Circa tre settimane fa io e Marito abbiamo dovuto sostenere la visita con il medico legale dell’AUSL, indispensabile per poter procedere con l’istruttoria per l’adozione.
Sapevamo che, più che una visita, sarebbe stato con un colloquio superficiale e sicuramente poco impegnativo, ma comunque eravamo entrambi agitati.
Purtroppo, a causa della mia lentezza mattutina, siamo arrivati leggermente in ritardo (l’appuntamento era per le otto del mattino in punto, per me che arrivo in ufficio alle nove passate è ancora l’alba!)
Durante il tragicomico viaggio in macchina (abbiamo preso strade di campagna sconosciute per evitare la tangenziale intasata a causa dei lavori stradali) io e Marito ci siamo accordati sulla nostra versione dei fatti.
“Mi raccomando, amore, se ti chiedono se fumi, devi mentire!” dico a Marito.
“Io? Fumare? No no, io non fumo! Che schifo!” mi risponde, aspirando allegramente il fumo di una sigaretta.
“Va beh, non possiamo mentire così…”
“Ok, dirò che ne fumo due o tre al giorno…”
“Non specificare pacchetti, però…”
Quando siamo arrivati alla sede dell’AUSL, prima di essere intervistati dal medico legale abbiamo parlato con una dottoressa, che ci ha fatto compilare un questionario.
Le domande erano quelle che mi aspettavo. Ha sofferto o soffre di malattie cardiache, neurologiche, diabete, ha disturbi psicologici (certo, anche se fosse, lo vengo a dire a te!), ecc. ecc.
Poi la dottoressa ci ha provato la pressione. Mi ha fatto notare che la mia era un po’ altina, per la mia età. L’ha detto con un leggero disappunto.
“Abbiamo corso, visto che eravamo in ritardo…” mi sono giustificata.
Con altrettanto disappunto ha notato che anche la pressione di Marito era alta.
Cioè, questi non ci danno un bambino perché abbiamo la pressione un po’ alta?? Iniziamo bene!
Una volta terminata questa inutile visita, siamo stati scortati nello studio del medico legale che, nonostante il nostro ritardo, si è fatto attendere qualche minuto.
Io e Marito ci siamo seduti e abbiamo pazientemente aspettato. Lo studio era decisamente vuoto e anche un po’ triste.
Accanto alla parete c’era un lettino, probabilmente un reperto della seconda guerra mondiale.
Sulla scrivania c’era una stampante degli anni Venti e un portapenne che conteneva delle biro con la punta rivolta all’insù (?).
In un angolo abbiamo visto un lavandino con a fianco dei cavi elettrici decisamente fuori norma.
E poi… L’armadietto. Ovvero l’oggetto che ha scatenato la nostra ilarità (oh, alle 8 del mattino si ride con poco).
L’armadietto era totalmente vuoto, fatta eccezione per tre oggetti posti ad eguale distanza l’uno dall’altro su una mensola: un bianchetto, un barattolo di colla e un timbro.
Io e Marito abbiamo osservato l’armadietto per alcuni istanti, ed è stato lui il primo ad accorgersi che gli oggetti erano stati messi in ordine ALFABETICO.
Ok, raccontato così non rende, ma vi assicuro che la scena era spassosissima.
Questo dottore mette le cose in ordine alfabetico, e poi siamo noi a dover parlare con lo psicologo?!
Ad un tratto sulla parete davanti a noi ho notato un ottotipo (grazie, Google), ovvero il tabellone con le lettere usate dall’oculista. Mi è venuto il panico. Io sono leggermente miope ma non porto gli occhiali né le lenti, e se il medico mi avesse fatto un esame oculistico?
Ho provato e riprovato, ma non riuscivo assolutamente a leggere l’ultima riga. Allora ho chiesto a Marito di leggermi le lettere, e ho cercato di impararle a memoria. Proprio mentre mi esercitavo, è arrivato il medico legale.
Era un uomo sulla cinquantina, cordiale ed evidentemente desideroso di terminare la visita (la farsa) nel più breve tempo possibile.
Ha letto le nostre risposte al questionario compilato poco prima e ci ha fatto ulteriori domande. Come prevedevo, ha chiesto a Marito se fuma e, se sì, quanto (quando ha detto “solo due o tre al giorno” con aria serissima ho rischiato di scoppiare a ridere), se la sua vista è buona, se beve e se si droga (??), e altre domande inutili che sinceramente non ricordo.
Poi è passato a me, mi ha ripetuto le stesse domande ma, invece di attendere una mia replica, si è dato le risposte da solo.
“Signora, lei ci vede bene? Sì, ci vede bene. Signora, lei fuma? No, non fuma. Signora, lei beve? No, non beve…” e così via.
Io sono rimasta in silenzio, sbalordita, e l’ho lasciato fare.
Poi ci ha consegnato un foglio, firmato e timbrato, dove attesta che siamo idonei per poter adottare.
Prima di salutarci ci ha dato alcune informazioni sull’adozione internazionale. Ci ha detto che alcuni Paesi, come la Russia e altri Paesi dell’Est, richiedono diversi accertamenti medici, anche oncologici per esempio, prima di poter presentare una domanda di adozione. E che, se entro quattro anni non avremo ottenuto l’adozione, dovremo ripetere la visita con lui (beh, se entro quattro – QUATTRO – anni non ho un figlio……..).
Visita conclusa. Inutile quanto essenziale per procedere. Stupida burocrazia italiana.
Lunedì prossimo, 8 aprile, avremo il primo colloquio con l’assistente sociale e la psicologa. E lì sì che ci sarà da divertirsi.
Meglio che non dica loro che mia madre passa le giornate a chattare su Facebook con dei trentenni, voi che dite?
In questi giorni io e Marito siamo impegnati a (ri)fare tutte le analisi preliminari per (ri)cominciare con la PMA.
Ogni giorno c’è un esame da fare: analisi del sangue, spermiogrammi, ecografie, tamponi…
Esattamente un anno fa stavamo facendo esattamente le stesse analisi, la maggior parte negli stessi identici ambulatori.
Solo che il mio stato d’animo era ben diverso. Mi sentivo euforica ed impaziente all’idea di cominciare a farmi di ormoni, di vedere i miei follicoli crescere giorno dopo giorno, persino il pensiero di sottopormi all’anestesia era piacevole… E non vedevo l’ora di sentire dentro di me quei puntini luminosi che, ne ero certa, sarebbero diventati dei bellissimi bambini.
Un anno dopo, sono ancora qui. A farmi prelevare sangue, a farmi scrutare ogni angolo del mio corpo, a chiamare medici a destra e a manca, a chiedere continuamente permessi sul lavoro.
Non sono affatto euforica, questa volta. Sono ancora impaziente, questo sì, ma soltanto perché voglio convincermi definitivamente che la medicina non ci può aiutare.
Che vi posso dire? Sono totalmente disillusa. L’idea di bucarmi la pancia mi fa venire il voltastomaco. Il pensiero dell’anestesia mi mette paura. E quello di dover andare a Bologna ogni due-tre giorni per fare il monitoraggio mi stanca. Non so neppure se tenteremo ancora tre volte, come mi ero ripromessa di fare. Proveremo una volta e, se va male, a meno che non rimangano embrioni congelati, ci fermeremo.
Ma il mio umore è decisamente altalenante, perciò magari domani avrò già cambiato idea.
Come dicevo, è tutto uguale ad un anno fa, a parte l’euforia.
Ancora una volta io e Marito abbiamo mandato Santo Suocero a prenotare le analisi in ospedale, visto che noi non abbiamo mai tempo.
Avevo pregato Marito di dire a suo padre di NON prenotare il mio elettrocardiogramma nell’ambulatorio in cui ero andata l’anno scorso, visto che avevo avuto un incontro poco piacevole con un infermiere un po’… Invadente, diciamo.
Si è ricordato di dirglielo, secondo voi?
Provate a indovinare dove ha prenotato Santo Suocero? Ovviamente, nell’ambulatorio maledetto.
Santo Suocero si è offerto di tornare al CUP per cambiare la prenotazione, ma io non volevo che si disturbasse di nuovo, così gli ho detto che faceva lo stesso.
Venerdì mattina, facendo le corse perché ero in ritardo (proprio come l’anno scorso), dopo aver chiesto aiuto alla segretaria dell’accettazione per pagare il ticket perché mi ero scordata come si usa la macchinetta (come l’anno scorso), mi sono presentata dall’infermiere invadente (questa volta preparata a quello che mi aspettava).
L’infermiere mi ha fatto entrare in ambulatorio e mi ha chiesto se avevo già fatto un elettrocardiogramma in passato. Gli ho detto di sì, e gli ho dato la cartella dell’anno scorso.
“Ah! Ma questa è la mia scrittura, la riconosco! Ma allora anche l’altra volta sei venuta da me?”
“Eh, già.”
