bocca di una neomamma (solitamente la neomamma in questione ha impiegato 1 o 2 rapporti per rimanere incinta, non ha idea di cosa siano i giorni fertili e non sa manco bene come funzioni il ciclo mestruale).

Ad esempio: “Ehi! Ora tocca a voi!”

Queste persone non si rendono conto di quanto facciano male certe domande. Ed è a voi che mi rivolgo. Ovviamente non potete sapere il dramma che sta attraversando una donna infertile, se la suddetta non vi ha confidato il suo problema.

L’ignoranza è ammessa, la curiosità no.

Suvvia, non mentite. Certe domande non sono poste in buona fede. E’ solo la curiosità morbosa, il desidero di impicciarsi negli affari altrui, di sparlare alle spalle dell’amica/collega/vicina di casa, a spingervi a fare LA DOMANDA.
Voi non volete sapere se la donna in questione desidera dei figli oppure no. Sapete benissimo che, se li desiderasse, li avrebbe già.

Voi volete soltanto sapere PERCHE’ non ha figli.

Tutti sappiamo come si fanno i bambini. E basta far lavorare un attimino la materia grigia per capire che, se una coppia non ha figli, i motivi possono soltanto essere i seguenti:

1. Non li vuole (sì, ci sono anche persone che non amano i bambini!)
2. Non ha i mezzi economici per mantenere un figlio
3. La coppia è in procinto di scoppiare e non è il momento giusto per pensare alla riproduzione
4. Ha dei problemi di infertilità/sterilità

Quando ponete LA DOMANDA, obbligate la donna che sta davanti a voi a confessarvi delle faccende MOLTO intime, mettendola in imbarazzo. Questo vale soprattutto nel caso in cui la vostra interlocutrice sia una conoscente o una collega. Ma vale anche per le amiche. Se un’amica, sposata da anni, non ha figli e non ha mai sfiorato l’argomento, significa che non ne vuole parlare. Molto semplice.
POTREBBE essere lecito porre LA DOMANDA ad un’amica con cui si ha confidenza, ma nel momento giusto e con il giusto tatto. Chissà, forse aspetta solo un input per parlarvene. Ma, se vedete che è restia ad affrontare l’argomento, per favore, lasciate perdere.
Se siete tanto curiose, compratevi un giornale di gossip e sparlate dei personaggi famosi.

SECONDA REGOLA: A volte il silenzio è meglio di tante parole

Ci sono momenti in cui una donna non ha voglia di mentire. Quando le viene posta LA DOMANDA non ha voglia di rispondere con un sorrisino imbarazzato. Non vuole passare per una che non ama i bambini, o per quella che pensa prima alla carriera che alla famiglia.
E non perché ci sia qualcosa di sbagliato in questo, ma semplicemente perché non corrisponde alla verità. Ci sono anche momenti in cui una donna sente il bisogno di dire la verità, a voce alta. Di dire: “Io e mio marito/il mio compagno non possiamo avere figli.”

A volte è meglio stare zitti piuttosto che parlare tanto per dare aria alla bocca. Ci sono occasioni in cui l’unica reazione possibile è il silenzio o, al massimo, un abbraccio o una parola di conforto. E invece ci sono sempre persone pronte a giudicare il tuo dolore, a sputare sentenze, a dare consigli anche se non ne sono in grado, anche se non possono capire. Basta usare un attimo il cervello per capire che, talvolta, è meglio non dire nulla piuttosto che parlare a vanvera.

Ultimamente ho deciso che non voglio più mentire. Quando qualcuno mi pone LA DOMANDA (e da quando sono sposata questo accade sempre più spesso) ho deciso di dire la verità.
“Sì, vorrei dei figli. Ma noi non possiamo averli.”

Le reazioni che ho causato sono state diverse. Ora vi farò un esempio di reazione assolutamente fuori luogo e di reazione accettabile, anzi, gradita.

Reazione num. 1 – NON ACCETTABILE

L’altro giorno stavo parlando con un paio di colleghe del volontariato che io e Marito svolgiamo con i bambini della comunità.
Ad un certo punto una delle due donne mi guarda e fa, con espressione dolce: “Ma tu non hai voglia di bimbo?”
Mi si è gelato il sangue nelle vene. Eh sì, questo è l’effetto che mi provoca LA DOMANDA.
“Sì, molto, ma… Sai, noi non ne possiamo avere.”
“Ah, scusami. Non lo sapevo,” ha risposto lei, facendosi seria.
Io ho alzato le spalle. “Non preoccuparti.”
“Ma, senti… Ne sei sicura?”

Devo commentare una domanda del genere?

Reazione num. 2 – GRADITA

Qualche giorno fa ho confidato ad una mia conoscente (una volontaria dell’associazione animalista in cui opero), che io e Marito non possiamo avere figli e stiamo provando con la PMA.

“Si vede che sei alla ricerca!” ha detto lei.
“Davvero? Come l’hai capito?”
“Non lo so… Si vede. Ti auguro di farcela.”
Poi si è avvicinata e mi ha abbracciato.

Non ha detto stupide frasi di circostanza.
Non ha emesso sentenze.
Non mi ha detto cosa fare.

Mi ha solo fatto sentire il suo calore, la sua vicinanza.

TERZA REGOLA: Siete ignoranti. Fatevene una ragione.

La maggior parte delle donne infertili/che hanno un compagno o marito infertile, non si arrendono davanti alla bastardaggine della Natura, ma cercano in ogni modo di superare gli ostacoli. Se fate lavorare la solita materia grigia che a volte scordate di avere, i metodi per riuscirci sono soltanto due: o PMA, o adozione.
Ci sono anche coppie che ad un certo punto decidono di gettare la spugna, o perché stressati dai tentativi falliti o perché stremati dalla burocrazia.
Altre coppie, per qualsivoglia motivo, quando scoprono di avere dei problemi decidono di non provare né con la PMA, né con l’adozione, ma di accettare il loro destino.

