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La Diana sulla Luna

La prima cosa che Robertino fa, ogni sera, quando torna dall’asilo – dopo aver chiesto un pezzo di cioccolato – è salutare le sue cagnoline. Diana e Yuma.
Ma quel venerdì sera maledetto, c’è solo Yuma ad aspettarlo. Non se ne accorge subito. È così abituato alla loro presenza, da considerarla una cosa… Scontata. E la possibilità che non possano più esserci, impossibile.

“Mamma, dov’è Iaia?”
“Siediti, tesoro. Devo dirti una cosa. Ti ricordi che Diana era molto ammalata, vero?”
“Sì. Bua al pancino.”
“Esatto. Aveva molto male al pancino. Ecco, stava così male che è dovuta andare via.”
“Per sempre?”
“Purtroppo, sì.”
Sgrana gli occhi. Non ho mai visto quello sguardo negli occhi del mio bimbo.
“E non tornerà mai più?”
“No, amore mio. Mai più. Mi dispiace tanto.”
Roberto piange. Mai lacrime mi hanno fatto più male.

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Rinascere.

Mi piace la Pasqua. Amo ciò che rappresenta, e amo i ricordi che fa riaffiorare alla mia mente.

La Pasqua rappresenta una data molto importante, per me.

Era la Vigilia di Pasqua quando ho incontrato Marito, quindici anni fa.

Era Pasqua del 2013 quando la Messa di un prete speciale mi portò ad esprimere, così, da un momento all’altro, come se fossi stata folgorata da un fulmine benevolo, un desiderio.
Se fossi mai riuscita ad avere un bimbo, mi sarebbe piaciuto sposarmi in quella stessa chiesa, e farlo battezzare nello stesso giorno…
Chi avrebbe mai detto che, solo due anni più tardi, l’avrei fatto veramente?

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Il giorno di dolore che uno ha

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E’ da diversi minuti che osservo il monitor come inebetita, cercando le parole giuste da scrivere.

Mi sento stupida a scrivere sul blog in questo momento. Dovrei chiamare un’amica, ma non c’è nessuno con cui io mi senta di parlare in questo momento. Marito ha cercato di consolarmi, con belle parole, certo, ma che si sono rivelate del tutto vane.

Questa mattina, quando mi sono alzata, ho pensato che avrei voluto scrivere un bel post divertente oggi, come non faccio da tanto tempo. Ma temo che dovrò rimandare questo momento.

Le Malefiche non sono ancora arrivate, e il momento in cui i miei piccoli puntini luminosi entreranno a far parte di me si allontana sempre di più. Temo che, se non riusciremo a fare il transfer entro Natale (cosa ormai impossibile) il tutto slitterà a fine gennaio. Un’altra attesa. Un altro Natale da dimenticare.

Sono al 36° giorno e, da stupida masochista quale sono, ieri ho fatto un test di gravidanza. “Non si sa mai,” mi sono detta. Diciotto euro buttati nel cesso. Ovviamente era negativo.

Mia madre è sempre più fuori di testa e ogni giorno mi manda mille sms per dirmi cose orribili. Un’amica mi ha consigliato di non leggere più i messaggi, ma io non ne posso fare a meno. Ho sempre il timore che mi debba dire qualcosa di importante, così li leggo. E ogni volta sto male.

Abbiamo scoperto che mia nonna, nel ricovero sui monti in cui mia mamma l’ha relegata (ricovero da 1.500 euro al mese, non che questo importi), è stata derubata di tutto. Mia mamma le aveva comprato un intero guardaroba quando era entrata in ricovero. Il giorno stesso in cui è arrivata una delle operatrici (non si sa chi) le ha rubato tutti i vestiti nuovi. L’abbiamo scoperto dopo mesi, e mi sento una stupida per non aver detto niente prima, dato che avevo notato che indossa sempre abiti vecchi e logori. Credevo che mia madre, da fuori di testa quale è, non avesse pensato di portarle dei vestiti decenti, tanto che pensavo di comprarle qualcosa io. E ora invece viene fuori che le operatrici hanno tenuto nascosto questo fatto e fin dal primo giorno l’hanno vestita con gli abiti dei MORTI. Sì, avete letto bene. A mano a mano che le altre donne anziane ricoverate morivano, rubavano loro i vestiti per darli a mia nonna.

Non oso pensare quali altre crudeltà mia nonna debba subire. Quando io sono presente le operatrici sembrano tutte carine ed educate, ma… Quando non ci sono parenti in giro come si comporteranno?