“Ti posso fare una domanda indiscreta?” Oddio, mo’ che vuole chiedermi questo? Non mi chiederà se voglio dei figli!
“NO!” rispondo istintivamente.
Dopo un attimo di smarrimento, mi correggo: “Sì sì, certo.”
“Quanti anni hai e quanto pesi?”
Una domanda normale! Finalmente! C’era bisogno di tutti ‘sti preamboli?
Poi mi ha fatta spogliare e stendere sul lettino. Non mi piace spogliarmi davanti a quest’uomo. Avevo il terrore che da un momento all’altro iniziasse a parlare di sesso.
Mi ha sistemato gli elettrodi, poi ha cominciato a monitorare il mio battito.
“Eh, ma questo è un cuore innnnnamorato!” ha esclamato. “Guarda come va forte! Soffri di tachicardia, per caso?”
“No…”
“Sei agitata? Ti agito io?”
“No, no, sono tranquillissima!” Bugia.
I miei battiti erano circa 90 al minuto. Gli ho spiegato che avevo fatto le corse per arrivare puntuale, così l’infermiere se n’è andato e mi ha lasciato stesa per una ventina di minuti, sperando che mi calmassi.
Quando è tornato, ha ripetuto l’elettrocardiogramma, ma nulla era cambiato. Dato che nella cartella dell’anno scorso era riportato lo stesso risultato, ha deciso di non ripeterlo e mi ha detto che potevo rivestirmi. Finalmente!
Quando mi ha tolto gli elettrodi ho notato, a voce alta (mannaggia a me) che sul seno mi erano rimasti dei segni.
“Eh, sembrano dei succhiotti!” ha esclamato lui.
Io dei succhiotti a forma di elettrodi non li ho mai visti. Ma che bocca ha, questo?
“Spero di non ritrovami il tuo uomo qua davanti pronto a picchiarmi, eh! Digli che io non ti ho fatto niente… Purtroppo! Da buon napoletano, capirai se non combino niente con una donna!”
…
Ecco, finalmente è arrivata la battutina che tanto aspettavo! Questa volta me l’ha fatta sudare!
Forse, però, a questo round gli esami peggiori che ho dovuto sopportare sono stati quelli del sangue. No no, mica per la mia paura degli aghi (che ormai è passata, ci ho preso gusto a farmi bucare) o della vista del sangue.
E’ stata tutta colpa di un ombrello malefico e di un’ indagine sulle mie gravidanze (?).
Dunque. Mercoledì scorso io e Marito siamo andati in ospedale. Fare le analisi del sangue in ospedale è un vero e proprio delirio. C’è sempre una gran ressa, una fila immensa davanti agli sportelli dell’accettazione, e un operatore dell’AUSL decisamente antipatico che indirizza i pazienti verso la giusta direzione. Quando mi sono presentata allo sportello con tutte le mie millemila prescrizioni, l’operatrice mi ha fornito un modulo, dicendomi che dopo il prelievo avrei dovuto restituirglielo compilato.
Quando io e Marito ci siamo seduti nella sala d’attesa, ovviamente piena di gente, ho cominciato a leggere le domande. Erano più o meno queste:
Settimane di gravidanza:
Ha mai fatto una villocentesi? Ha mai fatto un’ amniocentesi?
Ma che minchia di domande sono? Ovviamente ho messo una bella / su tutto.
Ho compilato solo il nome del coniuge (unica certezza) e del ginecologo, anche se su quest’ultima ho esitato un istante. Dovevo mettere il nome del mio medico abituale o di quello del centro PMA? E quale centro? Quello vecchio o quello nuovo? Alla fine ho optato per il nome del medico abituale.
Marito ha fatto il prelievo prima di me, e quando è uscito io stavo ancora aspettando il mio turno. Mi ha detto che mi avrebbe aspettato fuori, dato che c’era troppa ressa lì dentro. Io gli ho detto di prendere con sé l’ombrello (c’era il diluvio universale quel giorno). Questo è un dettaglio molto importante.
Quando finalmente l’infermiera ha chiamato il mio numero, io, ancora stranita per quelle strane domande, mi sono alzata di scatto per entrare nell’ambulatorio. L’unico problema è che Marito non aveva preso l’ombrello, che era ancora sul pavimento, dove l’avevo appoggiato quando mi ero seduta.
Il secondo problema è che io non lo sapevo.
Il terzo problema è che l’ho pestato. E il mio piede è finito involontariamente sul pulsante che serve per aprirlo.
Quarto problema: l’ombrello, ovviamente, si è aperto, io sono inciampata e sono quasi finita col culo per terra.
Tutta la sala d’aspetto mi stava guardando.
Un signore si è messo a ridere e ha esclamato: “Non si faccia male, eh! Va beh, tanto siamo in ospedale!”
Ma non è tutto.
Quinto problema: aprendosi, una delle punte metalliche dell’ombrello si è incastrata dentro una grata posta sulla parete.
Io mi sono inginocchiata a terra cercando di liberarla. Senza riuscirci.
“Numero 625!” continuava ad urlare l’infermiera.
“Arrivo! Arrivo!” gridavo, mentre tutti mi guardavano ridendo.
Dopo qualche minuto di lotta con l’ombrello, sono riuscita ad estrarlo. Ma era ancora aperto. E io non riuscivo a chiuderlo.
“Minchia, sono proprio sfigata!” ho esclamato, mentre l’infermiera continuava a chiamare il mio numero.
Finalmente sono riuscita a chiuderlo e sono entrata nell’ambulatorio. Ero incazzata nera. Ho pensato per un attimo di chiedere all’infermiera se c’era un’uscita sul retro da cui potevo passare, per non dovermi mostrare nuovamente al pubblico ludibrio ma, data la sua scarsa simpatia, ho desistito.
Le ho chiesto, però, il motivo per cui mi era stato detto di compilare quello strano modulo.
Lei lo ha preso, lo ha letto, ha guardato le mie prescrizioni e un po’ scocciata mi ha detto: “Beh, signora, queste sono analisi che si fanno in gravidanza. Mi dica, lei a quante settimane è? Quante gravidanze ha avuto?”
“Non sono incinta,” ho risposto, a denti stretti. “E non la sono mai stata. Queste sono analisi per fare la fecondazione assistita. Di certo non sono incinta!”
“Ah beh, direi di no!” ha replicato lei, ridendo.
E mi ha dato un altro modulo, con domande un po’ più alla mia portata.
Quando sono uscita (a testa bassa), ho raggiunto Marito e ho cominciato ad inveire contro di lui per non aver preso l’ombrello, raccontandogli la mia umiliazione. Lui si è messo a ridere.
Ma ha riso meno quando, provando ad aprire l’ombrello, ci siamo resi conto che era rotto. E siamo arrivati alla macchina bagnati fradici.
L’ombrello è finito, scagliato con un gesto violento, in un bidone della spazzatura. E, prima di andare a lavorare, ho obbligato Marito ad accompagnarmi in un negozio a comprarne uno nuovo.
Ho passato il resto della giornata pensando all’ombrello incastrato nella grata.
Ieri sera sono andata a fare l’ecografia in 3d, l’esame che dovrebbe sostituire l’isteroscopia.
Mi è occorso del tempo per trovare un ambulatorio dotato dello strumento adatto per fare questo esame. Alla fine ho prenotato una visita presso uno studio che dista un’ora da casa mia. Perciò ho dovuto prendere un permesso dal lavoro e fare le corse per arrivare in orario.
Era la prima volta che mi facevo visitare da un ginecologo di sesso maschile. Ero un po’ imbarazzata, ma il dottore è riuscito a mettermi a mio agio.
Gli ho spiegato il motivo per cui ero lì, e quando gli ho detto che dovevo fare l’eco in 3d ha fatto una faccia strana e ha esclamato: “Lei è proprio sfortunata, signora… La sonda si è rotta ieri!”
“Ma no, mi sta prendendo in giro,” ho detto.
“Purtroppo, no.” Un permesso, una serata e centoventi euro buttati al vento… No, non ci credo!
Fortunatamente il medico si è offerto di farmi tornare in ospedale questo sabato per farmi l’agognata eco (spero senza farmi pagare di nuovo…).
Nel frattempo mi ha fatto una visita normale. Ha notato che sono in procinto di ovulare (sullo schermo è apparso un misero follicolo), e mi ha detto che io e mio marito dovremmo darci da fare nel fine settimana.
“Tanto non è una grande fatica, no?”
Certo che no. Ma non penso di ottenere molto, a parte il divertimento, con un follicolo che magari è pure vuoto e con degli spermini nati stanchi e senza testa… Ma va beh.
Oggi Marito è andato a fare una visita andrologica presso il centro PMA di Bologna. La settimana scorsa avrebbe dovuto sottoporsi all’esame per la frammentazione del dna spermatico, ma ha dovuto rinunciare perché ha dei forti bruciori e temeva che gli fosse tornata la prostatite.