Rendetevi conto che voi non siete nessuno per poter giudicare decisioni così importanti. E neppure per dispensare consigli. Io accetto malvolentieri persino i consigli di donne che stanno affrontando le mie stesse difficoltà, FIGURIAMOCI se mi (e ci) può far piacere sentire le stupide frasi di circostanza di una persona che non ha la più pallida idea di quello che sto passando, di cosa sia la PMA o di come si svolgano le pratiche per l’adozione!
E immaginatevi come possa reagire a certe frasi quando, mettiamo il caso, sono sotto ormoni o ho appena parlato con l’assistente sociale…

Siete ignoranti. Davvero. Non è un’offesa. E’ che… E’ proprio così.

Non tutte le donne, dopo avervi confessato di essere infertili, o di avere un partner infertile, vi confideranno cos’hanno intenzione di fare. Voi, per carità, non chiedete. Ma se la donna in questione decidesse di aprirvi il suo cuore, per favore, non atteggiatevi da medici, psicologi o consiglieri. Non lo siete.

Se una amica/collega/conoscente vi dice di non poter avere figli, non chiedetele se ne è SICURA. Prima di effettuare una diagnosi del genere, i medici procedono con tutti i controlli del caso. E, prima di accettare una verità tanto cruda, prenderne atto e confidarla ad altri, state pur certi che una coppia si fa visitare da decine di medici.

Quindi sì, se ve lo sta dicendo, ne è sicura.

Una persona non va in giro a dire che non può avere figli se sta avendo rapporti non protetti da una settimana, magari ha pure le mestruazioni e non ha mai fatto alcun esame per l’infertilità. E che cavolo.

Poi.

Non ironizzate. Non fate sentire la vostra interlocutrice come se fosse una donna a metà. Non provocate in lei istinti omicidi nei vostri confronti. Non avete idea di cosa potrebbe fare una donna durante la stimolazione ormonale.

“E pensare che io, invece, ci ho messo cinque minuti a fare un figlio!” oppure: “Pensa che io sono rimasta incinta senza neppure volerlo!”

Ecco, questi sono esempi di frasi che vi potete risparmiare. Anche se le dite ridendo. Non fanno ridere.

Se la vostra interlocutrice vi confessa che è suo marito ad avere dei problemi, per favore, risparmiatevi battutine idiote sulla virilità del suddetto.

Vi faccio due esempi di battute che non ho per nulla apprezzato. Una mia amica un giorno mi ha raccontato, ridendo, che aveva parlato dei nostri problemi al suo moroso. Quest’ultimo si era preoccupato, e si era chiesto se, osservando da solo il suo – ehm – liquido seminale, potesse riuscire a capire quanti spermatozoi ci fossero.

“No. Gli spermatozooi si vedono solo con il microscopio…” è stata la mia laconica risposta.

Ancora oggi mi chiedo se fosse una battuta o una domanda seria.

Un’altra amica, appena le ho confidato i miei problemi (continuava a insistere per sapere perché non avessi un figlio! – avrei dovuto mandarla a fanc##o, lo so), mi ha consigliato, sempre ridendo (oh, ma che ca##o avete tutti da ridere?), di far prendere a mio marito del VIAGRA.

“Ehm… Guarda che non hai capito… Non è mica impotente! Gli funziona tutto, lì giù… Solo che il suo sperma non è di buona qualità!”

Non credo che mi abbia ascoltato. Era troppo impegnata a ridere.

Non esprimete pareri negativi sulla PMA. Anche se per principi etici o religiosi siete contrari a queste pratiche, cercate di capire che la donna che avete davanti sta soffrendo e probabilmente dovrà soffrire ancora a lungo per riuscire a realizzare il suo sogno. E di certo avrà riflettutto a lungo prima di decidere cosa fare. Non ha bisogno di essere moralizzata dal cattolico invasato di turno.
Anche perché le vostre critiche non serviranno a farle cambiare idea, ma soltanto a rendervi, ai suoi occhi, degli stronzi insensibili.

Non esprimete giudizi sull’età. Non dite alla donna che avete davanti: “Ma non sei troppo giovane per la fecondazione assistita? Dai, aspetta, tanto di tempo ne hai davanti! Magari nel frattempo resti incinta!”

No, nel frattempo non resterà incinta, a meno che accada un miracolo. Dubito che voi aspettiate un miracolo per realizzare il più grande sogno della vostra vita, no? Ecco, allora non consigliate ad altri una cosa tanto stupida.

“Ma ormai hai quarantacinque anni…”

Altra frase da evitare. Non potete sapere perché una persona abbia aspettato fino a quell’età prima di cercare di avere un bambino. Forse sta già provando da decenni, invano. Forse prima non le era possibile per motivi economici, lavorativi, o chissà che altro. Non sono affari vostri. Punto.

E per quanto riguarda l’adozione… Ah, di questo potrei parlare per ore ed ore. Avrei milioni di esempi di frasi e domande stupide che mi sono sentita rivolgere. Cercherò di elencarvi le affermazioni che più comunemente escono dalla bocca di chi è scarsamente dotato di sensibilità e inoltre, di adozione, non sa un bel niente.

“L’adozione, davvero? Tutti quei colloqui con gli psicologi… E ho pure sentito che i servizi sociali possono venire a casa tua a sorpresa! Ma come farete a sopportare tutto questo? Io non ce la farei mai!”

