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Il primo gradino di una lunga scalinata

Piccola premessa: Dio c’è. Ed è un gran burlone. Ho pregato affinché questo triste mese di novembre passasse velocemente, che qualcosa, qualsiasi cosa, mi distraesse dal pensiero del transfer, che arrivasse presto il momento in cui quei puntini luminosi sarebbero diventati parte di me…

Beh, diciamo che Dio mi deve aver ascoltato, dato che, nell’ordine, ha fatto stare mia nonna, ha quasi fatto morire uno dei miei gatti e, dulcis in fundo, mi ha fatto venire una terribile influenza che da quasi una settimana mi costringe a letto.

Ecco, Dio, quando parlavo di distrazioni non mi riferivo propriamente a questo… Andava anche bene una misera vincita al lotto, un week end fuori porta, una visita inaspettata da parte di un’amica… Anche un bel film in tv al posto dei soliti trash-show…

Sì, insomma, qualcosa di positivo. No, eh?

Comunque, in questi giorni di riposo forzato ho realizzato che mi sono dimenticata di raccontarvi l’ultimo incontro del corso preparatorio all’adozione. Me ne sono dimenticata non soltanto a causa di tutto quello che è successo ultimamente, ma anche perché, come potete ben immaginare, in questo periodo sono totalmente concentrata sulla PMA e su quei fagiolini congelati che mi aspettano.

Visto che ora ho tempo da perdere tra una soffiata di naso e l’altra, ho pensato che fosse giusto riprendere l’argomento, anche perché è una strada che non ho assolutamente intenzione di abbandonare, indipendentemente dall’esito della PMA.

Per raccontarvi tutto riprendo alcuni spezzoni di un’e-mail scritta ad una blogger mia omonima, perché mi era piaciuto molto quello che le avevo scritto (e non ho molta voglia di rielaborare tutto quanto)!

Come vi avevo già detto il corso, che è durato quattro incontri per un totale di sedici ore, non è stato particolarmente apprezzato da Marito. A me invece alla fin fine è piaciuto, anche se è stato stancante e se gli assistenti sociali hanno cercato in tutti i modi di metterci paura (vero e proprio terrorismo psicologico).

Durante l’ultimo incontro, l’undici ottobre, abbiamo guardato un documentario che mostrava la situazione di alcuni istituti per orfani/bimbi abbandonati di un Paese africano e di un Paese dell’Est. Guardandolo provavo il desiderio di portarmi a casa tutti quei bimbi bellissimi… Devo dire, però, che questa visione non ci ha sconvolti più di tanto: nonostante la mancanza di punti di riferimento “fissi”, i bambini sembravano ben nutriti e in salute e seguiti con affetto dalle operatrici (il documentario non mostrava scene di violenza o cattiveria nei confronti dei bambini, che magari in realtà accadono in certi istituti o Paesi).

Ciò che in realtà ci ha veramente sconvolti, non solo a me e a Marito, ma anche alle altre coppie, è stata la seconda parte del filmato. Abbiamo ascoltato due interviste ad un ragazzo e ad una ragazza adottati (se non sbaglio in Francia o in Belgio), attualmente giovani adulti. Entrambi esprimevano il proprio affetto per i genitori adottivi, ma non facevano altro che ripetere quanto sentissero ancora il legame con quelli naturali.

Il ragazzo, nonostante fosse stato cresciuto in una famiglia adottiva numerosa e che gli ha donato molto affetto, affermava di essersi sempre sentito un pesce fuor d’acqua, anche a causa delle prese in giro subite a scuola per il fatto di essere stato adottato. Da adolescente è scappato numerose volte da casa, ed è tornato solo quando la madre adottiva si è ammalata gravemente.

Mi ha colpito in particolar modo, però, la storia della ragazza: adottata quando aveva tre mesi, per tutta la vita si è chiesta perché fosse stata abbandonata, e quando ha raggiunto la maggiore età è corsa a cercare la madre naturale. Ha scoperto così che è stata abbandonata per motivi economici, e la verità l’ha aiutata a superare finalmente il trauma. I suoi genitori adottivi avevano sempre evitato di parlare della famiglia naturale, tenendole nascosta la verità, e nel corso degli anni la ragazza si era convinta di essere nata da una prostituta tossicodipendente che l’aveva lasciata per strada… E questo pensiero terribile la faceva stare male.