Mia madre ha deciso di farla trasferire in un ricovero più vicino alla città, ma la lista d’attesa è lunga, e forse ce la farà soltanto per Pasqua, non prima…

E chissà se ci arriverà, a Pasqua. Le sue gambe sono sempre più gracili e la mente più debole.

Tre settimane fa, a causa di una brutta influenza che solo ora sta cominciando a passare, ho smesso di fumare. Non è stato molto difficile, dato che ogni volta che accendevo una sigaretta mi veniva da tossire come una pazza. E devo dire che il fumo non mi mancava neanche tanto. Oggi ho ricominciato. Mi sento una stupida, una debole, ma è stato più forte di me.

Io e Marito abbiamo appena seppellito Zymil in giardino.

Vi è mai capitato di vivere una giornata talmente pregna di emozioni, di dolore, di lacrime e di paura da arrivare a sera e chiedervi: ma è successo tutto veramente?

Oggi è una di quelle giornate, per me.

Stamattina, mentre ero in ufficio, ho ricevuto una telefonata di mia madre. L’ho ignorata, come mi ha consigliato la psicologa. Visto che insisteva, però, alla fine ho risposto. E un secondo prima di schiacciare il bottone verde sapevo già cosa mi avrebbe detto.

Stava piangendo. Mi ha detto che Zymil stava agonizzando. Era da giorni che non beveva e non mangiava più ed aveva perso un chilo in una settimana. Voleva portarlo dal veterinario. Io le ho detto di non fare nulla e di aspettarmi. Sono corsa fuori dall’ufficio, mentre percorrevo il corridoio ho iniziato a piangere, e sono andata a chiamare una mia collega, l’unica che sapevo avrebbe potuto capirmi… Ho continuato a piangere e urlare insieme a lei in corridoio, mentre i colleghi che passavano mi guardavano con un misto di curiosità e disappunto. Ha cercato di calmarmi, invano. Ho chiamato Marito e l’ho pregato di venire dal veterinario con noi. Poi sono tornata in ufficio, sempre correndo come una furia, mi sono vestita e ho detto al mio capo che dovevo andare e non sapevo quando sarei tornata. Lui, vedendomi tanto agitata, mi ha detto di non preoccuparmi e di fargli sapere qualcosa. Non gli ho detto niente perché sapevo che mi avrebbe deriso, forse non apertamente, ma dentro di sé sicuramente sì. Sono poche le anime che riescono a percepire la bellezza di un animale, un semplice animale che ti può donare molto più di un essere umano…

Mentre correvo per la strada, rischiando di farmi investire più di una volta, ho richiamato mia madre. Mi ha detto che stava già andando dal veterinario perché la situazione era gravissima e probabilmente gli avrebbero fatto LA puntura… Io l’ho pregata di aspettarmi, perché volevo essere lì… E lei non mi sentiva! Gliel’ho ripetuto mille volte, urlando in mezzo alla strada come una pazza… E lei continuava a dire che non riusciva a sentirmi perché la linea era disturbata! Sono arrivata alla macchina, ho guidato come una scriteriata e per fortuna sono arrivata dal veterinario in tempo, appena prima dei miei genitori e di Marito.

Era da qualche giorno che non vedevo Zymil. Quando ho dato un’occhiata dentro al trasportino, non ho potuto fare a meno di urlare. Il mio micio, il mio bellissimo micio bianco, non si muoveva. Era avvolto in una coperta. I suoi occhi erano semiaperti, ma non sapevo se mi stessero guardando realmente.

Siamo entrati nell’ambulatorio, e prima di adagiarlo sul tavolo l’ho voluto tenere un po’ in braccio, per fargli sentire il mio calore, il mio amore, sperando in un miracolo che sapevo non sarebbe accaduto.

La veterinaria ha detto subito che la situazione era grave. Ormai i suoi reni erano completamente andati, anche se il suo cuoricino era molto forte… Ci ha detto che con delle flebo e delle medicine poteva farlo sopravvivere ancora un giorno al massimo. Noi abbiamo deciso all’unanimità di farlo smettere di soffrire.

Secondo la dottoressa Zymil era in coma e non sentiva più niente. Ma io non credo che fosse vero. Gli ho tenuto la zampina per tutto il tempo, e lui mi ha stretto la mano… Mi guardava aprendo e chiudendo leggermente gli occhietti, come per dirmi: “Sono stanco, sono pronto per andare!”