Prima di tutto, non è una buona idea creare il panico in un futuro genitore adottivo. Secondariamente, la persona con cui state parlando sa già perfettamente a cosa sta andando incontro. E riuscirà a sopportare tutto semplicemente perché vuole adottare un bambino.
Voi no, o perché non avete problemi di infertilità o perché non volete figli. L’amore, la passione, è ciò che ti aiuta a
sopportare tutto. A volte non basta, è vero. Ma è questo che ti spinge ad affrontare un percorso tanto faticoso.
Perciò… Domanda stupida, passiamo alla prossima.

“Vuoi adottare un bambino? Pensaci bene… Non sarà mai davvero tuo figlio! E poi lo sai che i bambini adottati cercano sempre, prima o poi, i genitori VERI!”

Devo davvero commentare una frase del genere? O dirvi cosa c’è di sbagliato? Sarebbe un insulto alla vostra intelligenza, suvvia. E, se non riuscite a trovare niente di sbagliato nella suddetta affermazione, temo proprio che per voi non ci sia alcuna speranza.

“L’adozione, che bello! Ma come siete bravi! Vi daranno subito un bambino, ce ne sono così tanti negli orfanotrofi!”

No, non siamo bravi. Siamo disperati, semmai.
Disperati e consumati da un desiderio che, forse, ma non è detto, verrà realizzato dopo tanti anni di sofferenza.

In Italia gli orfanotrofi non esistono più. Da anni. E non ci sono tanti bambini adottabili. La proporzione tra bambini adottabili e coppie disponibili è spaventosa, e terribilmente a sfavore degli aspiranti genitori. Adottare in Italia è quasi impossibile.
Quando spiego queste cose la maggior parte delle persone rimane a bocca aperta.
Eh, lo so. Vi ho detto che siete ignoranti! Perciò, non parlate che fate una figura migliore.

All’estero gli orfanotrofi, purtroppo, ancora esistono, e sono strapieni. Ma anche lì non è facile adottare.
Non importa se siamo giovani, belli, bravi, benestanti… Alcuni Paesi impongono criteri molto rigidi per l’adozione. E solo i bambini sopra ad una certa età e con particolari problemi possono essere adottati dagli stranieri come noi.
Se non hai dato la disponibilità per quei problemi o per quella fascia di età, o se non rientri nei loro criteri, la strada è comunque in salita.

Ancora una volta, per favore, state zitti. Oppure, CHIEDETE. A me personalmente fa piacere quando il mio interlocutore ammette di essere ignorante e vuole capire come funziona la PMA o l’adozione. Non tutti amano parlare di certi argomenti, ma sicuramente chiedere (garbatamente e con tatto) è migliore che dire frasi di circostanza, spesso completamente errate.

QUARTA REGOLA: Annunci di gravidanze: come, quando, perché

Tasto dolente. Dolentissimo, direi.

Ogni volta che vedo una donna con il pancione, una donna con il bambino nel passeggino, o ricevo l’annuncio di una gravidanza, io mi sento morire.
Tanto per farvi capire quanto stia male, una volta mi sono chiusa in bagno a piangere quando una collega è venuta in ufficio con il suo neonato al seguito (per mostrarlo ai colleghi).

Io non voglio essere trattata diversamente. Io voglio sapere se la tal collega, l’amica o la vicina di casa è incinta. Non voglio che le persone mantengano il segreto con me perché hanno paura che io stia male. Tanto, prima o poi lo verrò a sapere lo stesso.

Ma, se la persona che annuncia la gravidanza, propria o di una terza persona, conosce il mio PROBLEMA, pretendo che mi mostri un po’ di sensibilità.
Non voglio che un’amica mi chieda scusa, annunciandomi di essere incinta. Ci mancherebbe. Ma non voglio neppure che pretenda che mi mostri entusiasta, o che sia disponibile ad ascoltare la telecronaca della sua gravidanza minuto per minuto.
Sono disposta a condividere la felicità di un’amica, se lei, però, è disposta ad ascoltare il mio dolore.
L’amicizia non è a senso unico.

Per fortuna, da quando è iniziato l’incubo, nessuna mia amica è rimasta incinta.

QUINTA REGOLA: Ascoltate con il cuore

Ormai avrete capito che le cose che potete dire sono ben poche.
E non solo perché non siete medici, né psicologi, ma soprattutto perché… In fondo, non c’è molto da dire.

La donna che avete davanti sta soffrendo.

Non importa se questa donna è vostra sorella, un’amica, una semplice conoscente o una collega. Accettate il suo dolore. Ascoltatelo. Qualsiasi sia il motivo per cui ha deciso di confidarvi le sue difficoltà (forse è stremata dalle vostre domande impertinenti, o magari ha voglia di sfogarsi) non merita di essere giudicata, additata, derisa. Sta già soffrendo abbastanza.

Mettete da parte la vostra curiosità, il vostro qualunquismo, il vostro desiderio di atteggiarvi da consiglieri. Ascoltate, e basta. Donatele un sorriso, un abbraccio, una carezza. Una parola di speranza. Un augurio.

E’ tutto quello che cerca da voi.

E’ tutto quello che potete darle.

Pubblicato in: Adozione, La mia storia

Adozione e paure

Prima di affrontare l’argomento di questo post, voglio rispondere a due commenti.

Il primo è quello di Joanne, la quale mi fa notare che:

Spesso parli delle donne che decidono di dare in adozione un figlio come incompetenti, criminali, malate, tossicodipendenti…non è sempre così. Mia cugina è rimasta incinta a 15 anni, e ha deciso di dare il bambino in adozione. Durante la gravidanza è stata seguita da un ginecologo, ha fatto tutti gli esami necessari, ha preso l’acido folico e non ha bevuto nemmeno il caffè. E’ stata una madre, in quei nove mesi, pur sapendo che poi non lo sarebbe più stata. Quando il bambino è nato continuava a ripetere “non fatemelo tenere, anche se lo chiedo non permettetemi di prenderlo in braccio”, è stato terribile, e c’è voluta molta forza per fare quello che lei riteneva assolutamente la scelta migliore. Per questo quando sento generalizzare sulle madri biologiche dei bambini in adozione mi ribolle il sangue.