Da quando ha scoperto la verità la ragazza ha deciso di mantenere i rapporti con la madre naturale.

Questa storia ha sconvolto tutti i partecipanti al corso, ed io sono stata la prima a dire ad alta voce ciò che pensavamo tutti. Tutti noi aspiranti genitori adottivi sogniamo di adottare per avere finalmente quel figlio che la Natura non ci permette di avere… Sogniamo di avere un bambino tutto nostro, da amare e che ci ami. Che ami soltanto noi.
Ma non si può negare che il legame con i genitori naturali c’è, e resterà per sempre… La cosa migliore è evitare di negare questo legame, non mentire al proprio figlio sui motivi per cui è stato abbandonato, e accompagnarlo e aiutarlo nel caso in cui un giorno decidesse di incontrare chi gli ha dato – materialmente – la vita. Anche se è un passo difficilissimo.

Questo è uno degli aspetti dell’adozione che mi fa più paura. Io sono una persona estremamente possessiva… Ma capisco che le persone non si possono possedere, e per amore di mio figlio riuscirei ad affrontare questa difficoltà. Dovrei riuscirci per forza.
L’adozione è una cosa che ho dentro da sempre. Ma non posso negare che negli ultimi anni si fa sentire sempre di più l’istinto materno, il desiderio di sentire una vita crescere dentro di me. Il mio sogno sarebbe quello di avere un figlio di pancia e uno di cuore… Io voglio sempre strafare!

Io intendo ancora adottare, con tutto il cuore, ma è qualcosa che vorrei fare per il bambino e non per me. Ora la mia voglia di maternità è così forte, rabbiosa, che fa quasi male, non mi dona la pazienza e la serenità necessarie per compiere un percorso difficile e lungo come l’adozione. Ho paura che sbaglierei tutto. Sia prima, che dopo. Se riuscissi ad avere un figlio naturale, a trovare quella gioia e quella pace che desidero da tanto tempo, affronterei l’adozione con un’altra ottica. E la vedrei più come una scelta di donare amore, piuttosto che come il desiderio di avere amore, di completare la famiglia.

Non intendo dire che amerei meno un figlio adottato, avendone già uno naturale, o che lo considererei in maniera diversa… No! Assolutamente no! Però IO sarei diversa. Sarei più serena, più calma, come ora non sono affatto. Se la PMA dovesse andare male ancora, se quel figlio di pancia non dovesse arrivare mai, sicuramente procederemmo con l’adozione. Ma sarebbe un vero e proprio calvario. Dovrei sforzarmi con tutta me stessa per non perdere la testa durante tutti quegli anni di attesa, e i colloqui con gli psicologi, e i corsi (basta non se ne può più di ‘sti corsi!!) che ti obbligano a fare gli enti per l’adozione internazionale… Lo farei, perché per avere un figlio farei qualsiasi cosa. Ma forse non lo farei con lo spirito giusto.

Devo ancora imparare tanto… Ma ce la farò. In fondo, imparare a fare la mamma – di pancia o di cuore non importa – è la cosa più bella del mondo.

Ecco, se magari arrivasse anche il materiale su cui studiare non sarebbe male, eh.