La dottoressa diceva che erano soltanto spasmi involontari, ma io non credo che fosse così. Non voglio crederlo!

Gli ho tenuto la zampina e l’ho accarezzato mentre gli veniva fatta la puntura dell’anestesia… E quando finalmente si è addormentato, la veterinaria gli ha fatto quella maledetta puntura nel cuore… Che, lo sapevo, gli avrebbe dato sollievo, ma che l’avrebbe portato per sempre via da questo mondo. E da me.

Quest’agonia è durata tantissimo tempo… Il cuoricino di Zymil non ne voleva sapere di fermarsi! Mentre se ne andava la sua bocca si apriva e si chiudeva, e io ho chiesto alla dottoressa cosa stesse succedendo… Lei mi ha risposto che si trattava di spasmi involontari, che presto avrebbe smesso, e che le dispiaceva molto, perché questo accade solo una volta su un milione… Anche quando il suo cuore aveva ormai smesso di battere la sua bocca e i suoi occhi continuavano a muoversi… Io non riuscivo a vederlo così. Ho continuato a tenergli la zampa e ho chiuso gli occhi, inginocchiandomi davanti a lui, inondando il pavimento di lacrime.

Anche i miei genitori piangevano, e per la prima volta mi sono sentita in sintonia con loro… Marito è uscito per darci un momento di intimità, e mio padre avrebbe voluto che lo seguissi… Ma io ho preteso di restare. Volevo accompagnare Zym sul ponte dell’arcobaleno…

E poi… E poi ricordo solo tante lacrime. Ho detto ai miei che volevo portarlo a casa per seppellirlo in giardino, e per fortuna non hanno avuto niente da ridire. Marito è tornato a lavorare e mia madre è andata a casa, ed io e mio padre siamo andati in un negozio a comprare una bella cassettina dove farlo riposare. Poi siamo andati a casa mia a cominciare a scavare la buca, ma mio padre se n’è andato prima d’aver finito perché mia madre l’ha chiamato, incavolata nera, gelosa marcia del fatto che io e mio padre fossimo insieme. La sua malattia mentale non si placa neppure in questi momenti. Mi ha addirittura mandato un sms per dirmi che “la vita mi punirà” per averla esclusa… E meno male che è stata lei ad insistere affinché mio padre venisse a casa mia, e meno male che non ha mai chiesto di poter venire anche lei. Fa sempre così. Fa le cose apposta per poi potersene lamentare e additare gli altri di essere crudeli nei suoi confronti, mentre è lei ad essere la persona più malvagia ed egoista verso gli altri.

Potevamo essere uniti, per una volta, sebbene nel dolore… Potevamo essere una famiglia. E, invece, non è stato possibile.

Nel pomeriggio sono tornata a lavorare. Ho lasciato Zymil in giardino, nel suo trasportino coperto da un lenzuolo. E’ stato un pomeriggio orribile. Nessuno, per fortuna, mi ha domandato come mai fossi uscita tanto angosciata questa mattina. Non avrebbero capito.

Quando sono tornata a casa, nel buio, io e Marito abbiamo finito di scavare la fossa. Poi abbiamo messo il corpo di Zymil nella scatola, avvolto in una coperta. E ho pianto, pianto, pianto, toccando il suo corpo rigido, freddo, che non mi farà mai più le fusa, che non cercherà mai più le coccole, che non sarà, mai più.

Abbiamo seppellito la scatola. E domani faremo una bella croce e una lapide.

Marito ha cercato di consolarmi, dicendomi che gli abbiamo donato una bella vita, che era giunto il suo momento, che continuerà a vivere nei nostri ricordi… Che prima o poi anche i nostri cagnoloni non ci saranno più, ed io devo essere pronta…

Sono ore che non faccio altro che pensare alla morte.

Ho sempre creduto che esista qualcosa, dopo.

Ma ora non lo so più.

Forse non c’è niente. Forse l’anima e l’aldilà sono solo invenzioni delle religioni.

Non c’è niente, dopo.

Un attimo siamo, e quello dopo non siamo più.

Non possiamo più provare alcuna emozione. Non possiamo ridere, amare, stare bene, soffrire, piangere.

Non possiamo più fare nulla. Non ci siamo più. Non siamo più.

In questo momento non esisto neanch’io.