Oh beh, sapessi quante volte ribolle a me il sangue…

Prima di tutto mi sembra di non aver mai generalizzato, e di aver specificato che in molti (non TUTTI) i casi i bambini dati in adozione provengono da famiglie disagiate, sono stati abusati, maltrattati, hanno patito la fame o il freddo, ecc.
Questo mi è stato detto dall’assistente sociale, dati alla mano.
Sicuramente l’assistente sociale ne sa di più di una persona che ha conosciuto un SOLO caso.

Anch’io sono figlia di una persona schizofrenica eppure sono venuta su bene (ed è sorprendente, da quello che mi dice la mia psicologa), ma questo non toglie che nella maggior parte dei casi i figli di persone con malattie mentali presentano gravi problemi da adulti.

In secondo luogo, ammiro le persone come la cugina di Joanne, che sono riuscite a prendere la decisione più giusta per il bene del bambino, nonostante in precedenza abbia preso di certo scelte altamente sbagliate – a meno che non sia stata vittima di violenza, avere un rapporto sessuale, non protetto tra l’altro, a QUINDICI anni, quando si è poco più che bambine, non è proprio una decisione matura.
Sicuramente è stata supportata dalla famiglia nella decisione di portare avanti la gravidanza e dare in adozione il bambino, ma a quell’età non è comunque facile. Ha tutta la mia stima. E spero che il bambino abbia ora una vita serena, così come sua madre biologica.

Generalizzare non è nel mio stile, ma le statistiche sono vere e dicono quello che ho riportato io.
Poi è ovvio che ci sono le eccezioni. Ma sono, appunto, eccezioni. Punto.

Altro commento, di patalice:

come si fa?
come si fa a decidere di amare una persona che con te non c’entra nulla?
come si fa a decidere di lottare contro una burocrazia ridicola e lungaggini tediose?

(Questa commentatrice vince sia il titolo di “Miss Sensibilità” che quello di “Miss simpatia”…)

Amare una persona che con me non c’entra nulla…?

Mio figlio (perché questo sarà, anche se non nascerà dal mio ventre) c’entra tutto con me.
C’entra con la mia sofferenza, con il mio desiderio di diventare madre, con la mia vita, il mio cuore, che lui riempirà.
Lui mi permetterà di realizzare il mio sogno. Crescere ed amare una creatura che ha bisogno di qualcuno che lo prenda per mano e gli insegni la vita.

Io c’entro con la sua sofferenza.
Perché lui soffrirà, oh sì, e tanto, quando, a mano a mano che diventerà grande, scoprirà la sua storia, il suo passato.
E io allevierò il suo dolore.
Ci cureremo a vicenda.
Siamo entrambe persone che hanno bisogno di essere guarite.

Non c’entra nulla con me…?

Noi giocheremo insieme, piangeremo insieme, io lo cullerò di notte quando piangerà, io gli darò il latte, io gli racconterò le favole, io lo accompagnerò a scuola, io gli cucinerò i suoi piatti preferiti, io lo sgriderò, io gli insegnerò cosa è giusto e cosa è sbagliato…!
Non chi gli ha dato la vita, fisicamente parlando!

Lui o lei si arrabbierà con ME quando gli impedirò di vestirsi con abiti di dubbio gusto (tipo pantaloni da rapper che fanno vedere le mutande, minigonne inguinali, o qualsiasi cosa andrà di moda tra 15 – 20 anni…), mi dirà brutte parole, falsificherà la MIA firma sulle giustificazioni, mi dirà delle bugie per uscire con i suoi amici anziché studiare…
Io lo metterò in punizione, io gli spiegherò perché l’ho fatto, e lui/lei mi abbraccerà e mi chiederà scusa…
Andremo al cinema, in vacanza, a portare a spasso i cani, ovunque lui/lei voglia andare, INSIEME… Vivremo la vita INSIEME…
Il nostro futuro sarà lo stesso. Le nostre vite si intrecceranno, per sempre. Io, Marito e il nostro bambino.

Come si può dire che non c’entra nulla con me…?
Solo perché non avrà i miei occhi, il mio colore di capelli, la mia carnagione, il mio naso, o i tratti di Marito?
Conta tanto l’aspetto fisico?

E allora, a questo punto, cosa c’entra mio marito con me?
Abbiamo avuto due passati diverse, due vite diverse, finché le nostre strade non si sono incrociate e non abbiamo deciso di unirle per sempre.

Spesso un figlio “di pancia” non è una scelta. E’ un errore (ops), una cosa che ti capita senza volerlo, un incidente di percorso…  Non è stato cercato, desiderato…

Un figlio adottivo è una scelta. Viene cercato, desiderato, con tutto il cuore, da persone che veramente lo vogliono. Che lo vogliono amare, guarire, che gli vogliono donare un domani. Che vogliono coronare il proprio amore. E a cui della genetica non importa un fico secco, perché considerano l’AMORE più importante.

A fare sesso e concepire un bambino sono buoni tutti. A fare la madre e il padre, solo chi veramente lo desidera ne è in grado.

E la burocrazia.. La burocrazia è lunga, ma non ridicola.
Pensavo anch’io che la fosse, ma non è così. Solo chi ci è passato può capirlo.
Il corso, i colloquio con i servizi sociali, tutto è stato utile.
E’ stato utile per il nostro bambino, perché così avrà due genitori preparati a crescerlo, è stato utile per noi, perché siamo maturati come persone.