Il medico gli ha assicurato che sta bene, ma gli ha prescritto delle analisi delle urine, l’ennesimo spermiogramma e spermiocoltura per indagare più a fondo il problema.
Di questo passo, penso che non ce la faremo a iniziare con la prossima PMA alla fine di marzo, quando mi verrà il ciclo… Andremo a fine aprile/inizio maggio, ma va bene così, l’importante è fare le cose per bene e non sputtanare altri soldi, sanità mentale e salute.
Naturalmente Marito è stato sottoposto per l’ennesima volta alla sua amatissssima visita rettale…
Io mi diverto un sacco (lui meno) quando va dall’andrologo perché alla sera mi racconta tutto nei minimi dettagli… Marito è un comico nato e mi fa morire dal ridere!
La prima cosa che fa Marito quando entra nello studio di un andrologo è osservare le mani del dottore. Si lamenta perché gli capitano sempre medici dalle dita luuuunghe e grosse. E, sapendo dove andranno a finire quelle dita, la cosa non gli piace affatto.
Il medico di oggi, ovviamente, non faceva eccezione. Aveva delle dita lunghe, grasse e, per di più, rugose.
Quando l’andrologo ha iniziato l’ “esplorazione”, ha chiesto a Marito: “A parte il mio dito nel sedere, sente dei dolori?”
“Guardi, non sono abituato a certe cose, perciò non so dirle da cosa è dovuto il dolore che sento!”
Sono passati otto giorni da quando ho scritto quel triste e laconico post per annunciarvi che, sì, ho fallito di nuovo.
Mi sembra passato un secolo.
Quanto tempo pensavate che mi sarebbe servito per rimettermi in piedi, per ricominciare a combattere?
Ormai l’avrete capito. Non perdo tanto tempo a piangere. Anzi, in realtà sì, ma nel frattempo faccio dell’altro.
Pensare, pianificare, chiamare a destra e a manca, sperare, immaginare, sognare. Questo è ciò che mi fa stare meglio. Fare qualcosa.
Non importa quante volte dovrò passare dal via, quante volte dovrò pescare quella cazzo di carta degli imprevisti o quante volte mi dovrò fermare in prigione, prima o poi arriverò a quel cavolo di Parco della Vittoria!
Lunedì sono tornata a lavorare. Mi sembra quasi di non essere mai stata assente dall’ufficio. Non ho faticato a riabituarmi al ritmo lavorativo, né all’ambiente. I colleghi sono quelli di sempre, il lavoro è quello di sempre, le colleghe di ogni età mostrano fiere i loro pancioni, come sempre, io sono vuota, come sempre.
Niente è cambiato. E non ne sono sorpresa.
Martedì scorso avrei voluto scrivere un posto molto più lungo ma, giuro, mi mancavano le forze. Ho scritto quelle poche righe soltanto perché ho pensato che, forse, da qualche parte, c’era qualcuno che voleva sapere come fosse andata. Il mio silenzio poteva far pensare che fossi talmente impegnata a gioire da dimenticarmi del blog. Ah ah. Magari.
In questi giorni sono successe tante cose. Talmente tante, che ho bisogno di mettere tutto per iscritto per riuscire a fare un po’ di ordine nella mia testa.
Avevo programmato di fare il test di gravidanza e le analisi delle beta hcg al dodicesimo giorno post-transfer, martedì scorso, in anticipo di due giorni rispetto a quello che mi aveva detto il centro PMA (ma io faccio di testa mia, e ormai sono abbastanza esperta per sapere che al 12 p.t. il risultato è già sicuro).
Non amo ripercorrere quei momenti, ma parlarne mi fa bene, mi aiuta a confrontarmi con la realtà, perciò vi voglio raccontare per filo e per segno cos’è accaduto.
Dopo giorni in cui ero rimasta a letto fino alle undici del mattino, martedì ho programmato la sveglia per le sette in punto. Mi sono svegliata un’ora prima, sudata e con il cuore che batteva a mille.
Non volevo alzarmi, però. Avevo paura di fare quel maledetto test. Sapevo cosa sarebbe successo, così volevo crogiolarmi ancora un po’ nella speranza. Mentre Marito russava beatamente accanto a me, io, nel buio e sottovoce, ho mormorato una decina di Ave Maria. A chi altro dovevo rivolgermi, se non alla Madre per eccellenza?
Poi ho pregato il Signore di aiutarmi ad accettare il risultato, qualsiasi esso fosse. Ma, dopo aver riflettuto un attimo, gli ho anche chiesto perdono in anticipo, perché sicuramente mi sarei arrabbiata con Lui, se fosse andata male. Io metto sempre le mani avanti, anche nelle faccende divine… Ma ormai Dio mi conosce, sa come sono fatta.
Quando Marito si è alzato ed è sceso in cucina a preparare la colazione, io sono andata in bagno a fare il test. Non voglio che stia vicino a me in questi momenti. E’ qualcosa che devo affrontare da sola.
Ho continuato a pregare nella mia mente mentre facevo la pipì sopra lo stick (brutta immagine, lo so), poi ho appoggiato il test sul bordo del lavandino e per diversi minuti ho continuato a guardarlo, muovendomi nervosamente, come se stessi facendo una specie di danza tribale (sembrava più una tarantella, in realtà).
Sudo freddo mentre aspetto il loro verdetto…
Dubito che Baby K si riferisse all’attesa per l’esito del test di gravidanza mentre scriveva questi versi, ma il bello della musica, e dell’arte in generale, è che può essere interpretata in mille modi diversi a seconda delle persone e delle loro emozioni.
Ma torniamo al test. Siete curiose di sapere cos’è successo, eh…? Mi piace creare suspense. Chissà, magari con quelle due tristi righe che ho pubblicato otto giorni fa ho preso per il culo tutti quanti… Magari sono incintissima… Ma anche no.
Una linea è apparsa e una linea è rimasta. Una fredda, orribile, crudele linea. L’altra finestra è rimasta vuota. Tristemente vuota, bianca, pallida, come il mio volto.
Io lo sapevo, me lo sentivo. Non mi sono neanche messa a piangere. Anzi, ho iniziato a ridere, e mentre ridevo continuavo a ripetere: “Grazie, Dio… Lo sapevo che non mi avresti deluso neanche stavolta, non ti smentisci mai… Te l’ho detto che ti avrei odiato, non dire che non ti avevo avvertito!”
Queste parole suonano peggio di una semplice bestemmia esclamata come intercalare, lo so.
Chissà cosa mi aspettavo. Forse che Dio, o chi per Lui, si sentisse in colpa, che improvvisamente su quel maledetto test comparisse una seconda linea, che ad un tratto nascesse la vita dentro di me… Ma i miracoli non esistono e, anche se esistessero, di sicuro non capiterebbero a me.
Sono scesa in cucina da Marito. Aveva già capito tutto dal mio passo pesante.
“Non ho mai visto un test più negativo, cazzo.”
Lui mi ha guardata con occhi sgranati.
“Quindi è negativo?” Cosa ti ho appena detto?
Mi sono vestita con le prime cose che ho trovato in camera. Jeans sporchi di zampate fangose di cane e un maglione spelacchiato. Marito mi ha accompagnato al laboratorio per fare le analisi del sangue. Il viaggio in auto è stato surreale. Siamo rimasti in silenzio a lungo. Cosa c’era da dire?
Poi ad un tratto Marito ha parlato.
“Forse il test era scaduto…”
“Ho controllato la data di scadenza.”
“Forse l’hai fatto male…”
“Devo fare la pipì su un cazzo di stick. Credo di esserne in grado.”
“Forse faceva parte di una partita avariata…”
“Forse, semplicemente, è andata di nuovo male.”
Silenzio.
“Riproveremo, dai. In un qualche modo ce la faremo.”
“Dici?”
Quando siamo arrivati al laboratorio ero talmente incazzata che avrei mangiato tutti: receptionist, infermiera, pazienti in attesa.
sono troppo aggressiva
sono solo questa
mi vorrebbero più figa
sono solo questa
dovrei fare la signorina
sono solo questa
il prossimo che arriva
giuro gli stacco la testa
Mi sono avvicinata al bancone dell’accettazione.
“Devo fare le analisi delle beta hcg.”
“Certo, signora. Ha già fatto un test di gravidanza?”
“Sì. Era negativo.”
“Ah. Ha un ritardo, quindi?”
“NO. Ho fatto la fecondazione assistita. Devo controllare se è successo qualcosa…”
“Capisco…” No, non puoi capire, avrei voluto rispondere. E gridare qualche parolaccia random.
Dopo aver fatto un piacevolissimo prelievo di sangue io e Marito siamo tornati a casa. Lui poi è uscito per andare al lavoro, mentre io ho speso il resto della mattinata a vegetare sul divano e, porca puttana, durante quell’ennesima attesa ho continuato ad illudermi, a sperare, come una scema. Magari il test era veramente difettoso…
A mezzogiorno, come da accordi, ho chiamato il laboratorio. Sudavo, le mani mi tremavano, sembravo una tossica in crisi d’astinenza.
