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Gli spaccasogni

Piccola premessa a questo post. Ieri, 8 pt, ho deciso di fare il test di gravidanza.
LO SO. Sembrerebbe un po’ prestino. Ma ho navigato su internet alla ricerca di informazioni, e da quello che ho capito quando si fa il transfer di blastocisti si può anticipare il test, perché l’attecchimento avviene in un tempo minore rispetto ad un transfer di embrioni in seconda o terza giornata.
Ho letto di donne che hanno avuto un responso positivo dal test casalingo già al 5 pt… E quindi mi sono detta: proviamo!

Ovviamente era negativo. Cosa vi aspettavate? Io niente di diverso, anche se per qualche minuto ho continuato ad osservare quel maledetto stick, sperando di veder comparire qualcosa, girandolo e rigirandolo tra le mani e guardandolo da tutte le angolazioni possibili ed immaginabili.

Ho deciso che domani, 10 pt, farò le beta, e se mi daranno un valore negativo mi metterò il cuore in pace.
Martedì prossimo, 14 pt, ma solo per accontentare il centro PMA che non vedo l’ora di abbandonare per sempre, rifarò un altro test.
Tanto, anche se chiamassi la ginecologa domani per comunicare l’esito negativo delle beta, mi direbbe come al solito di continuare le terapie…
Certo, come se l’ormone della gravidanza potesse magicamente autoprodursi nel corpo il quattordicesimo giorno del transfer…

Comunque, non è di questo che voglio parlare. Per sapere come mi sento basta rileggere il post che ho scritto dopo l’ultimo fallimento.

L’unica cosa che mi trattiene dal mettermi a piangere è il pensiero di ricominciare al più presto tutto da capo.

Dopo le analisi di domani che uccideranno ogni mia sciocca speranza residua io e Marito ci rimetteremo in pista per rifare le analisi preliminari.
Voglio assolutamente riuscire a procedere con la stimolazione con il ciclo che mi dovrebbe arrivare, se ho fatto bene i calcoli e se il mio corpo non fa scherzi, a fine marzo/inizio aprile. Ovviamente, nel centro PMA di Bologna. A Reggio Emilia non ci voglio più mettere piede.

Bene. Ora procediamo con quello di cui volevo veramente parlare in questo post, ovvero… Le reazioni di amici/conoscenti/colleghi davanti alla confessione della propria condizione di sterilità e della decisione di tentare con la PMA.

Ho selezionato con cura le persone più fidate a cui raccontare quello che io e Marito stiamo passando, anche se in realtà molta gente a cui volevo tenere nascosto il nostro “segreto” ha capito tutto senza bisogno che io dicessi niente.

Forse il mio intuito è completamente sballato o forse le persone non sanno come replicare ad una notizia del genere, perché certe reazioni mi fanno veramente cascare le braccia. Ecco alcuni esempi di persone con cui mi sono dovuta confrontare:

– L’entusiasta

Ma dai, davvero? Fai la fecondazione assistita? Ma lo sai che anche mia cugina/sorella/amica/vicina di casa sta per farla? E’ incredibile!
(Certo, è meraviglioso, guarda, dammi il suo numero di telefono che la chiamo per congratularmi).

– La menefreghista

Amica: “Sul serio? Beh, senti, se però non rimani incinta, mi accompagneresti nel tal posto nella tal data?”
Io: “Ehm, veramente mi auguro vivamente di essere incinta per quella data…”
Amica: “Ah beh, sì, certo, ovviamente.”
Pausa di silenzio.
Amica: “Ma se non la sei, vieni con me?”

– La tragica

Guarda, anche mia cugina/sorella/amica/vicina di casa ha fatto la fecondazione assistita. E’ diventata una botte a furia di prendere ormoni. Ed era insopportabile. Ha creato il vuoto attorno a sé perché nessuno voleva starle vicino tanto era antipatica. Secondo me stava andando fuori di testa.
Alla fine non ce l’ha neanche fatta a rimanere incinta!

– L’ottimista

La fecondazione assistita! Ma tu sei così gggiovane! Avrai tre gemelli! Sì, ne sono sicura, me lo sento! Anzi, ti vedo già incinta!
(Ma porti male??)

– L’aspirante medico

Fecondazione assistita? Ma sei sicura? Ma tu e tuo marito state continuando a provarci? (No, abbiamo deciso di darci alla castità!)
Chissà, magari un giorno uno dei suoi spermatozoi si sveglia e decide di iniziare a lavorare! O forse è solo l’ansia! Sì, secondo me è così!
(Oh, quanto ti devo per la consulenza?!)

– Il moralista

Fecondazione assistita? (detto con espressione di disgusto)
Quelle cose lì, così contro natura non mi piacciono per niente! (E infatti non devi farlo tu…)

– Gli spaccasogni (o spaccaballe, a scelta)

Ecco, su questa categoria devo aprire una luuuunga parentesi.

La gente ama giudicare, criticare, sputare sentenze. Ma non capisce.
Certo, poi c’è chi è più sensibile e chi meno, ma in linea di massima questo è l’atteggiamento che accomuna la maggior parte dei miei “confidenti”: uomini, donne, giovani, di mezza età, con figli e senza…
Il problema non è l’incapacità della gente di capire. Il problema è che non ci prova neppure. L’empatia, questa sconosciuta…
Vi voglio raccontare la reazione di due persone molto diverse tra loro davanti alla mia esperienza con la PMA.