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Adozione terzo round

Giovedì sono andata al terzo – e penultimo! – appuntamento del corso per l’adozione. Parlo al singolare perché mio marito, accidenti a lui, non poteva prendere un altro permesso dal lavoro e quindi mi è toccato andare da sola.
A voi non sembrerà una gran cosa, ma a me, che detesto trovarmi in un gruppo di più di quattro persone, è stata un’impresa affrontare questa giornata. Nei gruppi, soprattutto se si tratta di estranei, mi sento a disagio, in particolar modo se non ho vicino una persona cara a cui “aggrapparmi”. Mi serve del tempo per conoscere le persone, imparare a fidarmi di loro e trovarmi bene, e in soli due incontri non avevo neppure imparato a memoria i nomi di tutti!
Mio marito mi chiede sempre come cavolo ho fatto a vivere all’estero da sola con tutte queste fobie 😉
Mentre mi avvicinavo alla sede dell’AUSL il cuore mi batteva fortissimo, come se stessi andando al patibolo… Fuori dal portone c’erano tutte le altre coppie che aspettavano e chiacchieravano tra di loro in gruppetti. Avrei voluto avvicinarmi a qualcuno di loro ma, non sapendo bene come fare, sono rimasta da sola come un’idiota. Sono consapevole, dato che in passato qualcuno me l’ha detto, che questo atteggiamento mi fa apparire come una snob asociale. Sigh. Proprio io che sono tutto il contrario! Adoro conoscere gente, posso stare ore ed ore a chiacchierare… Ma non sono capace di avvicinarmi agli altri per prima.
Questo incontro era dedicato all’adozione internazionale. Era anche presente una rappresentante di un ente autorizzato per darci tutte le informazioni. Come al solito all’inizio abbiamo fatto un lavoro di gruppo. Mi sono rilassata un po’ quando, prima di iniziare il nostro brain storming, io e gli altri componenti del gruppo abbiamo dato voce ad un pensiero comune: questi incontri sono insopportabili e le sedie scomodissime! (Non sono l’unica a cui fa male il sedere quando torna a casa!).
L’adozione internazionale mi è sempre interessata. Ho sempre sognato avere un figlio biologicamente mio e un figlio adottivo di un altro Paese. Sognavo una famiglia multiculturale. Ho sempre amato conoscere e scoprire altre culture e nella mia vita cerco sempre, con ogni mezzo, di combattere il razzismo e la paura del “diverso” che purtroppo sono ben radicati nella mentalità dei nostri connazionali. Una famiglia multiculturale rappresenterebbe chi sono e quello in cui credo, e, perché no, penso che potrebbe essere un buon esempio anche per gli altri.
Purtroppo l’adozione internazionale non è poi così facile rispetto a quella nazionale. I costi sono molto elevati (si parla di decine di migliaia di euro), i bambini adottabili grandicelli (non ricordo quale sia la media, comunque credo sia impossibile avere un bambino di età inferiore ai cinque anni) e il rischio sanitario un pericolo.
La scorsa volta avevo un po’ preso in giro la ragazza che si era mostrata tanto preoccupata per eventuali malattie non dichiarate che potrebbe manifestare un bambino adottato, ma durante questo incontro ho capito che è un pericolo reale. I bimbi adottati con l’adozione internazionale provengono da Paesi del Terzo Mondo dove non esistono neppure certi strumenti per diagnosticare le malattie.
Inoltre uno dei mariti presenti al corso, che conosce alcune coppie che hanno preso questa strada, in privato mi ha detto che quasi sempre, per riuscire ad avere un bambino, occorre pagare una somma extra ai giudici o agli assistenti sociali del Paese estero… Insomma, bisogna andare là muniti di taaaanti contanti. Io, con la mia ingenuità, non ci avevo neppure pensato. Tutto questo mi fa schifo.
Tutte le coppie presenti, me compresa, hanno espresso la loro preoccupazione non soltanto per i tempi dell’adozione internazionale, ma anche per l’età dei bambini adottabili. Naturalmente tutti desiderano adottare un bambino il più giovane possibile. E qui si ritorna al solito discorso: con l’adozione si cerca di sopperire alla mancanza di una genitorialità naturale. Sbagliato. Egoistico, forse. Ma naturale, istintivo, comprensibile.
Però l’istinto materno è la cosa più naturale che ci sia, è quello che ha permesso al genere umano di continuare ad esistere! Com’è possibile reprimerlo, ucciderlo, dimenticarlo?
Credevo che la mia impazienza, il mio desiderio di “affrettare” i tempi, fossero dovuti alla mia giovane età, ma ho notato che anche le altre coppie, nonostante abbiano diversi anni più di noi, sono impazienti allo stesso modo. Alcune di loro cercano un figlio da dieci anni o più, ma questa attesa non li ha aiutati a diventare più pazienti, a mettersi, in un certo senso, il cuore in pace. Anzi. E se penso che noi siamo alla ricerca solamente da due anni e mezzo… Se fossi al loro posto, sarei già impazzita.
Se dovessimo proseguire con l’adozione, dovrò veramente imparare ad essere più calma e tollerante. Quando la rappresentante dell’ente autorizzato ha detto che dobbiamo riuscire a goderci il tempo dell’attesa, io sarei voluta scoppiare a ridere. Cosa cavolo c’è di divertente nell’attesa? Nulla ma, in effetti, visto che i tempi burocratici/logistici sono estremamente lunghi e non si possono accorciare, è inutile disperarsi, vivere questa esperienza con ansia. Bisognerebbe essere capaci di cogliere l’opportunità per fare un viaggio dentro se stessi e imparare ad apprezzare l’attesa.