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Fatemi scendere, per favore

Dopo lo sfogo dell’altra sera ho cercato di convincermi che, proprio come qualcuna di voi mi ha detto nei commenti, avrei dovuto approfittare di quest’ennesima attesa, neppure tanto lunga, ma atroce, per prendermi cura di me stessa, per rendere il mio corpo un nido accogliente per i miei “bimbi”. E non per bere, fumare come un ossesso e mangiare un giorno sì e due no come sto facendo ultimamente.

Ma non faccio in tempo a smettere di piangere, a rialzare la testa, che dietro l’angolo mi aspetta già l’ennesima sofferenza. E un nuovo pianto.

Stamattina sono andata a trovare mia nonna materna al ricovero dove mia madre l’ha letteralmente sbattuta ormai diversi mesi fa contro la sua volontà. Era da un po’ che non la vedevo, a causa della PMA e tutto il resto. Tra l’altro il ricovero si trova ad un’ora dalla mia città, in un paesino sperduto sugli Appennini… Non oso pensare quando ci sarà la neve (e lì nevica parecchio…) come farò ad andarci.
Ultimamente mia nonna non fa che peggiorare. Ormai non mi riconosce più, non parla, non riesce a camminare, in bagno non riesce neppure a tirarsi giù i pantaloni da sola e devo aiutarla io o le infermiere. Negli ultimi anni mia nonna è finita spesso all’ospedale perché ha tanti problemi a causa della vecchiaia, ma quando l’andavo a trovare in ospedale non era così stranita come ora! Mi ricordo che una volta, quando era ricoverata, le avevo persino portato le foto del matrimonio e le aveva guardate con gioia… Fino ad un anno fa andava in bagno tranquillamente da sola, addirittura cucinava per sé (ok, faceva cuocere la pasta per 45 minuti, ma almeno riusciva a mettere una pentola sul fuoco!).
Ora sembra un’altra persona… Non fa altro che ripetere che vuole andare via da lì, ma io sono impotente, non posso fare nulla, non posso prendere decisioni! Se potessi la porterei a casa con me, ma ha bisogno di qualcuno che stia con lei, e io e Marito siamo al lavoro tutto il giorno, mica possiamo lasciarla da sola in casa con due cani…
La sto guardando spegnersi ogni giorno di più, e non posso fare nulla… Vorrei tanto che il mio bambino la potesse conoscere, ma non so se accadrà…

Quando ragionava ancora, qualche mese fa, mia nonna mi ha chiesto quando avrei avuto un figlio… Io le ho detto che ci stavamo “lavorando”… Ovviamente non le ho detto della PMA, sarebbe un po’ difficile da spiegare ad una donna di 86 anni (me la immagino chiedermi in dialetto: “Cos’è quella roba lì? Stimolazione ovarica? Liquido seminale? Provetta??”).
Mia nonna in quell’occasione mi ha solo consigliato di portare pazienza, perché anche lei aveva aspettato mia madre per dieci anni (tanta attesa per un risultato così!!). Io le ho detto che, quando sarei rimasta incinta, sarebbe stata la prima a saperlo… Ma ci sarà ancora, quando questo piccolo grande miracolo accadrà? Sarà ancora in grado di capire, di gioire con me, per me? Potrà prendere in braccio il suo nipotino (dovrei dire pronipotino, ma suona male) e capire chi è?

Forse no. Probabilmente no.

I miei genitori sono da una settimana alle Mauritius. Credo che debbano rientrare domenica prossima. Non li sento da mesi, ormai, a parte qualche sporadico sms che mi manda mia madre per farmi sapere quanto mi detesta o che devo ritenermi orfana. Qualche giorno fa mia nonna paterna mi ha pregato di chiamarli perché aveva saputo che dovevano parlarmi. Controvoglia, ma preoccupata che fosse successo qualcosa, l’ho fatto.

E’ stato strano risentire la voce di mia madre dopo tanto tempo. Non so neppure spiegare esattamente cos’abbia provato. Tanta rabbia, credo. E un pizzico di tristezza per quello che avremmo potuto essere, per quello che non siamo mai state l’una per l’altra.