“Vorrei sapere il risultato delle analisi delle beta hcg che ho fatto stamattina…”
“Subito, signora… Aspetti che guardo…” Muoviti, cazzo. Ora sto proprio a rota.
“Eccomi. Dunque, vediamo… Il valore è inferiore a 2. Va bene?”
No, non va bene, stronza.
“Grazie. Arrivederci.”
Ho riattaccato il telefono. E finalmente ho pianto. Imprecato. Urlato. Poi pianto di nuovo.
Sparami
sparami adesso
spara tutto quello che hai ora
sparami addosso
che dopo non mi fermi mai
spara sparami ma non sbagliare
che se tocca a me ti faccio male
spara ora o mai più
sparami adesso
Mi sono rimessa a vegetare sul divano. I miei cani hanno capito che c’era qualcosa che non andava. Magari gli amici fossero intelligenti come loro!
Si sono accucciate vicino a me, una ai miei piedi e l’altra sul divano. Ha appoggiato il muso sul mio ventre. Io l’ho lasciata salire, anche se non è propriamente linda e Marito si arrabbia sempre… Ma sapevo che quel giorno non avrebbe osato sgridarmi.
Dopo poco Marito è tornato dal lavoro per la pausa pranzo. Laconicamente gli ho comunicato l’esito delle analisi. Non so perché, ma ho trattenuto le lacrime davanti a lui.
Vergogna? Desiderio di mostrarmi forte? Non lo so.
Mentre parlavo non mi sono nemmeno alzata dal divano. Non ne avevo le forze.
Lui si è steso vicino a me, mi ha abbracciato e si è messo a piangere. E’ raro vederlo piangere. Gli uomini in genere non lo fanno spesso, e lui non fa eccezione. Pensava che fossi arrabbiata con lui, che lo odiassi. Ma non era così.
Sono io a non essere riuscita a dare la vita a quei piccoli puntini luminosi…
Forse è colpa mia. O forse di Dio. Forse è una punizione divina. Non lo so, non so più niente. Non so neanche con chi prendermela.
Nel pomeriggio ho chiamato il centro PMA per comunicare l’esito delle beta. La segretaria mi ha detto di ripetere il test dopo due giorni, al 14 pt.
“Oggi è il 12 pt,” ho detto io, “si sarebbe dovuto già vedere un risultato positivo, se fossi incinta. Non posso sospendere le terapie?”
“No, no, continui le terapie, signora… E ripeta il test tra due giorni. Non so, magari sarà ancora negativo, ma lei lo ripeta, poi ci sentiamo!”
Ma vaffanculo.
Quella sera Marito è partito per una riunione di lavoro, ed è tornato il giorno successivo. Mi ha chiesto se volevo che restasse, ma gli ho detto di no. Avevo bisogno di stare da sola. Ho passato la sera a bere e fumare. Dopo tanti giorni di astinenza le sigarette avevano un sapore strano, e due bicchieri di vino sono bastati a farmi venire la nausea e il mal di testa. Nei giorni precedenti né l’alcool né il fumo mi erano mancati, ma quando sto male, male dentro intendo, sono solita cercare di fare de male anche al mio corpo. Sono autodistruttiva.
Giovedì ho ripetuto il test. Un altro negativo. Negativissimo. E che mi aspettavo?
Ho chiamato il centro PMA per confermare il fallimento. La segretaria mi ha parlato con voce allegra, sembrava avere fretta e che non gliene fregasse niente. Ma vaffanculo (e due). La ginecologa ha detto che dovevo interrompere le terapie, che ormai non servivano più.
Intanto le ho chiesto se potevamo procedere subito con il transfer degli ultimi due embrioni rimasti. Mi ha risposto che sì, si può riprovare subito se me la sento, e che non appena mi fossero arrivate le Malefiche avrei potuto ricominciare la terapia con il Progynova per preparare l’endometrio.
Questa volta, stranamente, il ciclo non si è fatto attendere più di tanto. Domenica mattina mi sono svegliata con dei terribili dolori alla pancia, che mi sono durati per ben due giorni. Nonostante il dolore ho gioito, e ricominciato subito la terapia.
Giovedì prossimo dovrò fare la prima ecografia e, secondo i miei calcoli, tra un paio di settimane, o forse anche meno, potrò fare il transfer.
Ma questa volta né io né Marito siamo speranzosi. Abbiamo deciso di affrontare il prossimo tentativo con più calma. Non starò a casa in malattia, ma andrò a lavorare. A che serve vegetare sul divano? A masturbarmi mentalmente, a riempirmi di paranoie, le stesse che consiglio agli altri di dimenticare? A sperare invano?
E poi, può anche essere che non si possa neppure fare il transfer. Gli embrioni congelati sono più deboli di quelli freschi, ne sono rimasti soltanto due, ed è possibile che, una volta scongelati, muoiano entrambi prima di essere trasferiti dentro di me. Anche la ginecologa mi ha detto che c’è la possibilità che non sopravviva nessuno dei due. Certo, dovremmo essere proprio sfigati. Ma in questo periodo non è che ci sentiamo molto fortunati, eh.
Quello stesso giorno io e Marito abbiamo parlato a lungo, cercando di capire cosa avremmo fatto nel caso in cui fosse andata ancora male, futuro che ormai diamo già per scontato. Abbiamo deciso di provare di nuovo, nel caso di un altro insuccesso, ma di rivolgerci ad un altro centro PMA.
Il capo di Marito ci ha consigliato una clinica privata che si trova a Bologna. Non voglio fare pubblicità perciò non dirò il nome, ma se a qualcuno dovesse interessare potete contattarmi in privato.
Giovedì, subito dopo aver riferito il risultato negativo al centro PMA di RE, ho chiamato la clinica di Bologna.
Pensavate forse che avrei aspettato? Dai, ormai mi conoscete.
Mi hanno dato appuntamento per il giorno successivo. Io ho accettato al volo, approfittando del fatto che ero ancora in malattia e almeno non avrei dovuto chiedere l’ennesimo permesso (dopo sedici giorni di malattia non è il massimo).
Durante il viaggio per Bologna mi sentivo euforica. In autostrada non ho fatto altro che guardare e riguardare la carpetta contenente tutte le nostre analisi e cartelle cliniche, controllando di averle sistemate correttamente in ordine cronologico.
La mia vita mi sta sfuggendo di mano da troppo tempo, le poche cose che posso comandare voglio che siano perfette.
Il centro PMA di Bologna è facilmente raggiungibile. Non è dotato di un parcheggio privato, ma davanti ci sono dei posti a pagamento. Tanto, dovremo spendere altre migliaia di euro, qualche monetina in più non fa la differenza.
La clinica è grande e pulita. Le segretarie sono gentili. Visto che era la prima consulenza, ci hanno fatto compilare un modulo con mille domande (dati anagrafici, peso, durata del ciclo, precedenti tentativi di PMA).
Nella sala d’aspetto c’erano diverse persone, e temevo che il medico fosse in ritardo. Noi eravamo abbastanza in anticipo, perciò ci siamo messi pazientemente ad aspettare. Ci hanno chiamati (per numero, non per nome, per motivi di privacy) in perfetto orario… Almeno credo, mi ero distratta leggendo Vanity Fair – e in particolare un articolo che parlava delle coppie gay/lesbiche e dei loro figli.
Cazzo, pure i gay hanno i figli e noi no! Io sono una paladina dei diritti dei gay, però questo proprio mi fa incazzare! Se Ricky Martin ha tre figli li voglio pure io, ecchecavolo!
Il medico, un tipetto biondo, magrolino, ci ha accolto nel suo studio e, anche se la consulenza è durata un’ora, non ha mai mostrato impazienza né fastidio. Mi ha dato l’idea di essere un uomo di poche parole, ma serio e capace di fornire spiegazioni chiare ed esaurienti.
“Signora, mi ha portato qualche analisi?”
A quelle parole mi sono illuminata. Gli ho messo sulla scrivania il mio faldone del peso di due chili circa.
“E’ tutto in ordine cronologico, dottore!” gli dico, orgogliosa di me stessa (avevo passato un’ora il giorno prima a mettere a posto tutto!)
Il dottore ha letto tutte le analisi in silenzio e, infine, ha detto: “Quindi voi avete un problema maschile…” Ma va?
Quando ha finito di guardare le analisi, io ho tirato fuori il foglio su cui avevo annotato tutte le domande da porgli. Marito ha alzato gli occhi al cielo. A me non importava. Ora non mi faccio più fregare. Stavamo decidendo la nostra felicità, la nostra vita. Volevo sapere tutto quello che si poteva sapere. In realtà non ho dovuto guardare il foglio neppure una volta perché, incredibilmente, il dottore ha risposto a tutte le mie domande senza neppure bisogno che fossi io a rivolgergliele. E questo mi è piaciuto assai.