I tempi del tribunale sono lunghi semplicemente perché in Italia ci sono pochi bambini adottabili rispetto alle coppie che si propongono.

E questo non possiamo cambiarlo, ma solo accettarlo.

Mi sembra di sprecare energie scrivendo queste parole, perché tanto so che, chi non vuol capire, chi non ha interesse a capire, non capirà mai.
E va bene così.
L’adozione non è per tutti.

E l’amore, in fondo, non si può spiegare.
C’è chi ha un cuore grande, chi un cuore piccolo, chi proprio non ce l’ha.

Ed ora passiamo a quello di cui volevo veramente parlare.

Come promesso, in questo post affronteremo un argomento molto importante per tutte le coppie che stanno pensando di intraprendere il cammino dell’adozione.
Le paure.

Quali sono le paure che accomunano tutti gli aspiranti genitori adottivi?
Per esperienza personale, e dopo essermi confrontata con altre coppie, sono giunta alla conclusione che i timori più frequenti sono:

– Che i servizi sociali non giudichino la coppia idonea
– Che il bambino sia malato
– Che un giorno decida di trovare le sue origini
– Che non riconosca mai i propri genitori adottivi come la sua mamma e il suo papà
– Il giudizio degli altri

Forse non l’avrete notato subito, ma c’è qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto questo.
Tutte queste paure sono riferite alla coppia, e non al bambino bisognoso di una famiglia.
E questo è un modo errato di pensare. Anch’io ho impiegato un po’ di tempo a capirlo, ma alla fine ce l’ho fatta.

Abbiamo paura che i servizi sociali non scrivano una relazione positiva perché non vogliamo rischiare che ci venga impedito di realizzare il nostro sogno più grande, non vogliamo che il bambino sia malato perché dopo aver sofferto tanto per “ottenerlo”, ecchecavolo, vogliamo che almeno sia sano come un pesce, speriamo che non desideri mai rintracciare la sua famiglia biologica perché lui è nostro, e soltanto nostro, e temiamo il giudizio degli altri perché vorremmo che il nostro figlio di cuore sembrasse anche nostro figlio di pancia, e non vogliamo dover rispondere ad insulse domande.

Non mentiamo. Il desiderio di adottare nasce, nella maggior parte dei casi, dall’egoismo di una coppia, dal desiderio di avere un figlio anche quando Madre Natura ci è avversa. Non è che ci sottoponiamo ad analisi psicologiche, affrontiamo corsi, burocrazia, tribunali, solo per altruismo o per bontà…
Ma questo è probabilmente l’egoismo più bello che ci sia.

Anch’io ho avuto (e ho) tutte queste paure, certo. E pure Marito.
Ma ho capito che stiamo guardando la situazione dal punto di vista sbagliato.
La parte debole NON siamo noi.

Tutta la sofferenza che abbiamo patito a causa dello scherzetto di Madre Natura non è nulla in confronto al dolore di un bambino che è stato abbandonato o, peggio ancora, maltrattato o abusato.
La parte debole è LUI. Non noi.

Nella maggior parte dei casi, se i servizi sociali non giudicano la coppia idonea, significa che è davvero così. Significa che la coppia in questione non è abbastanza preparata, o matura, per affrontare questo percorso. Ed in questo caso è meglio che gli aspiranti genitori riflettano prima di riprendere il cammino.
Alla coppia questo può sembrare ingiusto, verso di loro, ma è la cosa più giusta da fare per il loro futuro bambino.
(Ovviamente escludo i casi in cui gli assistenti sociali sono degli incapaci, o prendono in antipatia la coppia, ecc ecc… Fortunatamente, da quello che ho letto mi pare che non accada spesso).

Eventuali malattie del bambino. Di questo ho già parlato. Alla coppia viene data ampia libertà di scelta riguardo alle malattie, ma è ovvio che non bisogna essere troppo rigidi.
Io e Marito non abbiamo dato la disponibilità per le malattie gravi perché non ci sentiamo in grado di affrontarle, ma non abbiamo problemi riguardo malattie “minori”.
Un bambino dato in adozione non può essere un bambino completamente sano, né da un punto di vista fisico, né mentale. Non è possibile.
Spesso i bambini vengono abbandonati proprio perché hanno dei “difetti” (da quello che ci ha detto l’assistente sociale, questo accade soprattutto tra i rom). E come può non avere problemi un bambino che magari è stato picchiato, o abusato sessualmente, o anche soltanto abbandonato in ospedale dalla propria madre? Voi come stareste, al suo posto?
Magari il bambino sarà tranquillissimo, riuscirà ad elaborare tutto quanto grazie al vostro amore. Ma questa è un’eventualità remota.
Molto più probabilmente da bambino avrà atteggiamenti aggressivi verso i genitori e verso i suoi coetanei, e da adolescente manifesterà il suo disagio in un qualche modo, che sia la solitudine o atteggiamenti eccessivi (droga, alcool, gioco d’azzardo…).
Un genitore adottivo deve essere pronto a tutto questo. E deve mettersi nei panni di suo figlio. Empatia è la parola d’ordine.
Ovviamente non si può essere pronti a tutto. Le situazioni vanno affrontate una volta che si presentano, anche perché non si può sapere in anticipo come si comporterà da grande un bambino adottato!

Ma bisogna sapere che, prima o poi, in un modo o nell’altro, manifesterà un disagio (come tutti gli adolescenti, d’altronde).

La ricerca delle origini. Un sogno per il bambino adottato, un incubo per i suoi genitori “di cuore”.

