Giovedì sono andata al terzo – e penultimo! – appuntamento del corso per l’adozione. Parlo al singolare perché mio marito, accidenti a lui, non poteva prendere un altro permesso dal lavoro e quindi mi è toccato andare da sola.
A voi non sembrerà una gran cosa, ma a me, che detesto trovarmi in un gruppo di più di quattro persone, è stata un’impresa affrontare questa giornata. Nei gruppi, soprattutto se si tratta di estranei, mi sento a disagio, in particolar modo se non ho vicino una persona cara a cui “aggrapparmi”. Mi serve del tempo per conoscere le persone, imparare a fidarmi di loro e trovarmi bene, e in soli due incontri non avevo neppure imparato a memoria i nomi di tutti!
Mio marito mi chiede sempre come cavolo ho fatto a vivere all’estero da sola con tutte queste fobie 😉
Mentre mi avvicinavo alla sede dell’AUSL il cuore mi batteva fortissimo, come se stessi andando al patibolo… Fuori dal portone c’erano tutte le altre coppie che aspettavano e chiacchieravano tra di loro in gruppetti. Avrei voluto avvicinarmi a qualcuno di loro ma, non sapendo bene come fare, sono rimasta da sola come un’idiota. Sono consapevole, dato che in passato qualcuno me l’ha detto, che questo atteggiamento mi fa apparire come una snob asociale. Sigh. Proprio io che sono tutto il contrario! Adoro conoscere gente, posso stare ore ed ore a chiacchierare… Ma non sono capace di avvicinarmi agli altri per prima.
Questo incontro era dedicato all’adozione internazionale. Era anche presente una rappresentante di un ente autorizzato per darci tutte le informazioni. Come al solito all’inizio abbiamo fatto un lavoro di gruppo. Mi sono rilassata un po’ quando, prima di iniziare il nostro brain storming, io e gli altri componenti del gruppo abbiamo dato voce ad un pensiero comune: questi incontri sono insopportabili e le sedie scomodissime! (Non sono l’unica a cui fa male il sedere quando torna a casa!).
L’adozione internazionale mi è sempre interessata. Ho sempre sognato avere un figlio biologicamente mio e un figlio adottivo di un altro Paese. Sognavo una famiglia multiculturale. Ho sempre amato conoscere e scoprire altre culture e nella mia vita cerco sempre, con ogni mezzo, di combattere il razzismo e la paura del “diverso” che purtroppo sono ben radicati nella mentalità dei nostri connazionali. Una famiglia multiculturale rappresenterebbe chi sono e quello in cui credo, e, perché no, penso che potrebbe essere un buon esempio anche per gli altri.
Purtroppo l’adozione internazionale non è poi così facile rispetto a quella nazionale. I costi sono molto elevati (si parla di decine di migliaia di euro), i bambini adottabili grandicelli (non ricordo quale sia la media, comunque credo sia impossibile avere un bambino di età inferiore ai cinque anni) e il rischio sanitario un pericolo.
La scorsa volta avevo un po’ preso in giro la ragazza che si era mostrata tanto preoccupata per eventuali malattie non dichiarate che potrebbe manifestare un bambino adottato, ma durante questo incontro ho capito che è un pericolo reale. I bimbi adottati con l’adozione internazionale provengono da Paesi del Terzo Mondo dove non esistono neppure certi strumenti per diagnosticare le malattie.
Inoltre uno dei mariti presenti al corso, che conosce alcune coppie che hanno preso questa strada, in privato mi ha detto che quasi sempre, per riuscire ad avere un bambino, occorre pagare una somma extra ai giudici o agli assistenti sociali del Paese estero… Insomma, bisogna andare là muniti di taaaanti contanti. Io, con la mia ingenuità, non ci avevo neppure pensato. Tutto questo mi fa schifo.
Tutte le coppie presenti, me compresa, hanno espresso la loro preoccupazione non soltanto per i tempi dell’adozione internazionale, ma anche per l’età dei bambini adottabili. Naturalmente tutti desiderano adottare un bambino il più giovane possibile. E qui si ritorna al solito discorso: con l’adozione si cerca di sopperire alla mancanza di una genitorialità naturale. Sbagliato. Egoistico, forse. Ma naturale, istintivo, comprensibile.
Però l’istinto materno è la cosa più naturale che ci sia, è quello che ha permesso al genere umano di continuare ad esistere! Com’è possibile reprimerlo, ucciderlo, dimenticarlo?
Credevo che la mia impazienza, il mio desiderio di “affrettare” i tempi, fossero dovuti alla mia giovane età, ma ho notato che anche le altre coppie, nonostante abbiano diversi anni più di noi, sono impazienti allo stesso modo. Alcune di loro cercano un figlio da dieci anni o più, ma questa attesa non li ha aiutati a diventare più pazienti, a mettersi, in un certo senso, il cuore in pace. Anzi. E se penso che noi siamo alla ricerca solamente da due anni e mezzo… Se fossi al loro posto, sarei già impazzita.
Se dovessimo proseguire con l’adozione, dovrò veramente imparare ad essere più calma e tollerante. Quando la rappresentante dell’ente autorizzato ha detto che dobbiamo riuscire a goderci il tempo dell’attesa, io sarei voluta scoppiare a ridere. Cosa cavolo c’è di divertente nell’attesa? Nulla ma, in effetti, visto che i tempi burocratici/logistici sono estremamente lunghi e non si possono accorciare, è inutile disperarsi, vivere questa esperienza con ansia. Bisognerebbe essere capaci di cogliere l’opportunità per fare un viaggio dentro se stessi e imparare ad apprezzare l’attesa.
Un pensiero riguardo “Adozione terzo round”
I commenti sono chiusi.
innanzitutto in bocca al lupo per il tuo prossimo tentativo! io credo sia del tutto naturale desiderare di avere la pancia e di vedere nascere nostro figlio, sarà che sono ancora molto indietro e per niente filosofa. Comunque anche la mia amica che ha adottato mi ha detto di vivere l’attesa in tranquillità perchè i tempi sono davvero lunghissimi e quindi si rischia di impazzire. Sul fatto che i bimbi possano presentare delle malattie non diagnosticate è pure vero ma insomma ci vuole anche una bella dose di sfiga. nella maggior parte dei casi non avviene. è come preoccuparsi che un figlio naturale sviluppi qualche malattia…può succedere ma è raro per fortuna.
P.S. Io sono come te, ci metto tempo a prendere confidenza con le persone e anche io per questo ad impatto sembro snob (o così mi dicono)