In breve, vi espongo le ragioni che mi fanno ben sperare in questo centro e, ovviamente, anche i punti negativi.
I PRO:
1. Prima che fossi io a chiederlo (era una domanda della mia lista), il medico mi ha domandato se avessi mai fatto degli esami specifici all’utero. Io gli ho risposto di no, e lui mi ha detto che sarebbe il caso di farli, per vedere se c’è qualcosa che non va. Mi ha proposto di fare, al posto dell’isteroscopia che è piuttosto invasiva, un’ecografia in 3d, che non mostra proprio tutto quello che mostrerebbe un’isteroscopia, ma che può far capire se c’è qualcosa che non va. Se così fosse, dovrei poi procedere con l’isteroscopia, in caso contrario, no.
Non penso che me l’abbia proposto per guadagnare, visto che mi ha detto che sicuramente nella mia città posso trovare uno studio che effettua le ecografie in 3d, senza bisogno di andare da loro a Bologna.
2. Il medico ha consigliato a Marito di effettuare un test di frammentazione del DNA degli spermatozoi. I risultati di questo test non vengono mostrati da un normale spermiogramma. Questo test è costoso (circa 250 euro) ma necessario nei casi di grave infertilità maschile. Peccato che nessuno ce l’abbia consigliato prima (e io non sapevo neppure che esistesse)!
3. A causa del nostro problema di infertilità, il medico ci ha proposto di integrare la tecnica ICSI con un’eventuale IMSI.
Il centro PMA di RE che ci ha seguito finora non utilizza questa tecnica, che aiuta il biologo a scegliere gli spermatozoi migliori. In una ICSI normale gli spermatozoi vengono scelti osservandoli tramite un microscopio che li ingrandisce di 400 volte, mentre quello utilizzato nell’IMSI li ingrandisce fino a 6600 volte! Quindi è molto più facile individuare eventuali problemi.
Il mancato utilizzo di questa tecnica POTREBBE essere la causa dei nostri insuccessi. Un embrione creato utilizzando spermatozoi che presentano frammentazioni (non visibili con il microscopio utilizzato per l’ICSI, ma visibili con l’IMSI), apparentemente sano, potrebbe non essere in grado di svilupparsi e dare così origine ad un mancato attecchimento o ad una gravidanza biochimica (proprio quello che è successo a me).
4. Per quanto riguarda la stimolazione, il centro PMA di Bologna prevede terapie specifiche per i problemi della paziente (il centro di RE segue un protocollo standard per tutte). Inoltre, come farmaco soppressore non prescrivono mai l’Enantone (quello che è sempre stato dato a me), perché è molto potente e, di conseguenza, per poi ottenere l’ovulazione servono dosi maggiori di Gonal F.
Loro utilizzano un protocollo diverso, più leggero, che quindi da meno effetti collaterali.
5. Durante la stimolazione effettuano il primo controllo ecografico al quinto giorno di iniezioni di Gonal F (e non al nono come a RE) ed effettuano anche analisi del sangue per controllare i livelli ormonali (cosa che a RE non mi hanno mai fatto, con mio grande stupore, dato che, da quanto leggo su internet, è ovunque prassi comune). In questo modo, effettuando un doppio controllo, si riduce il rischio di iperstimolazione, cosa da me già provata e per niente piacevole.
6. Per quanto riguarda il transfer di embrioni congelati, non prescrivono pastiglie per bocca per l’endometrio, ma dei cerotti, sempre per il fatto che è una terapia più leggera.
7. L’equipe è composta da diversi medici. Nel caso in cui il giorno del pick up o del transfer il medico che ti ha seguito fino a quel momento fosse assente per qualsiasi motivo, c’è sempre qualcuno che può sostituirlo. A RE il medico che esegue ecografie, pick up e transfer è sempre lo stesso. Se per pura sfiga si dovesse ammalare, essere in ferie o fare un incidente proprio il giorno in cui tu devi fare il pick up o il transfer (interventi che NON possono essere rimandati) va tutto a puttane.
I CONTRO:
1. I costi sono alti. Parecchio. Una ICSI costa sui 4.000 euro, e in questo importo è compreso il transfer in seconda o terza giornata. Per il transfer in quinta giornata, quindi quando gli embrioni raggiungono lo stadio di blastocisti, c’è da pagare un sovrapprezzo.
La tecnica IMSI costa qualche centinaio di euro in più. Hanno però centri in altre città convenzionati con il S.S.N. (non a Bologna).
2. Le analisi pre-PMA (analisi del sangue, spermiogramma, elettrocardiogramma, eco mammaria, ecc.) hanno una validità di soli tre mesi, e non sei come a RE. Perciò, visto che tra una stimolazione e quella successiva devono passare almeno tre mesi, questi esami vanno sicuramente ripetuti ad ogni tentativo.
‘Na palla mostruosa.
Il medico ci ha detto che potremmo portare gli embrioni congelati a Bologna per fare il transfer da loro, ma io ho deciso di provare per l’ultima volta a fidarmi del centro PMA di RE, per un semplice motivo. Temo che non sia tanto il transfer il problema, quanto il MODO in cui questi embrioni sono stati prodotti.
Sinceramente, non mi va di abbandonare questi embrioni (cosa legalmente possibile, ma triste), né di doverli portare fino a Bologna per fare il transfer, con tutti i rischi del caso (ovviamente dovremmo essere noi ad occuparci del trasporto, mica lo fa un medico…).
Sono sicura che anche questi puntini luminosi mi abbandoneranno subito. E io e Marito già mentalmente pronti ad un nuovo fallimento e ad un nuovo tentativo. Questa volta a Bologna, è già deciso. In fondo abitiamo a meno di un’ora di strada, non è una grande fatica.
Sono stanca, stanchissima, ma ci voglio arrivare in fondo. Voglio farcela.
Se Ricky Martin ha tre figli, io ne voglio almeno cinque.
Con rispetto per Ricky, che ha tutto il diritto di avere dei figli. E io no?
Ho paura. Domani è il Gran Giorno. Anzi, non è proprio paura. E’ voglia di qualcosa di buono.
Domani è il giorno che deciderà quando sarà il Gran Giorno. Insomma, per farla breve, domani ho appuntamento presso il centro PMA per capire come sta reagendo il mio endometrio alla terapia con il Progynova e quando potremo programmare il criotransfer.
Sono agitata. E ho voglia di ridere. Perciò ho deciso di condividere con voi alcune delle conversazioni più assurde che io e Marito abbiamo dovuto sostenere da quando abbiamo iniziato il cammino PMA.
Ho scritto questo post qualche tempo fa, in attesa del momento giusto per pubblicarlo. E credo che quel momento sia arrivato. Dopo un 2012 bisesto e decisamente funesto, ho voglia di ridere. Voi no?
LA COSA (io e il mio capo)
Io e il mio capo non andiamo mai in pausa insieme. Le poche volte che questo accade è perché uno dei due ha bisogno di parlare con l’altro lontano da occhi indiscreti. Perciò, quando qualche settimana fa, alle cinque passate (orario in cui la sala caffè è vuota) mi ha proposto di uscire qualche minuto con lui, ho capito che doveva chiedermi qualcosa di importante.
Dopo avermi offerto il caffè, mi guarda e fa: “Allora? Non per essere indiscreto, ma… Hai idea di quando dovrai stare in malattia per la tua cosa?”
Vi ricordo che il mio capo sa tutto della PMA. Cioè, in realtà non sa nulla di come avviene la cosa in pratica, ha soltanto indovinato (senza che io gli dicessi nulla) a che tipo di fantomatica “operazione” (questo è quello che ho detto in ufficio) mi sto sottoponendo. Devo dire che io non alcuna vergogna a parlare della PMA con chi si mostra disponibile ad ascoltarmi. Mi sento sempre un po’ in imbarazzo per i miei interlocutori, però. Io ormai sono abituata a parlare di ovaie, spermatozoi e mestruazioni, ma dubito che questi siano gli argomenti preferiti dalla gente “normale”.
“Purtroppo non lo so ancora,” gli ho risposto. “Sai, quello che devo fare è condizionato dal ciclo, e… Non mi sono ancora arrivate, perciò non so dirti bene quando sarà programmata LA COSA.”
“Ah, capisco… E quando ti dovevano venire??”
“Tra il sei e il dieci dicembre… Ho un gran ritardo… Però ho tanta voglia di cioccolata, perciò penso che tra poco mi verranno!”
“Speriamo che ti arrivino presto, allora!”
“Eh, sì… Comunque ti avverto non appena mi vengono!”
“Ok! Dimmi quando ti arrivano! Aspetto fiducioso!”