In tutte le famiglie occorre parlare, ma quando è presente un bambino adottato bisogna parlare ancora di più.
Occorre spronare fin da piccolo il bambino a parlare di sé, aiutarlo ad elaborare i ricordi, a capire cosa gli è successo, ovviamente con parole adatte per la sua età.
Parlare, parlare, parlare. E spingerlo a esprimere le sue emozioni. Solo così lo si può aiutare a superare il trauma per quello che gli è successo.

Mi è rimasta impressa una conversazione che ho avuto con un signore presente al corso per l’adozione.
Questo signore ha un fratello che ha adottato un bambino da un Paese dell’Est Europa. Il bambino rifiuta totalmente le sue origini, non vuole neppure sentir nominare il suo Paese, e i suoi genitori adottivi sono contenti così.
Il signore in questione mi ha confidato che spera che anche il suo futuro bambino si comporti in questo modo.
Ecco, questo è un atteggiamento COMPLETAMENTE SBAGLIATO.
Se un bambino adottato esprime tanto astio verso la sua terra natia, significa che c’è un problema. E grosso, anche.
Una rabbia repressa che prima o poi esprimerà, magari in un modo malsano.

Noi stiamo puntando sull’adozione nazionale, per ora, ma questo non vuol dire che nostro figlio sarà italiano. Potremmo benissimo essere abbinati ad un bambino straniero abbandonato qui in Italia.
Se dovesse essere di un’etnia diversa dalla nostra (rom, africano, ecc.), noi cercheremo in tutti i modi di mantenere vivo il legame con la sua terra, imparando le usanze, anche un po’ di lingua, le ricette… E questo sarebbe un grande arricchimento anche per noi!

Un giorno nostro figlio potrebbe decidere di fare delle ricerche per ritrovare i suoi genitori naturali. In Italia la legge impone che il figlio adottivo abbia compiuto 25 anni prima di poter accedere agli atti che lo riguardano presso il tribunale.
Mi auguro che, quando avrà 25 anni, mio figlio sarà maturo e in grado di fare scelte consapevoli.
Ovviamente saprà già tutto, da me e Marito, riguardo al suo passato, o almeno quello che saremo in grado di dirgli.

Questa eventualità non mi fa paura.
Io sono certa che sarò una buona madre, e che lui, o lei, mi amerà.
E capisco anche il desiderio di cercare le proprie origini. Mi auguro che, quando deciderà di partire verso il suo Paese, o deciderà di andare alla ricerca di sua madre o suo padre biologici, che sia qui in Italia o altrove, lui mi chieda di accompagnarlo.
Sarebbe il regalo più bello che potrebbe farmi. La sua FIDUCIA.

Se io venissi abbandonata, o tolta dalla mia famiglia, penso che farei lo stesso. Ad un certo punto sentirei il bisogno di rintracciare le mie origini. Ma questo non vuol dire che scorderei chi mi ha dato LA VITA, la gioia, il futuro, l’amore.
E se poi volesse mantenere i contatti con sua madre o suo padre naturali… Beh, il cuore non ha confini. In un cuore c’è posto per tutti.
Ma so anche che è difficile che un bambino adottato possa un giorno avere quattro genitori… Perché, purtroppo, ripeto, SPESSO i motivi per cui questi bambini vengono abbandonati o tolti alle proprie famiglie sono veramente ORRIBILI.
Dubito altamente che un bambino che è stato abusato desideri ritrovare la madre naturale, o che riesca ad instaurare con lei un rapporto sano. E dubito anche che una “madre” del genere possa essere interessata a recuperare il rapporto con il frutto del suo grembo (frutto indesiderato e odiato, in molti casi).
L’eventualità, comunque, esiste. E non mi fa paura.

E non ho paura neanche della possibilità che mio figlio non mi chiami mai “mamma”, o che non chiami mio marito “papà”.
Parlando con altri genitori adottivi, ho scoperto che, contrariamente a quanto pensavo, i bambini adottati si abituano velocemente al nuovo ambiente, alla nuova famiglia. E impiegano poche settimane, a volte pochi giorni, per cominciare a chiamare lei “mamma” e lui “papà”.
Io amerò mio figlio con tutta me stessa. Ma se non riuscirà a chiamarmi “mamma” e vorrà chiamarmi per nome, va bene lo stesso. Lo capirò, lo accetterò.
Ma, sinceramente, dubito che questo possa accadere. Sia perché a noi verrà dato un bambino molto piccolo (entro i 3 anni) e sappiamo tutti che i bambini, più piccoli sono, più si abituano velocemente ai cambiamenti… Sia perché, con tutto l’amore che gli darò, gli verrà naturale chiamarmi “mamma”.
Non subito, forse. Ma, quando lo farà per la prima volta… Quello sarà il momento più bello della mia vita.

Il giudizio degli altri.

Io ho un problema. Che è anche una virtù, ma più spesso un problema.
Sono estremamente sensibile.
Cerco sempre di atteggiarmi da cinica, di fingere che l’opinione altrui non mi interessi, ma la verità è che quando qualcuno, che sia un conoscente o un amico poco importa, dice qualcosa di brutto nei miei confronti, io non riesco a rimanere indifferente. Ci sto male.

Quando una coppia adotta un bambino, le reazioni della gente che incontriamo quotidianamente può essere di due tipi: stupore positivo, o stupore negativo.
L’adozione non viene ancora considerata un fatto normale.
Le persone che sanno che vostro figlio è stato adottato lo guarderanno e vi guarderanno sempre in maniera diversa, un misto tra elogio e compassione.
Mentre tutto quello che noi vorremmo è essere considerati “normali”.
Normali non li saremo mai. Fateci l’abitudine.