Naturalmente mia madre non mi ha chiesto nulla sulla fecondazione assistita. Mi ha solamente domandato, frettolosamente e con tono indifferente: “come stai?”. Io ho risposto con un altrettanto laconico “bene”. La sua replica? “Ah, ok.” Nient’altro.
Sa benissimo quello che sto passando. Anzi, no, non sa proprio nulla, dato che non si è mai interessata. Non sa dell’iperstimolazione, dei dolori che ho dovuto sopportare, della mia angoscia… Ma è a conoscenza del fatto che in questo periodo mi sarei dovuta sottoporre ad un secondo ciclo di PMA. Gliel’ho detto un paio di mesi fa, quando le ho annunciato che, purtroppo, non mi sarei potuta occupare io della casa e dei gatti durante la loro assenza. Quando gliel’ho detto ovviamente pensavo che in questo periodo sarei dovuta stare a riposo dopo il transfer, o magari sarei stata incinta e quindi impossibilitata a fare sforzi.
Dato che è saltato tutto, lunedì scorso ho mandato un sms a mia madre per dirle che ero libera e che avrei potuto occuparmi io dei mici, ma lei mi ha risposto che era meglio di no. Aveva già chiesto al figlio della veterinaria di andare a casa ogni sera per dare loro da mangiare e che, dato che uno dei gatti sta poco bene e deve prendere delle medicine, preferiva che fosse questo ragazzo a farlo, perché è più esperto di me. E mi ha espressamente vietato di andare a casa per non stargli tra i piedi.

Mi è dispiaciuto molto, perché quei gatti con cui ho vissuto per anni sono per me come dei figli, e mi piace di tanto in tanto prendermi cura di loro e coccolarli. Non lo posso fare spesso, dato che voglio evitare i contatti con i miei genitori, e quindi vado a casa loro soltanto quando non ci sono…

Sapevo che in fondo era meglio così perché, anche se sono da anni una volontaria della Protezione Animali e somministro sempre medicine ai gatti del nostro rifugio, mi sarei sentita in difficoltà a dovermi accollare questa responsabilità… Mi sono detta che sicuramente il figlio della veterinaria era più bravo di me, e anche se avesse faticato non si sarebbe fatto dei problemi a chiamare sua madre per aiutarlo.

Purtroppo io sono una maniaca del controllo. Ma proprio maniaca, eh. Non mi fido di nessuno. E da quando i miei genitori sono partiti non faccio altro che chiedermi: “ma quel ragazzo sarà bravo? Farà attenzione che i gatti non scappino per le scale? E se si dimenticasse di chiudere la finestra e uno dei gatti cadesse giù? E se si scordasse di dare loro l’acqua e morissero di sete?”

Sì, sono paranoica. Ma forse sono giustificata dal fatto che, quando aveva soltanto qualche mese, dieci anni fa il nostro primo gatto è caduto giù dal balcone (dal terzo piano). Sono rimasta traumatizzata per anni da quella terribile notte, anche se il micio si è salvato ed è tuttora il re della casa.

In questi giorni ho cercato in tutti i modi di restare tranquilla, ho provato con tutte le mie forze a fidarmi di questa persona.

E proprio l’altra sera mia madre, ignara (perché neppure me l’ha chiesto) di tutto quello che è successo, che mi è successo, ha deciso di annunciarmi che il gatto che sta male probabilmente non vivrà ancora a lungo. Me l’ha detto così, senza alcuna delicatezza, senza neppure spiegarmi il perché.

Zymil. Sì, proprio come il latte. Questo è il nome del micio. Un bellissimo gatto persiano dal pelo folto e bianco che abbiamo trovato, abbandonato, otto anni fa. Dovrebbe avere all’incirca dieci anni, ma forse ne ha anche dodici. Come molti gatti della sua razza, ha entrambi i reni policistici. Una malattia incurabile.

I miei gatti sono stati i miei unici amici durante un’adolescenza vissuta per la maggior parte nella solitudine e nella sofferenza. Io sono stata la prima persona di cui Zymil si sia fidato. E nessuno si era mai fidato di me, prima di allora. Avevo diciotto anni quando i miei genitori l’hanno portato a casa, tutto sporco e arruffato. Non appena l’hanno liberato si è nascosto in cucina e non ne voleva sapere di venir fuori. Io sono stata una sera intera accucciata per terra, cercando di convincerlo ad avvicinarsi a me, cercando di fargli capire che non gli volevo fare del male. Lui non si muoveva, ma ad un certo punto ho cominciato a sentire uno strano rumore. Credevo che stesse ringhiando e ho preso paura, ma poi ho sorriso capendo che stava facendo le fusa! Mi sembrava quasi che volesse dirmi: “Vorrei fidarmi di te, ho capito che sei buona, ma ho paura!”