Poi siamo tornati in ufficio. Io ero allucinata. Avevo appena speso dieci minuti a parlare di mestruazioni (delle MIE mestruazioni) con il mio capo davanti alla macchinetta del caffè.
MADRE DI MIO FRATELLO (io e mia mamma)
Qualche anno fa, mentre cercavo di riallacciare i rapporti con la mia incasinata famiglia, ho invitato a casa mia e di Marito (a quel tempo fidanzato) i miei genitori e mia nonna materna per il pranzo di Natale. Mio padre ha preferito andare dai suoi genitori, mia nonna non stava bene e alla fine l’unica che si è presentata è stata mia madre. Per tutta la durata del pranzo (che io avevo faticosamente preparato) mia madre non ha fatto altro che parlare di sesso. Con sua figlia. Davanti al suo futuro genero.
Ad un certo punto, mia mamma ci guarda intensamente e, con tono melodrammatico, fa: “Ragazzi, ma sapete che ieri sera mentre io e PapàdiEva facevamo l’amore si è rotto il preservativo? Ma secondo voi sono incinta? Se sono incinta il bambino lo potrei dare a voi!”
Io e Marito ci siamo guardati, stralunati. Il gamberetto in salsa rosa che stavo mangiando mi è andato di traverso.
Poi, come al rallentatore, ci siamo voltati nuovamente a guardare mia mamma.
“No, dai, MammadiEva, vedrai che non è successo niente…” ha bofonchiato Marito, cercando con lo sguardo una via di fuga (che non ha trovato).
Meno male che a quel tempo non sapevo ancora dei nostri problemi d’infertilità. Avrei persino potuto accettare l’offerta. E la conversazione si sarebbe fatta ancora più assurda.
LA CACCA NELLA VAGINA (io e la Gine1)
La Gine1 (la mia ginecologa abituale, per differenziarla da quella del centro PMA, che chiamerò GinePMA – wow che fantasia) non ha peli sulla lingua. In quest’ultimo anno, oltre ai problemi di Marito, anch’io ho avuto diversi disturbi, per fortuna risolvibili (e che apparentemente non causano infertilità). In sei mesi ho fatto tre pap test.
Ogni volta mi trovavano qualcosa: un’infiammazione, dei batteri, cervicite cronica… La dottoressa, oltre alle terapie, mi ha dato delle regole ferree da seguire per guarire: non mi devo lavare lì più di due volte al giorno, non devo fare lavande di mia iniziativa, non devo portare il salvaslip e di notte devo dormire senza mutande.
Ecco, quest’ultima regola per un po’ di tempo non l’ho seguita perché mi sembrava poco igienica. Insomma, le mutande ovviamente le cambio tutti i giorni, mentre i pantaloni del pigiama no. Io il pigiama lo cambio una volta a settimana, e credo sia normale (ma ho letto su internet di una che cambia gli asciugamani e l’accappatoio ogni giorno quindi, chi sa, magari sono io ad essere strana?!).
Quando l’ho confessato alla Gine1, lei è andata su tutte le furie, manco le avessi fatto un torto personale.
“Ma insomma,” mi ha detto, “vuoi guarire o no?”
“Certo, dottoressa… Ma ecco, vede, non mi sembra molto igienico dormire senza mutande… Insomma, entrerei in contatto con i pantaloni che di certo non sono puliti come le mutande…”
“Tu hai dei batteri! E per farli andare via devi fare come dico io!”
“Ma è sicura che sia igienico dormire senza mutande?”
“Durante la notte le mutande sfregano avanti e indietro e trasportano i batteri! Vedi i nomi di questi batteri?” ha esclamato, indicando le analisi del laboratorio. “Sono batteri che si trovano nel l’ano! Hai la cacca nella vagina! Tu vuoi avere la cacca nella vagina?” No, non voglio avere la cacca nella vagina, grazie. Mi è capitato di avere della cacca sul pavimento della sala quando le mie cagnolone erano cucciole, e mi è bastato.
Da quel giorno sono rimasta talmente traumatizzata che ogni sera, prima di andare a dormire, mi tolgo le mutande e le scaglio via, lontano, manco fossero il demonio.
La cacca nella vagina. Insomma, c’è modo e modo di dire le cose, ecchecavolo…
L’ALIENO (io e la ginePMA)
Questa ve l’ho già raccontata, ma merita di essere riportata alla memoria. Durante il primo colloquio con la GinePMA, quando la carpetta contenente le analisi mie e di Marito non pesava ancora diversi chili, la dottoressa non si è mostrata molto disponibile. Dopo aver accertato insieme a lei che una gravidanza naturale era impossibile, le abbiamo chiesto se con la PMA ce l’avremmo potuta fare.
“Beh, prima dovete fare diverse analisi,” ha detto, consegnandoci un elenco con la prescrizione di millemila esami, “e poi vediamo… Sa, signora, non so se potrete fare la PMA… Insomma, non sappiamo cosa potreste concepire, voi due!”
Un mostro a due teste? Un cane? Una fotocopia di mia madre? Oh, dottoressa, a noi va bene tutto, non siamo mica choosy!
LA MATEMATICA E’ UN’OPINIONE (io e Marito)
Era il 13 gennaio 2012. Quel giorno, oltre ad aver tamponato una macchinata di vecchie davanti ai miei genitori che, per pura BDS (botta di sfiga) passavano da lì, ho scoperto che io e Marito non possiamo concepire. La mia ginecologa aveva visionato lo spermiogramma di Marito e mi aveva dato la terribile notizia. Ho guidato verso casa in lacrime. Non appena ho varcato la soglia ho gettato le analisi sul tavolo. Marito è corso a chiedermi com’era andata.
“Lo sapevo, lo sapevo che c’era qualcosa che non andava!” ho urlato, piangendo, rossa di rabbia. “Avevo ragione! E tu non volevi credermi!”
“Ma che è successo?”
“E’ colpa tua! E’ tutta colpa tua!”
“Ma cosa?”
“Leggi le analisi! Leggi quei cazzo di numeri!”
Marito ha preso il foglio in mano. “Qui dice che ci sono centomila spermatozoi… Non capisco… E quindi?”
“Leggi i valori di riferimento, scemo!”
“Eh, c’è scritto che i valori normali sono tra 20 e 40 milioni… Beh, non va mica male allora, no?”
“Ma che cazzo dici, scemo? Ma non sai contare?”
Marito continuava a guardarmi, perplesso. Non sapevo se essere più preoccupata per la sterilità o per il Q.I. di Marito.
“Non hai neanche l’1% degli spermatozoi che dovresti avere!”
Marito mi continua a guardare… Poi d’un tratto diventa rosso… E comincia a ridacchiare.
“Oh, è vero sai?” Cazzo te ridi??
P.S. Lo so, sono stata un po’ stronza. Ma ero fuori di me. In realtà non ce l’avevo con Marito, ma con il destino.
SPERIAMO CHE PORTI BENE (la vecchina e Marito)
Era il 23 dicembre. Marito, mentre tornava a casa dopo aver fatto la spesa (oh sì, questa incombenza di solito spetta a lui – si diverte un mondo ad andare al supermercato – e torna sempre a casa con un mucchio di stronzate tipo ovetti kinder o Mars – e ovviamente dimentica le cose principali tipo il detersivo per i piatti o la carta igienica…)… Dicevo? Ah, sì, mentre Marito tornava a casa, si è dovuto fermare a soccorrere una vecchina che era finita con la sua Jaguar nel fosso, fortunatamente senza farsi nulla.
Noi abitiamo in campagna, qua le strade sono molto strette e se uno non è abituato a percorrerle c’è il rischio di finire nel fosso, soprattutto quando arriva un’auto dall’altra parte. Ora, già immaginarmi una vecchina alla guida di una Jaguar mi fa sorridere, ma la conversazione che mi ha riportato Marito è ancora più divertente.
Oltre a Marito si è fermato un ragazzo con due bimbe piccole al seguito.
Ah, l’innocenza dei bambini… Una delle due piccole ha esclamato, candidamente: “Ma noi ora dovevamo fare la spesa… Adesso per colpa di questa signora dobbiamo stare qui per chissà quanto tempo!” Meravigliose. Chissà com’era imbarazzato il loro papà…
Mentre aspettavano che arrivasse un conoscente della signora per portarla a casa, la vecchina ha chiesto a Marito di poter salire sulla sua macchina perché aveva freddo. Marito ovviamente le ha risposto di sì, e si è seduto in auto di fianco a lei.
“Ma lei è sposato?” ha domandato la vecchina ad un tratto.
“Eh, sì,” ha risposto Marito.
“E avete dei piccini?” ha domandato la signora, innocentemente.
Non oso pensare all’espressione di Marito…
“Certo… Abbiamo due cani!”
“Beh, ma non è la stessa cosa!” Dai, cazzo! Mo’ pure la vecchia ci si mette!