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Adozione: secondo round

Giovedì scorso io e mio marito abbiamo partecipato al secondo incontro del corso per l’adozione.
La psicologa e l’assistente sociale ci hanno annoiato con un sacco di informazioni giuridiche che io conoscevo già a memoria, e di cui le altre coppie non sapevano niente. Una di queste coppie, anche abbastanza giovane (sui trentacinque anni) ha detto che è da dieci anni che pensa all’adozione. Eppure non sanno nulla. Ma io dico, in dieci anni non avete mai aperto Google una sola volta?! Mah…
Durante la seconda parte del corso abbiamo fatto un gioco di ruolo. Evvai. Tre coppie scelte a caso (e meno male che noi non siamo stati tra i “fortunati”, altrimenti mio marito poi chi l’avrebbe sopportato?!) dovevano rappresentare questa situazione: una coppia, mio marito e moglie, che hanno da poco adottato un bambino, invitano a cena altre due coppie. Una di queste coppie desidera adottare a sua volta e quindi chiede informazioni, mentre l’altra è totalmente contraria ed esprime il suo dissenso.
Ovviamente la scenetta, più che farci pensare, ci ha fatto molto ridere, dato che gli “attori” erano piuttosto impacciati… In pratica la psicologa voleva farci riflettere sulle critiche che potremmo subire nel caso in cui procedessimo con l’adozione. Come se non sapessimo già che c’è gente razzista o ignorante a questo mondo! Esistono addirittura persone che, quando annunci di volere un figlio, ti guardano con disgusto! (E anche quelle che, quando confessi un problema di infertilità, ti chiedono: “ma voi fate l’amore?” … Sorvoliamo che è meglio).
Poi, proprio come l’altra volta, siamo stati divisi in due gruppi, “scoppiando” le coppie, e ci è stato dato un compito. Il mio gruppo doveva pensare a quali sono gli stati d’animo di un bambino piccolo che viene tolto alla sua famiglia d’origine, mentre il gruppo di mio marito doveva pensare ai sentimenti di una coppia di tossicodipendenti a cui viene tolto il figlio.
Il portavoce del gruppo di mio marito ha riassunto il loro brain storming così: “Beh, ma se questi hanno il cervello in pappole per la droga, non capiscono mica niente, no? Quindi come possiamo sapere cosa provano?” Grandissimo.
Lavorare con il mio gruppo non mi è piaciuto per niente. Anche se eravamo poche persone, era impossibile parlare. Tutti saltavano sulla voce degli altri, praticamente riusciva a farsi ascoltare soltanto chi urlava più forte… Anarchia totale. E per me, che sono una persona educata che aspetta che gli altri abbiano finito prima di parlare, è stato impossibile aprire bocca.
E giovedì prossimo terzo round… Oh, questo corso è persino peggio delle iniezioni di ormoni!

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Il primo incontro

Giovedì io e mio marito abbiamo partecipato al primo incontro del corso per l’adozione, della durata di quattro ore.
Io ero molto nervosa all’idea di frequentare questo corso, prima di tutto perché per natura sono abbastanza timida e mi occorre un po’ di tempo per aprirmi con gli altri, secondariamente perché avevo paura di dire delle cavolate ed essere giudicata male dagli assistenti sociali e dalla psicologa, e terzo perché temevo di sentirmi a disagio, ben consapevole che sarei stata la persona più giovane presente al corso.

In linea di massima devo dire che le mie paure si sono rivelate infondate.

Le coppie partecipanti sono nove, e il corso è tenuto da un’assistente sociale più due stagiste e da una psicologa.
Come immaginavo, ero la persona più giovane presente. C’erano alcune coppie sui 30-35 anni e molte over-40 o addirittura più vicino ai 50. Ma questo non mi ha scoraggiata.
Sono abituata a confrontarmi con gente più grande di me – sia amici che colleghi – e non ho mai trovato difficoltà ad affrontare con loro qualsiasi discorso, dal più futile al più impegnato. Mi considero umile e ammetto la mia ignoranza, soprattutto quando mi trovo con persone che, per ovvi motivi di età, hanno avuto più esperienze di me. Comunque spesso ho notato che anch’io posso insegnare loro qualcosa. Anche se sono giovane ho vissuto esperienze (tipo vivere all’estero) che molte persone over 40 non hanno mai provato. Temevo, forse scioccamente, che qualcuno mi avrebbe guardato male o in maniera strana a causa della mia giovane età (ma perché, poi??), e invece non è stato così. Alla fine ho scoperto che, tra tutti, quella che ne sa più di adozione, almeno sul piano giuridico, sono proprio io. Gli under-30 sanno usare meglio Google 😉