La prima persona, uomo, mi ha confessato di non approvare il mio “accanimento terapeutico”. Insomma, secondo lui dovrei smetterla di provare con la PMA.
E il bello è che questa persona non ha idea di come funzioni la PMA. A volte ho provato a spiegarglielo, con scarsi risultati, anche perché evidentemente non è molto interessato all’argomento.
Vi dico soltanto che prima dell’ultimo transfer di congelati mi ha chiesto come stava andando la stimolazione delle ovaie…
Mi sento spesso ripetere che ho fatto TROPPI tentativi (3 sono troppi?? Tra cui solo due stimolazioni?), e che mi sto accanendo.
Ma queste persone si rendono conto che solo la Medicina mi può aiutare a realizzare il mio sogno?
Che se smetto con la PMA rinuncio a diventare madre per sempre? (Madre di pancia, intendo).
Come fanno a dire tanto a cuor leggero una cosa del genere?

Secondo esempio.
Donna, mezza età, che non ha mai voluto figli.
Qualche tempo fa le ho confidato d’aver rifatto “LA COSA” (non so perché ma con certe persone mi vergogno a chiamare la PMA con il suo nome!).
La sua reazione?
“Ma ancoraaaaaaa? L’hai rifatto ancoraaaaa? Ma, insomma! Quante volte ancora hai intenzione di farlo????”
Il tutto, badate bene, detto con tono scocciato, manco stessi facendo un torto a lei.
“Finché non funzionerà…” ho detto io, ridendo imbarazzata.
“E se non funziona cosa faaaaaai?” (immaginatevi una vocina acida e stridula)
“Ci provo di nuovo…”
Sapete qual è la cosa che mi fa più imbestialire?
Io e questa persona siamo molto diverse, conduciamo stili di vita totalmente diversi, abbiamo valori e una morale diversa.
Eppure io non ho MAI osato criticarla. Perché dovrei? La sua vita è sua, le sue scelte sono sue. Se lei è contenta così, benissimo! Basta che nessuno obblighi me a seguire le sue orme!
E allora, perché io devo essere sempre giudicata per le MIE scelte?
Se decidessi di mollare tutto e trasferirmi in Madagascar non potrei forse farlo?
Se decidessi di mollare tutto e farmi suora?
Ma perché la gente deve sempre mettere il becco su tutto?

Anzi, non è questa la cosa che mi fa più incazzare. E’ un’altra.

Ci sono persone che fanno figli perché “così si fa”. Poi magari li amano pure, eh, mica lo metto in discussione, però li fanno perché li devono fare, non perché li desiderano con il cuore.
Ci sono persone che fanno figli… “Per caso”. Ops.
Ci sono persone che sognano di fare carriera, di diventare un medico e di salvare delle vite, di viaggiare il mondo, di diventare attori, cantanti, registi, di fare politica…
E c’è chi sogna di avere una famiglia. La famiglia, i figli, non sono solo degli obblighi sociali, ma possono essere anche il fulcro della vita di una persona. Così è per me. Cosa c’è di sbagliato?
Se io stessi cercando, che ne so, di diventare una cantante e incontrassi delle difficoltà, nessuno mi direbbe di smetterla di partecipare ai provini o di prendere lezioni di canto, magari impegnandomi tutti i giorni per diverse ore e spendendo tanti soldi…
Mi direbbero, invece: “Hai solo 26 anni, non mollare così! Non puoi rinunciare al tuo sogno, sei così giovane!”.
Bene. Il mio sogno è quello di diventare madre. Quindi, secondo questi intelligentoni, a 26 anni dovrei rinunciare al sogno di una vita?
Il mio sogno deve essere trattato come se fosse un capriccio adolescenziale, un’inezia, una sciocchezza? Come se fosse meno importante di una carriera?
No, io non ci sto.
Il mio sogno è mio e nessuno ci può mettere il becco. E io farò di tutto per realizzarlo.
Senza mai prendermi una pausa. Senza fermarmi. Combattendo contro la Natura bastarda.
Solo che, nel frattempo, vorrei che la gente la smettesse di deridere i miei sogni.
E’ già tutto abbastanza difficile senza bisogno di essere umiliata da chi i figli li ha avuti senza neppure sapere come o da chi non li ha mai desiderati.

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Mezza piena

Ha smesso di nevicare. Finalmente.

Oh, io tutta questa magia nella neve non la riesco a vedere. Certo, è divertente vedere i bambini tirarsi le pallonate di neve o costruire pupazzi, ed è meraviglioso osservare un bel paesaggio candido… Quando sono in vacanza in Alto Adige, però! Qui in città vedo solo i disagi. Morti e feriti in incidenti stradali, persone che si fanno male cadendo sul ghiaccio, anziani bloccati in casa, anziani che si ostinano a voler uscire da soli e poi cadono perché i marciapiedi sono scivolosi, animali selvatici che non riescono a trovare il cibo, strade intasate – con conseguente inquinamento…

E poi, a dirla tutta, la neve è bella quando è fresca, ma già il giorno successivo diventa nera. E non è un bello spettacolo. Bleah.

Forse non si è capito, ma a me la neve non piace. Tranne che in montagna. Non mi piace soprattutto quando ho in programma un transfer. E non mi piace anche perché la sottoscritta è leggermente imbranata e sul ghiaccio rischia sempre di cadere e rompersi l’osso del collo.