Quando finalmente è arrivato il conoscente della signora, quest’ultima ha salutato Marito facendogli gli auguri di Natale e chiedendogli il nome e l’indirizzo (oh, magari ci manda un bell’assegno come ricompensa per l’aiuto! – Alla faccia dello spirito natalizio).
E poi gli ha detto, così, tutto d’un tratto: “Vedrà, signore, che il 2013 sarà un bell’anno… Spero che le porti quello che cerca!”
Quando Marito mi ha riferito queste parole sono rimasta di stucco. Secondo lui quella vecchina era l’ “angelo dei bambini”… Tra i due quella più sognatrice e romantica sono sempre stata io, anche perché, in quanto scrittrice, amo far volare la fantasia. Ultimamente, però, i ruoli si sono invertiti. Io sto diventando sempre più razionale e pure un po’ cinica, mentre Marito sta svelando un lato “spirituale” che non conoscevo.
Non so se un’anziana signora finita nel fosso con la sua Jaguar possa portarci bene, ma è bello pensarlo.
Vecchinadeibambini (ah, era angelo dei bambini, forse), ti prego, fa che domani la GinePma dica che il mio endometrio è spassosissimo spessissimo, e che la settimana prossima possiamo fare il criotransfer!!
Dall’ultimo pap test che ho fatto, circa tre settimane fa, è emerso che ho qualcosa che non va. Un ascus. Non ho capito perfettamente di cosa si tratti, comunque ci sono delle cellule che non stanno tanto bene. Perfetto. Ci mancava solo questa!
Mercoledì la ginecologa mi ha effettuato una colposcopia e una biopsia al collo dell’utero, per indagare meglio su queste cellule anomale (ma, tra me e Marito, non abbiamo proprio niente di normale?!). Essendo io molto fifona, soprattutto quando si tratta di esami così invasivi, sono stata male per tutti i giorni precedenti alla visita. Quando sono entrata nello studio medico stavo letteralmente tremando.
Come faccio sempre quando ho paura, ho fatto alla dottoressa mille domande: che strumento sta usando? Cosa vede? Adesso cosa vuole fare? Ma di solito fa male? Ora che cosa sta prendendo?
Sì, sono una piaga, lo ammetto.
Ma in cosa consiste la colposcopia, questo strano esame di cui non avevo mai sentito parlare prima? Per una spiegazione medica, vi rimando a questa pagina (attenzione che le immagini fanno un po’ senso…).
La mia spiegazione: la ginecologa inserisce lo stesso strumento che si usa per il pap test, che si chiama speculum (grazie, Google) lì dentro e poi da una bella occhiata tramite una specie di binocolo, chiamato colposcopio… Figo, eh?
Il tutto non sarebbe neppure doloroso, se ad un certo punto non ti inserisse un tampone bagnato di un acido che “colora” le cellule “malate” per poterle osservare meglio… E, come se questo non bastasse, dopo ti bagna lì dentro con un altro acido ancora… Ho specificato che questo acido BRUCIA?
A questo punto io stavo già imprecando in lingue fino a quel momento a me sconosciute (tipo la bambina posseduta de L’Esorcista), quando la ginecologa mi ha annunciato che mi avrebbe dovuto fare una biopsia… Il mio incubo!
Mi ha infilato una specie di forbice gigante, poi mi ha detto che avrebbe contato fino a tre e a quel punto io avrei dovuto tossire forte, mentre lei avrebbe “strappato” un pezzettino di quelle cellule maledette… Io l’ho fatto, con le lacrime agli occhi, per ben TRE volte…
Non appena mi ha liberato dei forbicioni ho sentito dei dolori forti, simili a quelli mestruali. E sono scoppiata a piangere, come una bambina… La ginecologa non poteva credere ai suoi occhi! Mi ha chiesto: “Ma non starai davvero piangendo, vero?”
Era preoccupata che io stessi male, ma in realtà non è che il dolore fosse poi così forte (non vorrei scatenare il panico tra le donzelle che stanno leggendo questo racconto), ma mi mette un’ansia incredibile sapere di avere degli strumenti dentro al mio corpo… È una sensazione stranissima. E poi, credo che abbia aumentato la mia ansia anche la preoccupazione per quello che potrei avere, e il fatto che, mentre la dottoressa rovistava lì sotto, sentivo in sottofondo le urla disumane di una donna che in una stanza vicino stava partorendo… La ginecologa dice che, se sono così fifona, non riuscirò a sopportare i dolori del parto, ma lei non mi conosce e non sa che non vedo l’ora di provare quella sofferenza, se serve a mettere al mondo il mio bambino.
Questa colposcopia/biopsia, però… Preferirei non ripeterla mai più nella vita, grazie.
Nell’ultimo mese e mezzo io e Marito ci siamo sottoposti a tutti gli esami che ci permetteranno di accedere (forse) alla fecondazione assistita (per generare un mostro a due teste, un cane, o quello che sarà).
Dato che le analisi sono tante, e alcune anche costose, abbiamo deciso di farle tutte attraverso il S.S.N. Fortunatamente per questo tipo di analisi non ci sono lunghe liste d’attesa. In due settimane ho fatto tre prelievi del sangue, un tampone vaginale, un pap test e un elettrocardiogramma. Mi manca solamente l’ecografia mammaria, e poi ho finito. Marito deve ancora fare un terzo spermiogramma, poi dovremo pazientemente attendere di raccogliere tutti i risultati (per quelli delle analisi genetiche dovremo aspettare fino a metà aprile!). Il passo successivo sarà quello di andare da un buon andrologo e, a seconda di quello che dirà, Marito proverà una cura per i suoi spermini oppure torneremo al centro per la fecondazione assistita (sperando che la gentil dottoressa sia un po’ più gentile questa volta).
Incredibilmente, l’esame più difficile da sopportare per me è stato l’elettrocardiogramma, che sulla carta sembrava quello più banale. L’infermiere che mi ha effettuato l’elettrocardiogramma era un uomo sulla cinquantina, un napoletano alquanto (troppo) loquace. Mi ha detto di togliermi la maglia e il reggiseno e mi ha fatto stendere sul lettino. Io non provo alcun imbarazzo a spogliarmi davanti ad un medico o ad un infermiere, dato che li considero professionisti che ogni giorno vedono decine di persone nude. Mi ha sistemato gli elettrodi (si chiamano così?) sul petto. Uno, che aveva posizionato vicino al seno, si è subito staccato.
“Eh, non ha attaccato bene,” ha detto l’infermiere, sistemandolo nuovamente. “Dev’essere perché sei magra.”
“Veramente,” ho replicato, ridendo, “non sono poi tanto magra.”
Di certo non sono grassa, ma è vero che negli ultimi mesi ho messo su un paio di chili di troppo.
“Eh, ma la donna deve avere un po’ di carne, altrimenti cosa tocca l’uomo?” ha detto l’infermiere, mimando con le mani il gesto di palpare una donna.
Io non sapevo cosa dire, così ho riso di nuovo.
“Avevo una fidanzata, una volta,” ha proseguito lui, con sguardo sognante, e parlando con molto pathos, “che era secca, secca, non c’era niente da toccare! Io avevo sempre voglia di fare l’amore, ma lei non mi faceva eccitare… Quando la vedevo nuda, mi sembrava un uomo! Sì, la donna deve avere un po’ di carne da toccare!”
Ha continuato a parlarmi delle sue preferenze in fatto di donne per diversi minuti. Io continuavo a ridacchiare, imbarazzata, e visto che non mi aveva detto che dovevo stare ferma, ha dovuto rifarmi l’elettrocardiogramma per ben tre volte, allungando così il tempo di quell’esame decisamente imbarazzante.
Ero allucinata. Non vedevo l’ora di andarmene da lì. In realtà non sentivo se sentirmi più imbarazzata o divertita. Visto che mi sembrava che l’infermiere ogni tanto mi guardasse le tette, forse ero più imbarazzata.
Quando finalmente mi ha fatto rivestire, ecco che arriva la ciliegina sulla torta.
“Ma da quanto sei sposata?” mi ha chiesto.
“Da qualche mese.”
“Non avere fretta di avere figli, eh! Goditi il tuo matrimonio, prima.”
Inutile dire che l’ho fulminato con lo sguardo. Posso sopportare i racconti della vita sessuale di chiunque, ma queste frasi… No.
“Forse non ha guardato bene la prescrizione del medico,” ho ribattuto, un po’ acidamente. “C’è scritto esame per preliminari fecondazione assistita. Vede, io e mio marito abbiamo qualche problemino ad avere figli…”
“Ah. Beh, vabbuò…” (alla Schettino).
L’ho salutato gentilmente e me ne sono andata, ancora allucinata per quell’assurda esperienza, ma in parte soddisfatta per aver restituito all’infermiere un po’ dell’imbarazzo che mi aveva fatto provare.