Quando ho confidato al mio capo nucleo che ho intenzione di adottare un bambino, lui ha sgranato gli occhi e mi ha detto: “Tu e tuo marito avete proprio un grande cuore!”
No, non abbiamo un grande cuore.
Abbiamo solo un grande desiderio di avere un famiglia.
Se potessimo avere figli, non adotteremmo. O forse sì, ma dopo aver avuto un figlio naturale.
Non siamo dei santi, io non sono Madre Teresa di Calcutta e Marito non è Padre Pio.
Siamo solo due sfigati che cercano la strada per la felicità.

Ma non ho detto niente di tutto questo, e mi sono limitata a sorridere.

Non ho un grande cuore. Ho tanta voglia di essere mamma. E tanta sofferenza dentro di me.
Ma, chissà, forse questo vuol proprio dire avere un grande cuore. Altrimenti, come potrei contenere dentro di me tutto questo?

Anche se è stato superficiale, il mio capo ha detto una cosa bella, politically correct, per lo meno.

Ma non tutti sono come lui.

Purtroppo sono circondata da molte persone immature, ignoranti e talvolta anche un po’ maligne.

C’è chi mi ha detto, ridendo, che, se ci dessero in adozione un bambino grande, potrebbe diventare il mio amante, oltre che mio figlio…!!

Chi mi ha ricordato, con una malignità incredibile, che i bambini adottati vanno sempre alla ricerca dei genitori “veri”, prima o poi…

Che poi, oltre alla cattiveria, è anche l’ignoranza a sconvolgermi.

Ma queste persone sanno che nella maggior parte dei casi i bambini adottati sono stati maltrattati, abusati sessualmente, o figli di genitori psicopatici?
Voi vorreste rintracciare una madre o un padre che vi hanno violentato da neonati? Sì, questo orrori succedono, e spesso anche. Quando l’assistente sociale me l’ha detto sono rimasta a bocca aperta.
I casi come quello della cugina di Joanne sono rari. Esistono, ma sono rari, almeno qui in Italia (oh, devo continuare a specificarlo, non vorrei essere additata di nuovo come quella che fa di tutta l’erba un fascio…).

Quello che avrei voluto rispondere, in realtà, ma non ne ho trovato la forza perché mi mancava il fiato, è: “Certo, può essere che un figlio adottivo senta prima o poi il bisogno di ritrovare le sue origini. Per questo l’adozione non è per tutti. Per questo solo una persona forte come me può affrontarla.”

E poi ci sono gli amici e i parenti. Che non sempre parlano per il tuo bene. Che a volte aprono la bocca a sproposito, senza mettersi nei tuoi panni, ma pensando solo a se stessi. Empatia è una parola sconosciuta alla maggior parte delle persone, anche a quelle a cui vogliamo bene. Ma con loro è difficile arrabbiarsi, e spesso ci tocca mandar giù bocconi molto amari.

Quando ho iniziato il corso informativo per l’adozione ne ho parlato a lungo con due miei colleghi-amici di cui mi fido, entrambi sui cinquant’anni. Sono persone mature che mi vogliono bene, mi trattano un po’ come una figlia, ma, sia a causa delle loro vicissitudini personali che per la loro età, faticano a capire le mie scelte.
Ai loro tempi nessuno si sottoponeva alla PMA, non era ancora una pratica diffusa. Faticano a mettersi nei miei panni e capire il mio desiderio di maternità, che per loro sembra un’ossessione.
Quando ho detto loro che al corso erano presenti diverse coppie della loro età, o poco più giovani, lei ha strabuzzato gli occhi e, rivolta all’altro collega, ha esclamato:

“Gente della nostra età?! Oddio, ti immagini dover andare ad un corso, e fare tutte quelle cose lì? Ma chi ne ha la voglia? Quelli sono pazzi!”

No, non sono pazzi.
Loro desiderano un figlio, e tu no.
Questa è la differenza.
E questa “piccola” differenza cambia tutto. Questa piccola differenza dona loro una forza che voi non potrete mai avere.
Ho provato a dirglielo, ma non credo abbiano capito.

Qualche mese fa ho parlato per la prima volta di adozione con una mia amica, la solita amica di cui a volte parlo, poco più che trentenne, mamma di un bimbo di un anno concepito con il primo rapporto non protetto con suo marito.
(Alla faccia degli spermatozoi).

Nel suo caso, la reazione è stata assolutamente normale. Non indifferente, ma normale, come se la avessi confidato che avevo intenzione di comprare un vestito nuovo.
“Non vuoi più fare la PMA? Ora vi concentrate solo sull’adozione? Ma sì, fate bene!”
Non è che io sia incontentabile, eh.
Ok, voglio essere trattata come una persona “normale”, ma… Cazzo, non ti ho detto “ora vado in centro a fare shopping”. Ti ho detto che ho rinunciato per sempre all’idea di concepire un figlio naturale e che intendo farmi psicanalizzare, studiare, da degli estranei, andare in giro per tribunali, attendere, se va bene, qualche anno per avere un figlio che tu hai avuto con UN RAPPORTO SESSUALE, UNO!

Non voglio essere vista come una Madonna né come una sfigata, ma almeno fingere interesse, fare qualche domanda, insomma…

Ma il massimo è stato quando ho parlato con mia nonna paterna dell’adozione.
Lei è l’unico membro della mia famiglia con cui io abbia un vero e proprio rapporto. Le racconto cosa succede nella mia vita, le mie paure, le mie speranze.
Quando le ho parlato della PMA, all’inizio ci è rimasta male, sia perché non si aspettava che io e Marito avessimo problemi simili, sia perché certe pratiche mediche per lei sono una novità. Ma si è abituata presto all’idea, e in poche settimane ha iniziato lei stessa a consigliarmi degli ospedali a cui rivolgermi!