Oggi le strade erano – con mio grande stupore – pulite. Io e Marito siamo arrivati al centro PMA in anticipo e senza problemi, così come l’equipe medica. Gli embrioncini sono sopravvissuti entrambi (!) allo scongelamento. Il transfer è stato totalmente indolore. Non so come, ma sono riuscita a rilassarmi! Anche l’infermiera mi ha detto “brava”. Penso fosse sollevata dal fatto che non le avessi spaccato la mano come l’ultima volta.

Insomma… E’ andato tutto bene. Le mie paranoie di ieri ora sembrano alquanto stupide.

Ma io sono felice di essere stata in pena. Eh sì, perché, se non fossi stata tanto pessimista, non avrei potuto gioire per la piccola vittoria di oggi.

Domani tornerò a lavorare. Ho sempre passato le settimane post-tranfer a casa, da sola, nel mio mondo ovattato… E’ strano pensare di vivere normalmente, di stare in mezzo agli altri, in queste condizioni

Come sa qualsiasi donna che si è sottoposta alla PMA, il periodo di tempo tra il transfer e il fatidico giorno del test di gravidanza non è un periodo normale.

Non importa con quale spirito una donna affronta questo percorso. Non importa se è piena di speranze, se è disillusa e pessimista, o se ha deciso di prendere tutto alla leggera, senza farsi troppe paranoie.

Questi non sono giorni normali.

Sono i giorni dell’attesa.

So già che domani, e nei prossimi giorni, ogni tanto in ufficio mi metterò a ridacchiare da sola, poi ad un tratto i miei occhi si faranno umidi e tristi… Mi accarezzerò la pancia, così, senza pensare, e poi me ne vergognerò… Avrò la testa tra le nuvole, persino più del solito, perché non importa se io non sono tecnicamente incinta, se i miei puntini luminosi sono per ora soltanto una potenzialità di vita, se le probabilità che questo sogno si avveri sono soltanto del 20-30%. Non importa.

Io SO di avere due puntini luminosi dentro di me. Due puntini che devono lottare per rimanere ben aggrappati alla loro mamma. Non so se ce la faranno, ma so che ci sono. Sono qui, dentro di me. Forse sono destinati a morire, forse non cresceranno, forse daranno origine ad una vita che si interromperà subito…

Forse, forse, forse… Forse rimarranno dentro di me. Forse ce la faranno. Ce la faremo.

E’ una sensazione che poche donne possono provare… In effetti, solo quelle che si sottopongono alla PMA. Chi cerca figli in maniera naturale non ha alcun mezzo per poter sapere se il concepimento è avvenuto oppure no… Scoprono di avere una vita dentro di sé soltanto quando quel benedetto test di gravidanza diventa positivo. Ma, a quel punto, è già chiaro che l’embrione si è impiantato nell’utero. Queste donne non possono sapere quante potenzialità di vita si sono formate dentro al loro corpo, per poi lasciarle prima di diventare qualcosa di più. Sono fortunate, loro. A noi tocca pure questa tortura. Sapere di avere qualcosa dentro, senza poter conoscere il suo destino.

Io nei giorni post transfer mi sento diversa. No, non parlo di fantasintomi. Quelli ho imparato ad ignorarli. Parlo proprio a livello mentale, spirituale, chiamatelo come volete.

Non posso dire di sentirmi incinta, perché sarebbe ridicolo. Ma non mi sento più tanto vuota. Perché non la sono.

Mi sento… Mezza piena, diciamo!

Purtroppo sono poche le persone che possono capire cosa sto provando ora. E so già che domani e nei prossimi giorni, mentre con sguardo sognante mi accarezzerò la pancia, molti colleghi mi guarderanno con un misto di stupore e compatimento.

Ma chi se ne frega.

Io non sono più vuota.

Spero solo che questa sensazione duri più di quattordici giorni.

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Tempesta d’emozioni

Sabato ho fatto un altro controllo ecografico, e la ginecologa ha deciso di posticipare il transfer a domani, invece di procedere oggi come previsto.

Ovviamente non bastavano tutte le mie paranoie dovute al timore di soffrire come l’ultima volta, alla paura che i due embrioni rimasti non riescano a sopravvivere allo scongelamento, alla mia decisione di non restare a casa in malattia ma andare a lavorare come se niente fosse (e se l’ascensore si rompesse e dovessi fare le scale? E se i colleghi o il capo mi facessero incazzare e io perdessi le staffe?)… No! Ci voleva pure la neve!

Giuro, non credo di aver mai visto tanta neve come oggi. Probabilmente avrò già ripetuto questa frase almeno un paio di volte negli ultimi anni ma, si sa,  si tende a dimenticare certi eventi.

E’ inverno, è ovvio che nevichi. Non è un fatto così straordinario, come vogliono farci credere i telegiornali. Però… Oggi abbiamo visto diverse auto e camion finiti nei fossi, la macchina di Marito, dotata di gomme invernali, faticava a procedere, e la strada di campagna in cui abitiamo è stata totalmente ignorata dai contadini addetti a spalare la neve… Un inferno bianco, insomma!

Quindi ora, oltre alle suddette paranoie, si sono aggiunte le seguenti paure: e se la ginecologa/biologa/infermiera domattina non riuscissero a raggiungere il centro PMA? E se NOI non riuscissimo ad arrivare? E se le strade facessero schifo come oggi e le vibrazioni della macchina durante il viaggio facessero male agli embrioncini?

Ma la paura più grande, in realtà, è sempre una. E se non si potesse fare alcun transfer? Se gli embrioni non riuscissero a sopravvivere allo scongelamento?