Pochi giorni dopo l’esilarante visita dall’urologo, io e Marito siamo andati in un centro privato specializzato in fecondazione assistita per avere una consulenza. Grazie all’ottimismo dimostrato dalla mia ginecologa e dall’urologo, e grazie a tutte le testimonianze positive lette su internet, il mio umore era alle stelle. La mia allegria aveva conagiato anche Marito. Eravamo convinti di essere ad un passo dalla realizzazione del nostro sogno. Ci avrebbero fatto fare milioni di analisi, questo lo sapevamo, e la cosa non ci intimoriva. Saremmo stati sottoposti ad una bella ICSI (perché, indagando su internet, avevevo capito che era questa la tecnica più adatta a noi) e poi sarei rimasta incinta. Ne ero sicura.
Io e Marito abbiamo aspettato nella sala d’attesa per un sacco di tempo. Troppo, dato che per quella consulenza avremmo speso quasi duecento euro. Se spendo così tanto, pretendo almeno una certa puntualità. Finalmente la direttrice del centro ci ha fatto accomodare nel suo studio. Ci siamo presentati e le ho esposto il nostro problema, facendole visionare le nostre analisi (per il momento erano soltanto i due spermiogrammi di Marito e i miei esami dei dosaggi ormonali).
Lei ha guardato i referti, poi ha confermato la mia ipotesi, ovvero che nel nostro caso avremmo dovuto fare una ICSI. Ero contenta di aver indovinato e guardavo la dottoressa con una specie di soddisfazione. Tutte le mie serate spese su internet non erano state vane!
Non vedevo l’ora di conoscere l’iter che avremmo dovuto affrontare. Ero pronta a tutto. A farmi analizzare, anestetizzare, a farmi riempire di ormoni, a farmi sventrare… Avrei affrontato qualsiasi dolore, qualsiasi imbarazzo, pur di realizzare il mio sogno.
“Certo che… Con questi valori, non so se si potrà fare. Cento per cento di forme anomale…” ha detto la dottoressa, guardando con aria di disapprovazione lo spermiogramma di Marito.
Il sangue mi si è gelato nelle vene.
“Mi scusi, dottoressa,” ho detto, una volta che mi sono ripresa dallo shock, “io ho letto che si può ugualmente provare… Che, anche se le analisi dicono che tutti gli spermatozoi sono anomali, con le tecniche odierne potete riuscire a trovarne almeno uno che possa fecondare…”
“No, signora, non è così. Il problema è che non sappiamo cosa potreste generare voi due…”
Io e Marito ci siamo guardati, letteralmente allibiti. Nella mia testa frullavano mille domande che non sono riuscita a trovare la forza di porre. La dottoressa non ha fornito ulteriori spiegazioni. Avrei voluto strozzarla in quello stesso istante.
Ancora adesso mi chiedo cosa intendesse dire. Cosa potremmo generare? Un bambino malato? Un mostro? Un cane? In quest’ultimo caso, potremmo anche essere contenti. Abbiamo già due bimbe pelose, una terza sarebbe ben accetta…
Davanti ai nostri sguardi spaventati e increduli, la dottoressa non ha saputo dire nient’altro che: “Beh, ma tanto siete giovani. Ne avete di tempo. Dovete indagare e capire le ragioni di questi valori così anomali. Suo marito potrebbe provare a fare una cura ormonale, di tre o sei mesi…”
Tre o sei mesi? TRE O SEI MESI? Vedevo il mio bambino allontanarsi sempre di più…
“Ma, dottoressa,” ho replicato, dato che non riesco a stare zitta (quando invece dovrei tacere, e non parlo quando dovrei farlo…), “io ho letto che queste cure solitamente non servono a niente…”
“Sì, non hanno molto successo di solito… Ma, tanto, SIETE GIOVANI!”
Siamo giovani.
Sì, è vero, lo siamo, almeno rispetto all’età media in cui le coppie di oggi decidono di avere figli. E allora? Non abbiamo quindici anni. Non siamo adolescenti capricciosi che desiderano qualcosa fuori dalla loro portata. Siamo un uomo e una donna, un marito e una moglie, che desiderano con tutto il loro cuore avere un bambino. E nessuno, neppure il dottore più famoso del pianeta, può dirci che il nostro desiderio può aspettare.
La dottoressa ci ha poi consegnato un foglio con una lista interminabili di esami a cui ogni coppia che intende sottoporsi alla fecondazione assistita deve fare per legge: svariate analisi del sangue, analisi genetiche, elettrocardiogramma, ecografia mammaria, un tampone vaginale, un altro spermiogramma…
“Fate queste analisi, poi chiedete una consulenza ad un bravo andrologo. Poi, se volete, tornate qui e vediamo come procedere. Va bene? Arrivederci.”
Avevo diecimila domande da fare, ma la testa mi girava e mi sentivo svenire. Non sono riuscita a dire nulla. Quelle parole “cosa potreste generare?” continuavano a risuonare nella mia testa, come una maledizione. Quasi duecento euro spesi per avere le mie speranze infrante. Ero entrata nella clinica piena d’ottimismo, ne sono uscita distrutta.
Anche Marito era giù, ma in macchina mi ha preso la mano e mi ha detto che non dovevo fasciarmi la testa, che avremmo fatto tutte le analisi e che Dio, o Allah, o Vishnu, insomma, che qualcuno, lassù, ci avrebbe aiutato.
Non posso che sperarlo.
In seguito al responso del secondo spermiogramma, a febbraio Marito è andato a farsi visitare un urologo di Modena. Io l’ho accompagnato, e sono rimasta per più di venti minuti nella sala d’aspetto, finché il medico non mi ha invitato ad accomodarmi nello studio per riferirmi l’esito della visita. Il dottore ha detto che Marito non soffre né di varicocele, né di prostatite, perciò le cause della sua sterilità sono da ricercarsi in un altro modo. Come la mia ginecologa, anche lui ha detto che la nostra unica speranza è la fecondazione assistita, ed era abbastanza sicuro che la scienza ci avrebbe potuto aiutare. Lo studio era immerso in una musica celestiale e malinconica ed io, che sono una persona altamente emotiva, ho faticato a trattenere le lacrime mentre per l’ennesima volta la verità mi veniva riversata addosso come un macigno.
Quel giorno non potei fare a meno di pensare ad una scena del primo film di “Sex& The City”, quando Carrie, abbandonata sull’altare da Big, chiede alle sue amiche: “Riderò mai di nuovo?” e Miranda le risponde: “Certo. Quando una cosa sarà molto molto buffa.”
Anch’io, mentre sedevo nello studio dell’urologo, avvolta da quella musica triste in sintonia con il mio animo, mi sono posta la stessa domanda. Non l’ho pronunciata ad alta voce, perché dire quelle parole avrebbe significato ammettere che ero infelice, e non volevo che Marito, sollevato dal fatto di non avere malattie, venisse contagiato dalla mia tristezza. Chissà, forse l’ha intuito ugualmente, perché quel giorno è riuscito a farmi ridere. Non ricordo neppure da quanto tempo non ridevo così…
Eravamo appena usciti dallo studio e ci stavamo dirigendo verso la reception per pagare il (salatissimo) conto. Marito continuava a fare smorfie strane e e a toccarsi il fondoschiena, con un’espressione imbarazzata che diceva: “Non puoi immaginare cosa ho passato…”
Incuriosita, ho insistito per sapere cosa fosse successo, ma non ha voluto dirmelo finché non eravamo soli, nel parcheggio dell’ospedale.
“Tu sai come si fa a vedere se uno ha la prostatite?” mi ha chiesto, con tono drammatico.
“Beh, no, a dire il vero.”
“Ora te lo spiego. Il medico mi ha tastato per bene i testicoli. E fin qui, va bene. Sapevo che l’avrebbe fatto. Poi si è messo un guanto. Sul guanto si è cosparso una specie di gel. Io lo guardavo, terrorizzato. Sapevo già cosa voleva fare! Gli ho chiesto: Ehi, dottore, dove ha intenzione di mettere quella mano?! E lui fa: Guardi, mi dispiace, ma devo farle un’ispezione rettale… ”
A questo punto Marito ha smesso di parlare, ha scosso la testa mestamente e si è toccato nuovamente il fondoschiena.
“Mi fa un male… Mi è toccato pure farmi mettere un dito nel c..lo! Ah, ma questa la rinfaccerò a nostro figlio, puoi giurarci! Ti rendi conto? Devo subire tutto questo e poi… Ma ti immagini se nasce stronzo?!”
Marito ha continuato per almeno tre giorni a lamentarsi, con me e i suoi genitori, del trauma subito, finché suo padre, esausto, non gli ha detto: “Guarda che ti ha solo messo un dito nel sedere, eh! Ora piantala!”
E io per tre giorni non ho fatto altro che ridere pensando a quell’episodio.
Una cosa molto molto buffa ti può far sorridere, anche se sei una persona che vede allontanarsi sempre di più il suo sogno.
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