Con il tempo Zymil è diventato un gattone buono e coccolone… Anche se negli ultimi anni mi vede raramente, ogni volta che entro in casa mi riconosce, inizia immediatamente a fare le fusa e si mette a pancia all’aria per farsi coccolare… A differenza degli altri mici, lui beve molto e ogni volta la sua “barba” si impregna d’acqua, e lascia una lunga scia sul pavimento… Ha due occhi bellissimi, uno è ambrato e l’altro azzurro… Quando mi guarda penso di non aver mai visto occhi così belli e intensi.

E’ solo un gatto, ma io gli voglio bene. Non voglio che se ne vada. Ora non potrei sopportarlo. Vorrei che anche lui conoscesse il mio bambino, che potesse fargli le fusa, che potesse insegnarli che il cuoricino di un gatto può dare più amore di tanti esseri umani…

Ieri ho chiamato la veterinaria per sapere le reali condizioni di Zymil. Non mi fido molto di mia madre, pensavo che avesse esagerato. La dottoressa era felice che l’avessi chiamata e mi ha pregato di portarle il gatto, perché suo figlio non riesce a prenderlo e ha bisogno di fare flebo ogni due giorni. Ma mia madre non poteva dirmelo, sapendo che per i gatti farei qualsiasi cosa?! Voleva che saltasse le flebo per due settimane intere?
Ho portato immediatamente il micio da lei dopo il lavoro. Era da un po’ che non lo vedevo. E’ veramente magro. Prima pesava sei chili, ora la metà esatta… Quando lo accarezzo sento le ossa, prima sentivo solamente della bella ciccia, e lo prendevo sempre in giro per questo…
Non appena l’ho visto sono scoppiata a piangere. E ho continuato mentre la veterinaria gli faceva la flebo, e sono crollata quando mi ha annunciato che sì, potrà vivere ancora, ma non per più di qualche mese.
Oggi sono andata ancora a trovare il micio, per coccolarlo un po’. Mi sono sdraiata sul letto con lui (ama accucciarsi sul cuscino) e l’ho accarezzato a lungo. E più mi faceva le fusa, più io piangevo. Anche Marito, che mi aveva accompagnato, aveva gli occhi lucidi. E lui non piange quasi mai.

Porterò di nuovo il micio dalla veterinaria lunedì. E so che piangerò di nuovo. Cercherò di trattenermi, ma lo farò ugualmente.

Con gli anni ho imparato che il vittimismo non serve a niente, che bisogna cercare di apprezzare ciò che di bello si ha… Non mi piace lamentarmi, non mi piace farmi vedere sempre triste, ma in questi giorni è molto dura sorridere. Cerco di vedere quello che di buono c’è nella mia vita, e so di avere tante cose belle, ma è difficile gioire quando non puoi fare nulla per chi ami!

Sono circondata dalla morte. E sono totalmente impotente davanti a tutto questo. E mi chiedo: come posso trovare la vita, in mezzo a tutta questa desolazione?
Soltanto realizzare il desiderio di avere un figlio potrebbe ridarmi la gioia.
Ma come potranno i miei embrioncini rimanere attaccati ad un corpo così pieno di dolore? Chi vorrebbe restare con una persona che non fa altro che piangere?
Sono tanto stanca di queste prese in giro del destino, di questa giostra del dolore. Fatemi scendere, per favore!

Ieri sera ho parlato con Dio.  Era da tanto che non lo facevo. Dico “parlato” e non “pregato” perché le mie non sono vere e proprie preghiere. Mi scappano anche delle parolacce quando parlo con Lui. Non ho idea se Dio sia uno e trino, se Gesù Cristo facesse sul serio i miracoli o se la Vergine Maria fosse davvero vergine. Non me ne frega niente, in realtà. Io so che Lui c’è. Ed è questo che mi fa più incazzare. Gli ho detto che non sento più la Sua presenza accanto a me. Dentro di me. Che forse non l’ho mai sentita. Che vorrei sentirla, davvero, per riacquistare un po’ di fede. Non so cosa mi aspettassi. A volte faccio troppi voli con la fantasia, soprattutto dopo aver bevuto un po’… Forse speravo che mi desse un segno, tangibile, della Sua presenza. Che mi facesse sentire che non sono sola. Che Lui, oltre ad esserci, mi ama, ci ama. Ma non mi ha dato alcun segno. Non sono meritevole neppure della Sua attenzione?