Se non ricordo male, le statistiche dicono che il 50% circa degli embrioni scongelati non sopravvive. Quindi, se siamo fortunati ne potrebbe rimanere uno… Se siamo sfigati (e noi lo siamo) nessuno.

Io e Marito abbiamo, già dall’ultimo fallimento, deciso di prendere questo tentativo con molta leggerezza, senza pensare e sperare troppo.

In realtà è soprattutto lui a pensarla in questo modo. Io gli ho detto di essere d’accordo, ed è così, ma… In fondo al cuore, non posso che sperare che questi puntini luminosi nati sotto una cattiva stella possano, finalmente, prendere vita.

Ho assolutamente bisogno di qualcosa in cui sperare, di qualcosa in cui credere…

Ma forse ha ragione Marito… Se anche questo tentativo fosse destinato a finire male, sarebbe meglio se le nostre speranze svanissero domani, e non dopo quattordici giorni di illusioni…

A questo punto, non so più nemmeno io in cosa sperare.

Pregare affinché questi embrioncini sfigati attecchiscano e diano vita ad un miracolo è pretendere troppo, vero?

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Sparami

Sono passati otto giorni da quando ho scritto quel triste e laconico post per annunciarvi che, sì, ho fallito di nuovo.
Mi sembra passato un secolo.

Quanto tempo pensavate che mi sarebbe servito per rimettermi in piedi, per ricominciare a combattere?
Ormai l’avrete capito. Non perdo tanto tempo a piangere. Anzi, in realtà sì, ma nel frattempo faccio dell’altro.
Pensare, pianificare, chiamare a destra e a manca, sperare, immaginare, sognare. Questo è ciò che mi fa stare meglio. Fare qualcosa.

Non importa quante volte dovrò passare dal via, quante volte dovrò pescare quella cazzo di carta degli imprevisti o quante volte mi dovrò fermare in prigione, prima o poi arriverò a quel cavolo di Parco della Vittoria!

Lunedì sono tornata a lavorare. Mi sembra quasi di non essere mai stata assente dall’ufficio. Non ho faticato a riabituarmi al ritmo lavorativo, né all’ambiente. I colleghi sono quelli di sempre, il lavoro è quello di sempre, le colleghe di ogni età mostrano fiere i loro pancioni, come sempre, io sono vuota, come sempre.

Niente è cambiato. E non ne sono sorpresa.

Martedì scorso avrei voluto scrivere un posto molto più lungo ma, giuro, mi mancavano le forze. Ho scritto quelle poche righe soltanto perché ho pensato che, forse, da qualche parte, c’era qualcuno che voleva sapere come fosse andata. Il mio silenzio poteva far pensare che fossi talmente impegnata a gioire da dimenticarmi del blog. Ah ah. Magari.

In questi giorni sono successe tante cose. Talmente tante, che ho bisogno di mettere tutto per iscritto per riuscire a fare un po’ di ordine nella mia testa.

Avevo programmato di fare il test di gravidanza e le analisi delle beta hcg al dodicesimo giorno post-transfer, martedì scorso, in anticipo di due giorni rispetto a quello che mi aveva detto il centro PMA (ma io faccio di testa mia, e ormai sono abbastanza esperta per sapere che al 12 p.t. il risultato è già sicuro).

Non amo ripercorrere quei momenti, ma parlarne mi fa bene, mi aiuta a confrontarmi con la realtà, perciò vi voglio raccontare per filo e per segno cos’è accaduto.

Dopo giorni in cui ero rimasta a letto fino alle undici del mattino, martedì ho programmato la sveglia per le sette in punto. Mi sono svegliata un’ora prima, sudata e con il cuore che batteva a mille.

Non volevo alzarmi, però. Avevo paura di fare quel maledetto test. Sapevo cosa sarebbe successo, così volevo crogiolarmi ancora un po’ nella speranza. Mentre Marito russava beatamente accanto a me, io, nel buio e sottovoce, ho mormorato una decina di Ave Maria. A chi altro dovevo rivolgermi, se non alla Madre per eccellenza?
Poi ho pregato il Signore di aiutarmi ad accettare il risultato, qualsiasi esso fosse. Ma, dopo aver riflettuto un attimo, gli ho anche chiesto perdono in anticipo, perché sicuramente mi sarei arrabbiata con Lui, se fosse andata male. Io metto sempre le mani avanti, anche nelle faccende divine… Ma ormai Dio mi conosce, sa come sono fatta.
Quando Marito si è alzato ed è sceso in cucina a preparare la colazione, io sono andata in bagno a fare il test. Non voglio che stia vicino a me in questi momenti. E’ qualcosa che devo affrontare da sola.
Ho continuato a pregare nella mia mente mentre facevo la pipì sopra lo stick (brutta immagine, lo so), poi ho appoggiato il test sul bordo del lavandino e per diversi minuti ho continuato a guardarlo, muovendomi nervosamente, come se stessi facendo una specie di danza tribale (sembrava più una tarantella, in realtà).

Sudo freddo mentre aspetto il loro verdetto…

Dubito che Baby K si riferisse all’attesa per l’esito del test di gravidanza mentre scriveva questi versi, ma il bello della musica, e dell’arte in generale, è che può essere interpretata in mille modi diversi a seconda delle persone e delle loro emozioni.

Ma torniamo al test. Siete curiose di sapere cos’è successo, eh…? Mi piace creare suspense. Chissà, magari con quelle due tristi righe che ho pubblicato otto giorni fa ho preso per il culo tutti quanti… Magari sono incintissima… Ma anche no.