La sua reazione è stata più o meno la stessa con la notizia dell’adozione.
Quando le ho detto di aver deciso di smetterla con la PMA e che io e Marito avevamo già iniziato le pratiche per adottare un bambino, lei ha esclamato:

“Eh? Ma perché? Subito? Non potete aspettare ancora un po’? Magari arriva, un bambino! Ma perché non provi di nuovo con la fecondazione? Mi hanno appena consigliato un nuovo ospedale…”

La sua reazione mi ha fatto male. A lei non importava nulla di me. Non mi ha chiesto perché avessi preso quella decisione. Voleva solo che facessi come voleva lei.
Ho capito che in questi casi bisogna mostrarsi duri e determinati, per far capire alle persone che ci circondano che sì, siamo sicuri della nostra scelta e no, non accettiamo consigli, perché nessuno, a meno che non si tratti di qualcuno che ha vissuto lo stesso dolore, può dirci cosa fare.

“No, nonna. Sono quasi quattro anni che proviamo ad avere un bambino. Non possiamo averlo, non riusciamo, anche se aspettiamo mille anni. E la fecondazione non la voglio più fare. In fondo è il mio corpo che ci va di mezzo, non il tuo. Sono io a scegliere. E non vogliamo aspettare per l’adozione. NOI SIAMO FELICI COSI’. Il nome di quell’ospedale non mi interessa.”

NOI SIAMO FELICI COSI’.
Ma a qualcuno importa?
Alla gente importa solo puntare il dito, dare consigli non richiesti, senza ascoltare le parole e le emozioni di chi sta dall’altra parte, di chi sta realmente vivendo quella sofferenza.

Mi sono resa conto che la gente è molto egoista. E, al contrario di quello che porta alla scelta di adottare, questo è un egoismo negativo.
L’amica è talmente concentrata sul suo bambino da non vedere nient’altro, gli amici che non vogliono figli non si sforzano di capire, la nonna ha paura di ritrovarsi un pronipote che non le assomiglia, i colleghi cercano il gossip…

Non c’è nessuno, e dico nessuno, che mi abbia chiesto: “Ma tu, sei felice? Come lo immagini il tuo futuro? Sei dispiaciuta di aver rinunciato ad un bambino di pancia? Sei sicura della tua scelta? Se sei sicura, io sono felice per te e ti sosterrò. C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”

Questo vorrei sentire.

Alle battutine, all’ignoranza, alla superficialità, mi dovrò abituare.
Ma, soprattutto, dovrò imparare a rispondere per le rime, senza arrabbiarmi, ma con eleganza ed ironia.

Perché siamo solo all’inizio.

E devo imparare anche perché un giorno dovrò insegnare a mio figlio come replicare alle stesse domande.

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Come rispondere alle domande scomode

Sono tante le domande/affermazioni scomode che le coppie come noi, con un problema di infertilità, devono subire. Ho deciso di creare questo elenco di risposte semi-serie (e al 100% acide) da dare a quelle persone che proprio non riescono a tenere a freno la lingua, e che amano farsi i cavoli altrui.

Partiamo dalla prima, classica e insopportabile domanda:

COME MAI NON AVETE FIGLI?

– Gli esseri umani non ci piacciono.
– Abbiamo paura che diventino come i vostri.
– Preferiamo i cani/i gatti.
– Vogliamo goderci la vita.
– I bambini ci fanno schifo.
– Perché non possiamo averne.

Ecco un’altra domanda che mi sono sentita rivolgere spesso da persone che si credono dottori e sono pronte a dispensare consigli non richiesti:

NON AVETE MAI PENSATO DI PRENDERVI UN MESE DI FERIE E ANDARE ALLE MALDIVE? SECONDO ME RIMARRESTI SUBITO INCINTA!

– Ah, perché, credi che gli spermatozoi di mio marito siano finiti là?
– Non sapevo che fossi un medico! Avrei potuto risparmiare un sacco di soldi! Pensa che luminari da duecento euro a visita ci hanno detto che non abbiamo speranze di avere figli in modo naturale!

MA NON SIETE GIOVANI PER AVERE FIGLI? PENSATE A GODERVI LA VITA!

– Sai una cosa? Hai proprio ragione. Siamo gggiovani! Allora disdico subito tutte le visite per la PMA. Ne riparleremo quando avremo 40 anni e le possibilità di successo si abbasseranno drasticamente! Così sarà più divertente!
– Tu, invece, sei troppo vecchio per fare queste domande del cazzo.

MA PERCHE’ VOLETE TANTO UN FIGLIO?

– Vogliamo un compagno di giochi per i nostri cani!
– Perché voglio fare un esperimento. Vorrei fare un bambino per darlo al mio cane e vedere come lo cresce. Figo, eh?
– Per poter stare a casa in maternità, ovviamente.
– Per farlo diventare un calciatore/una velina e poi fregargli/fregarle tutti i soldi e diventare ricchi.

PERCHE’ INVECE DELLA PMA NON PENSATE ALL’ADOZIONE?

– E tu perché prima di aprire la bocca non conti fino a mille? Ah, giusto… Non ne sei capace.
– Perché non ho voglia di farmi psicanalizzare dagli assistenti sociali per anni ed anni e farmi venire un esaurimento.
– Perché sono stata in galera per omicidio e non mi darebbero l’idoneità.
– Perché siamo egoisti. Tu quanti bambini hai adottato? Ah, hai tre figli tuoi? Ah… Ok.

LA PMA E’ CONTRO NATURA!

– Anche tu.
– Hai proprio ragione… Cos’è che hai preso l’ultima volta che hai avuto l’influenza con febbre a 40? L’antibiotico, giusto? Sai, non credo che quelle belle pillole che ti hanno fatto stare meglio crescano sugli alberi… Non avresti dovuto prenderle, e la Natura avrebbe deciso se dovevi sopravvivere oppure no…