All’inizio del corso la psicologa ci ha chiesto di presentarci agli altri. Benissimo. Quello che più temevo.
Avevo paura che la voce mi tremasse, di diventare rossa dalla vergogna, proprio come quando ero bambina e a scuola arrossivo soltanto se la maestra pronunciava il mio nome…
Invece, credo di essere stata brava. Devo ammettere che con gli anni sono migliorata. In effetti nell’ultimo periodo mi è capitato spesso di dover parlare davanti a diverse persone, sia per le presentazioni dei miei libri, sia al lavoro, dove sono comparsa in diversi filmini per la promozione dell’azienda (cosa che non ho chiesto io, ma che i miei capi mi hanno praticamente costretta a fare, perché pensavano di fare bella figura facendo partecipare l’impiegata più giovane dell’azienda – sì, pure lì sono la più piccola!!).
Molte delle coppie presenti – tutte nervose come noi, lo sottolineo – hanno esperienze simili alle nostre: hanno provato a lungo ad avere un bambino, dopo aver fatto degli esami hanno scoperto di avere dei problemi, hanno provato con la PMA e poi sono approdati all’adozione. Era presente anche una coppia che ha già una figlia di cinque anni (credo che quando lo hanno ammesso tutti abbiano provato l’istinto di strozzarli), ma che non riesce ad avere un secondo bambino.

Dopo le presentazioni la psicologa ci ha chiesto di fare un brain storming e pensare a tutte le parole che il termine “adozione” ci fa venire in mente… Anche in questo caso, diversamente da mio marito che, stranamente, è rimasto in un imbarazzato silenzio, io sono riuscita a dire la mia. Ne ero parecchio soddisfatta! Eva 1 – Timidezza 0
Alcune delle parole che ricordo sono: fare tua una cosa, aiuto, solidarietà, maternità, famiglia, futuro, mamma e papà, speranza, felicità, gioia, paura…
In seguito ci hanno chiesto di parlare delle nostre paure e aspettative rispetto all’adozione, e ci hanno dato qualche informazione sui tempi e sulle leggi, tema che comunque sarà affrontato meglio nel secondo incontro, giovedì prossimo.
Poi la psicologa ci ha diviso in due gruppi (“scoppiando” le coppie) e a entrambi ha dato un lavoro da svolgere: il mio gruppo doveva pensare a quali sono i limiti e le risorse della coppia che vuole adottare, mentre il gruppo di mio marito doveva pensare ai limiti e alle risorse del bambino abbandonato che si ritrova in una nuova famiglia. Devo dire che anche in questo frangente sono stata abbastanza propositiva.
Durante il nostro brain storming si è acceso un piccolo dibattito tra due componenti del gruppo. Una ragazza si è detta molto preoccupata per il rischio sanitario, soprattutto nel caso di adozione internazionale, ovvero la possibilità (a cui io non avevo mai minimamente pensato) che un bambino che il Paese di origine dichiara sano con il tempo riveli poi delle patologie anche gravi. Un altro signore sosteneva che questa possibilità non dovrebbe costituire una paura per la coppia che adotta, perché anche un bambino concepito naturalmente potrebbe avere delle malattie. Sinceramente la questione non mi turba più di tanto.
A parte il fatto che io e mio marito siamo più propensi per l’adozione nazionale, e questo problema in Italia non dovrebbe sussistere, anche se decidessimo di optare per quella internazionale devo dire che non importa se il bambino dovesse presentare delle malattie in futuro. Cavolo, è – sarebbe – nostro figlio, lo cureremo con tutti i nostri mezzi e possibilità, e se non dovessimo riuscirci cercheremo di dargli la migliore vita possibile e saremo felici ugualmente!
Durante il corso è venuto fuori un altro argomento che, sinceramente, mi fa imbestialire, sentimento che non ho nascosto e spero di approfondire durante i colloqui “privati”.
La legge, almeno qui da noi in Emilia-Romagna (ma credo che le cose cambino da regione a regione), prevede che le coppie forniscano un documento in cui i genitori di entrambi i coniugi si dichiarano favorevoli all’adozione. Nonostante gli innumerevoli problemi con i miei genitori, sono sicura che non esiterebbero a dare il consenso. Non è questo il problema. Il problema è un altro. Ho chiesto alla psicologa se può essere un fattore discriminante per gli aspiranti adottanti il fatto che i genitori di un coniuge decidano di non firmare il documento in questione. Lei mi ha detto di no. Per me tutto questo è incoerente.
Se il fatto che i futuri “nonni” non siano d’accordo con l’adozione non è un punto a sfavore, allora, perché cavolo chiederlo? Se la legge fosse coerente, dovrebbe automaticamente scartare le coppie i cui genitori dicono di no.
E per quanto riguarda le coppie che ottengono il consenso dei genitori, a questo punto anche i futuri “nonni” dovrebbero sostenere dei colloqui con la psicologa e gli assistenti sociali. Voglio dire, cosa te ne frega se i nonni sono favorevoli o meno, se non controlli neppure se sono persone a posto oppure no?
In tutti i modi, anche se la legge fosse coerente la cosa non mi andrebbe giù.
I miei genitori possono anche essere fuori di testa (ehm, e infatti è così), ma questo non pregiudica le mie qualità come persona e le mie capacità di essere una buona mamma. Ma è possibile che a 26 anni piuttosto che a 30 o a 50, si debba ancora ottenere il consenso dei genitori per fare qualcosa? Non siamo mica bambini che devono chiedere il permesso per andare in gita scolastica!
L’adozione è una questione intima e privata che riguarda un uomo e una donna, una coppia, e basta.
Purtroppo in Italia la famiglia non viene considerata l’insieme di un lui e una lei (ma anche due lui o due lei! Seee, prima di arrivare a questo traguardo…) e degli eventuali figli. No.
In Italia la famiglia è considerata lui+lei+tutti i parenti viventi. Lo stato ci considera dei bamboccioni a vita. E questo non mi piace. Siamo NOI ad adottare un bambino. Non i nostri genitori. PUNTO.