Una linea è apparsa e una linea è rimasta. Una fredda, orribile, crudele linea. L’altra finestra è rimasta vuota. Tristemente vuota, bianca, pallida, come il mio volto.
Io lo sapevo, me lo sentivo. Non mi sono neanche messa a piangere. Anzi, ho iniziato a ridere, e mentre ridevo continuavo a ripetere: “Grazie, Dio… Lo sapevo che non mi avresti deluso neanche stavolta, non ti smentisci mai… Te l’ho detto che ti avrei odiato, non dire che non ti avevo avvertito!”
Queste parole suonano peggio di una semplice bestemmia esclamata come intercalare, lo so.
Chissà cosa mi aspettavo. Forse che Dio, o chi per Lui, si sentisse in colpa, che improvvisamente su quel maledetto test comparisse una seconda linea, che ad un tratto nascesse la vita dentro di me… Ma i miracoli non esistono e, anche se esistessero, di sicuro non capiterebbero a me.

Sono scesa in cucina da Marito. Aveva già capito tutto dal mio passo pesante.
“Non ho mai visto un test più negativo, cazzo.”
Lui mi ha guardata con occhi sgranati.
“Quindi è negativo?”
Cosa ti ho appena detto?

Mi sono vestita con le prime cose che ho trovato in camera. Jeans sporchi di zampate fangose di cane e un maglione spelacchiato. Marito mi ha accompagnato al laboratorio per fare le analisi del sangue. Il viaggio in auto è stato surreale. Siamo rimasti in silenzio a lungo. Cosa c’era da dire?
Poi ad un tratto Marito ha parlato.
“Forse il test era scaduto…”
“Ho controllato la data di scadenza.”
“Forse l’hai fatto male…”
“Devo fare la pipì su un cazzo di stick. Credo di esserne in grado.”
“Forse faceva parte di una partita avariata…”
“Forse, semplicemente, è andata di nuovo male.”
Silenzio.
“Riproveremo, dai. In un qualche modo ce la faremo.”
“Dici?”

Quando siamo arrivati al laboratorio ero talmente incazzata che avrei mangiato tutti: receptionist, infermiera, pazienti in attesa.

sono troppo aggressiva
sono solo questa
mi vorrebbero più figa
sono solo questa
dovrei fare la signorina
sono solo questa
il prossimo che arriva
giuro gli stacco la testa

Mi sono avvicinata al bancone dell’accettazione.
“Devo fare le analisi delle beta hcg.”
“Certo, signora. Ha già fatto un test di gravidanza?”
“Sì. Era negativo.”
“Ah. Ha un ritardo, quindi?”
“NO. Ho fatto la fecondazione assistita. Devo controllare se è successo qualcosa…”
“Capisco…”
No, non puoi capire, avrei voluto rispondere. E gridare qualche parolaccia random.

Dopo aver fatto un piacevolissimo prelievo di sangue io e Marito siamo tornati a casa. Lui poi è uscito per andare al lavoro, mentre io ho speso il resto della mattinata a vegetare sul divano e, porca puttana, durante quell’ennesima attesa ho continuato ad illudermi, a sperare, come una scema. Magari il test era veramente difettoso…

A mezzogiorno, come da accordi, ho chiamato il laboratorio. Sudavo, le mani mi tremavano, sembravo una tossica in crisi d’astinenza.
“Vorrei sapere il risultato delle analisi delle beta hcg che ho fatto stamattina…”
“Subito, signora… Aspetti che guardo…”
Muoviti, cazzo. Ora sto proprio a rota.
“Eccomi. Dunque, vediamo… Il valore è inferiore a 2. Va bene?”
No, non va bene, stronza.
“Grazie. Arrivederci.”
Ho riattaccato il telefono. E finalmente ho pianto. Imprecato. Urlato. Poi pianto di nuovo.

Sparami
sparami adesso
spara tutto quello che hai ora
sparami addosso
che dopo non mi fermi mai
spara sparami ma non sbagliare
che se tocca a me ti faccio male
spara ora o mai più
sparami adesso

Mi sono rimessa a vegetare sul divano. I miei cani hanno capito che c’era qualcosa che non andava. Magari gli amici fossero intelligenti come loro!
Si sono accucciate vicino a me, una ai miei piedi e l’altra sul divano. Ha appoggiato il muso sul mio ventre. Io l’ho lasciata salire, anche se non è propriamente linda e Marito si arrabbia sempre… Ma sapevo che quel giorno non avrebbe osato sgridarmi.

Dopo poco Marito è tornato dal lavoro per la pausa pranzo. Laconicamente gli ho comunicato l’esito delle analisi. Non so perché, ma ho trattenuto le lacrime davanti a lui.
Vergogna? Desiderio di mostrarmi forte? Non lo so.
Mentre parlavo non mi sono nemmeno alzata dal divano. Non ne avevo le forze.
Lui si è steso vicino a me, mi ha abbracciato e si è messo a piangere. E’ raro vederlo piangere. Gli uomini in genere non lo fanno spesso, e lui non fa eccezione. Pensava che fossi arrabbiata con lui, che lo odiassi. Ma non era così.
Sono io a non essere riuscita a dare la vita a quei piccoli puntini luminosi…
Forse è colpa mia. O forse di Dio. Forse è una punizione divina. Non lo so, non so più niente. Non so neanche con chi prendermela.

Nel pomeriggio ho chiamato il centro PMA per comunicare l’esito delle beta. La segretaria mi ha detto di ripetere il test dopo due giorni, al 14 pt.
“Oggi è il 12 pt,” ho detto io, “si sarebbe dovuto già vedere un risultato positivo, se fossi incinta. Non posso sospendere le terapie?”
“No, no, continui le terapie, signora… E ripeta il test tra due giorni. Non so, magari sarà ancora negativo, ma lei lo ripeta, poi ci sentiamo!”
Ma vaffanculo.

Quella sera Marito è partito per una riunione di lavoro, ed è tornato il giorno successivo. Mi ha chiesto se volevo che restasse, ma gli ho detto di no. Avevo bisogno di stare da sola. Ho passato la sera a bere e fumare. Dopo tanti giorni di astinenza le sigarette avevano un sapore strano, e due bicchieri di vino sono bastati a farmi venire la nausea e il mal di testa. Nei giorni precedenti né l’alcool né il fumo mi erano mancati, ma quando sto male, male dentro intendo, sono solita cercare di fare de male anche al mio corpo. Sono autodistruttiva.

Giovedì ho ripetuto il test. Un altro negativo. Negativissimo. E che mi aspettavo?

Ho chiamato il centro PMA per confermare il fallimento. La segretaria mi ha parlato con voce allegra, sembrava avere fretta e che non gliene fregasse niente. Ma vaffanculo (e due). La ginecologa ha detto che dovevo interrompere le terapie, che ormai non servivano più.
Intanto le ho chiesto se potevamo procedere subito con il transfer degli ultimi due embrioni rimasti. Mi ha risposto che sì, si può riprovare subito se me la sento, e che non appena mi fossero arrivate le Malefiche avrei potuto ricominciare la terapia con il Progynova per preparare l’endometrio.

Questa volta, stranamente, il ciclo non si è fatto attendere più di tanto. Domenica mattina mi sono svegliata con dei terribili dolori alla pancia, che mi sono durati per ben due giorni. Nonostante il dolore ho gioito, e ricominciato subito la terapia.

Giovedì prossimo dovrò fare la prima ecografia e, secondo i miei calcoli, tra un paio di settimane, o forse anche meno, potrò fare il transfer.

Ma questa volta né io né Marito siamo speranzosi. Abbiamo deciso di affrontare il prossimo tentativo con più calma. Non starò a casa in malattia, ma andrò a lavorare. A che serve vegetare sul divano? A masturbarmi mentalmente, a riempirmi di paranoie, le stesse che consiglio agli altri di dimenticare? A sperare invano?

E poi, può anche essere che non si possa neppure fare il transfer. Gli embrioni congelati sono più deboli di quelli freschi, ne sono rimasti soltanto due, ed è possibile che, una volta scongelati, muoiano entrambi prima di essere trasferiti dentro di me. Anche la ginecologa mi ha detto che c’è la possibilità che non sopravviva nessuno dei due. Certo, dovremmo essere proprio sfigati. Ma in questo periodo non è che ci sentiamo molto fortunati, eh.

Quello stesso giorno io e Marito abbiamo parlato a lungo, cercando di capire cosa avremmo fatto nel caso in cui fosse andata ancora male, futuro che ormai diamo già per scontato. Abbiamo deciso di provare di nuovo, nel caso di un altro insuccesso, ma di rivolgerci ad un altro centro PMA.
Il capo di Marito ci ha consigliato una clinica privata che si trova a Bologna. Non voglio fare pubblicità perciò non dirò il nome, ma se a qualcuno dovesse interessare potete contattarmi in privato.

Giovedì, subito dopo aver riferito il risultato negativo al centro PMA di RE, ho chiamato la clinica di Bologna.
Pensavate forse che avrei aspettato? Dai, ormai mi conoscete.

Mi hanno dato appuntamento per il giorno successivo. Io ho accettato al volo, approfittando del fatto che ero ancora in malattia e almeno non avrei dovuto chiedere l’ennesimo permesso (dopo sedici giorni di malattia non è il massimo).

Durante il viaggio per Bologna mi sentivo euforica. In autostrada non ho fatto altro che guardare e riguardare la carpetta contenente tutte le nostre analisi e cartelle cliniche, controllando di averle sistemate correttamente in ordine cronologico.
La mia vita mi sta sfuggendo di mano da troppo tempo, le poche cose che posso comandare voglio che siano perfette.

Il centro PMA di Bologna è facilmente raggiungibile. Non è dotato di un parcheggio privato, ma davanti ci sono dei posti a pagamento. Tanto, dovremo spendere altre migliaia di euro, qualche monetina in più non fa la differenza.
La clinica è grande e pulita. Le segretarie sono gentili. Visto che era la prima consulenza, ci hanno fatto compilare un modulo con mille domande (dati anagrafici, peso, durata del ciclo, precedenti tentativi di PMA).
Nella sala d’aspetto c’erano diverse persone, e temevo che il medico fosse in ritardo. Noi eravamo abbastanza in anticipo, perciò ci siamo messi pazientemente ad aspettare. Ci hanno chiamati (per numero, non per nome, per motivi di privacy) in perfetto orario… Almeno credo, mi ero distratta leggendo Vanity Fair – e in particolare un articolo che parlava delle coppie gay/lesbiche e dei loro figli.
Cazzo, pure i gay hanno i figli e noi no! Io sono una paladina dei diritti dei gay, però questo proprio mi fa incazzare! Se Ricky Martin ha tre figli li voglio pure io, ecchecavolo!