Questa giornata è stata faticosa ma non inutile, anche se in realtà non ho appreso nuove informazioni, dato che conoscevo già le nozioni fornite dalla psicologa e dall’assistente sociale. Comunque mi è piaciuto confrontarmi con gli altri e soprattutto sentire le storie di coppie che hanno problemi simili ai nostri.
Dall’incontro ho capito una cosa importante: la maggior parte delle persone che aspirano ad adottare insistono a voler paragonare un bambino adottato ad un bambino avuto naturalmente. Per questo tutti sperano di ottenere (scusate il termine) un neonato e non un bambino più grandicello.
Ma il fatto è che, anche se ricevi in adozione un bimbo di qualche mese, non sarà mai come avere un figlio naturale. Concepire un bambino e adottarlo sono due cose completamente diverse.
La gravidanza crea un legame tra madre e figlio che non si può ricreare in nessun modo. Anche se adotti un bambino piccolissimo, lui è comunque rimasto nove mesi nel grembo di un’altra donna, non puoi fingere di averlo dato tu alla luce…
L’adozione è un percorso difficile, sia per i genitori che per il figlio. Occorre tanta pazienza e capacità di sacrificarsi per adottare. L’adozione è un percorso ad ostacoli che però, nel lungo periodo, ti può dare tantissima gioia. E io sono pronta a dare e ricevere questa gioia. Solo che preferirei affrontare questo percorso con un altro spirito. Ora sono troppo impaziente, delusa, arrabbiata, speranzosa… Ho sempre sognato di adottare. Ma ora non posso che sperare che la prossima PMA vada bene, e di riavvicinarmi all’adozione quando sarò più matura, più calma, più serena, più paziente.

Ma se così non dovesse essere, se la Natura ci dovesse ostacolare nuovamente, se dovessimo procedere con l’adozione… Io sono pronta. Metterò da parte tutta la mia rabbia e l’impazienza.
Mio figlio è da qualche parte che mi aspetta, e farò qualsiasi cosa per riuscire a trovarlo.