Il medico, un tipetto biondo, magrolino, ci ha accolto nel suo studio e, anche se la consulenza è durata un’ora, non ha mai mostrato impazienza né fastidio. Mi ha dato l’idea di essere un uomo di poche parole, ma serio e capace di fornire spiegazioni chiare ed esaurienti.
“Signora, mi ha portato qualche analisi?”
A quelle parole mi sono illuminata. Gli ho messo sulla scrivania il mio faldone del peso di due chili circa.
“E’ tutto in ordine cronologico, dottore!” gli dico, orgogliosa di me stessa (avevo passato un’ora il giorno prima a mettere a posto tutto!)
Il dottore ha letto tutte le analisi in silenzio e, infine, ha detto: “Quindi voi avete un problema maschile…”
Ma va?
Quando ha finito di guardare le analisi, io ho tirato fuori il foglio su cui avevo annotato tutte le domande da porgli. Marito ha alzato gli occhi al cielo. A me non importava. Ora non mi faccio più fregare. Stavamo decidendo la nostra felicità, la nostra vita. Volevo sapere tutto quello che si poteva sapere. In realtà non ho dovuto guardare il foglio neppure una volta perché, incredibilmente, il dottore ha risposto a tutte le mie domande senza neppure bisogno che fossi io a rivolgergliele. E questo mi è piaciuto assai.

In breve, vi espongo le ragioni che mi fanno ben sperare in questo centro e, ovviamente, anche i punti negativi.

I PRO:

1. Prima che fossi io a chiederlo (era una domanda della mia lista), il medico mi ha domandato se avessi mai fatto degli esami specifici all’utero. Io gli ho risposto di no, e lui mi ha detto che sarebbe il caso di farli, per vedere se c’è qualcosa che non va. Mi ha proposto di fare, al posto dell’isteroscopia che è piuttosto invasiva, un’ecografia in 3d, che non mostra proprio tutto quello che mostrerebbe un’isteroscopia, ma che può far capire se c’è qualcosa che non va. Se così fosse, dovrei poi procedere con l’isteroscopia, in caso contrario, no.
Non penso che me l’abbia proposto per guadagnare, visto che mi ha detto che sicuramente nella mia città posso trovare uno studio che effettua le ecografie in 3d, senza bisogno di andare da loro a Bologna.

2. Il medico ha consigliato a Marito di effettuare un test di frammentazione del DNA degli spermatozoi. I risultati di questo test non vengono mostrati da un normale spermiogramma. Questo test è costoso (circa 250 euro) ma necessario nei casi di grave infertilità maschile. Peccato che nessuno ce l’abbia consigliato prima (e io non sapevo neppure che esistesse)!

Per saperne di più

3. A causa del nostro problema di infertilità, il medico ci ha proposto di integrare la tecnica ICSI con un’eventuale IMSI.

Il centro PMA di RE che ci ha seguito finora non utilizza questa tecnica, che aiuta il biologo a scegliere gli spermatozoi migliori. In una ICSI normale gli spermatozoi vengono scelti osservandoli tramite un microscopio che li ingrandisce di 400 volte, mentre quello utilizzato nell’IMSI li ingrandisce fino a 6600 volte! Quindi è molto più facile individuare eventuali problemi.

Il mancato utilizzo di questa tecnica POTREBBE essere la causa dei nostri insuccessi. Un embrione creato utilizzando spermatozoi che presentano frammentazioni (non visibili con il microscopio utilizzato per l’ICSI, ma visibili con l’IMSI), apparentemente sano, potrebbe non essere in grado di svilupparsi e dare così origine ad un mancato attecchimento o ad una gravidanza biochimica (proprio quello che è successo a me).

4. Per quanto riguarda la stimolazione, il centro PMA di Bologna prevede terapie specifiche per i problemi della paziente (il centro di RE segue un protocollo standard per tutte). Inoltre, come farmaco soppressore non prescrivono mai l’Enantone (quello che è sempre stato dato a me), perché è molto potente e, di conseguenza, per poi ottenere l’ovulazione servono dosi maggiori di Gonal F.
Loro utilizzano un protocollo diverso, più leggero, che quindi da meno effetti collaterali.

5. Durante la stimolazione effettuano il primo controllo ecografico al quinto giorno di iniezioni di Gonal F (e non al nono come a RE) ed effettuano anche analisi del sangue per controllare i livelli ormonali (cosa che a RE non mi hanno mai fatto, con mio grande stupore, dato che, da quanto leggo su internet, è ovunque prassi comune). In questo modo, effettuando un doppio controllo, si riduce il rischio di iperstimolazione, cosa da me già provata e per niente piacevole.

6. Per quanto riguarda il transfer di embrioni congelati, non prescrivono pastiglie per bocca per l’endometrio, ma dei cerotti, sempre per il fatto che è una terapia più leggera.

7. L’equipe è composta da diversi medici. Nel caso in cui il giorno del pick up o del transfer il medico che ti ha seguito fino a quel momento fosse assente per qualsiasi motivo, c’è sempre qualcuno che può sostituirlo. A RE il medico che esegue ecografie, pick up e transfer è sempre lo stesso. Se per pura sfiga si dovesse ammalare, essere in ferie o fare un incidente proprio il giorno in cui tu devi fare il pick up o il transfer (interventi che NON possono essere rimandati) va tutto a puttane.

I CONTRO:

1. I costi sono alti. Parecchio. Una ICSI costa sui 4.000 euro, e in questo importo è compreso il transfer in seconda o terza giornata. Per il transfer in quinta giornata, quindi quando gli embrioni raggiungono lo stadio di blastocisti, c’è da pagare un sovrapprezzo.
La tecnica IMSI costa qualche centinaio di euro in più. Hanno però centri in altre città convenzionati con il S.S.N. (non a Bologna).

2. Le analisi pre-PMA (analisi del sangue, spermiogramma, elettrocardiogramma, eco mammaria, ecc.) hanno una validità di soli tre mesi, e non sei come a RE. Perciò, visto che tra una stimolazione e quella successiva devono passare almeno tre mesi, questi esami vanno sicuramente ripetuti ad ogni tentativo.
‘Na palla mostruosa.

Il medico ci ha detto che potremmo portare gli embrioni congelati a Bologna per fare il transfer da loro, ma io ho deciso di provare per l’ultima volta a fidarmi del centro PMA di RE, per un semplice motivo. Temo che non sia tanto il transfer il problema, quanto il MODO in cui questi embrioni sono stati prodotti.

Sinceramente, non mi va di abbandonare questi embrioni (cosa legalmente possibile, ma triste), né di doverli portare fino a Bologna per fare il transfer, con tutti i rischi del caso (ovviamente dovremmo essere noi ad occuparci del trasporto, mica lo fa un medico…).
Sono sicura che anche questi puntini luminosi mi abbandoneranno subito. E io e Marito già mentalmente pronti ad un nuovo fallimento e ad un nuovo tentativo. Questa volta a Bologna, è già deciso. In fondo abitiamo a meno di un’ora di strada, non è una grande fatica.

Sono stanca, stanchissima, ma ci voglio arrivare in fondo. Voglio farcela.

Se Ricky Martin ha tre figli, io ne voglio almeno cinque.
Con rispetto per Ricky, che ha tutto il diritto di avere dei figli. E io no?

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Un anno fa

13 gennaio 2012.

La maggior parte di voi ricorderà questa data per il naufragio della Costa Concordia, o per la scomparsa di Roberta Ragusa.

Tra qualche anno, non appena le luci dei mass media si saranno spente, dimenticherete questi fatti di cronaca e questa data diventerà per voi un giorno come un altro.

Ma non per me.

Il 13 gennaio di un anno fa è iniziato il mio calvario, il mio inferno. Quel giorno un misero pezzo di carta pieno di nomi strani e cifre ha decretato il mio futuro. Un pezzo di carta che a quel tempo (ah, beata innocenza!) non ero neppure in grado di interpretare. La ginecologa aveva dovuto farlo per me.

Ricorderò per sempre il sospiro con cui lesse le analisi e infine, con voce neutra e un pizzico di rammarico, sentenziò: “Mi dispiace, voi non potete avere figli.”
Ricorderò per sempre il mio pianto, mentre guidavo verso casa senza neppure vedere la strada davanti a me, ma soltanto un enorme buco nero. Ricorderò per sempre la sensazione di incredulità, di disperazione, di panico che ho provato quel giorno. E che ho continuato a provare nei mesi successivi.

Il 13 gennaio di un anno fa la mia vita si è interrotta. E’ entrata in una specie di pausa, di stand-by. Da allora, ogni singolo istante della mia giornata, il pensiero che mi occupa la mente è soltanto uno: riuscire a realizzare il mio desiderio di avere un figlio. Non ho smesso di vivere, certo. Continuo a lavorare, a uscire, a seguire le mie passioni, ma… Quel pensiero non mi abbandona mai. Non mi abbandona il senso di frustrazione, di impotenza, di rabbia, di speranza.

Tante cose sono cambiate in quest’ultimo anno. Io sono molto cambiata.
Ho imparato ad essere paziente.
Ho imparato ad accettare una sconfitta e a reagire.
Ho imparato chi sono i veri amici (pochi) e quelli che non meritano di essere considerati tali (la maggior parte).
Ho imparato che tutti sono pronti ad andare con te a prendere un aperitivo, ma nessuno vuole stare al tuo fianco quando affronti qualcosa di grande, di troppo grande.
Ho imparato che al mondo ci sono tante persone ignoranti a cui non importa nulla di imparare.
Ho imparato che al mondo c’è troppa gente che ama giudicare senza conoscere, senza sapere.
Ho imparato che la maggior parte delle persone da tutto per scontato.
Ho imparato che non sono soltanto gli adolescenti, ma pure i cinquantenni a non sapere come si concepisce un bambino.
Ho imparato che in Italia c’è molta ignoranza sull’educazione sessuale, sulla PMA e sull’adozione.
Ho imparato che un uomo e una donna, se si amano realmente, possono rimanere uniti davanti ad una diagnosi di infertilità.
Ho imparato che, ogni tanto, ridere delle proprie disgrazie può essere utile per superarle.

E ho capito che, in un modo o nell’altro, io voglio diventare madre.

E’ passato un anno, e io sono ancora al punto di partenza. Quanto ero ingenua, un anno fa! Ero talmente cieca davanti alla realtà e piena di speranza da credere che, in pochi mesi, la PMA avrebbe regalato a me e Marito il dono più grande… Mi dicevo che non era possibile che noi non potessimo avere figli, che la Natura si era sbagliata, che non avremmo dovuto soffrire tanto a lungo… E, invece… Eccomi qui. Ancora qui.
Di nuovo a sperare. Di nuovo a lottare. Senza aver ottenuto nulla, se non tanto, ulteriore dolore.

Ho fatto il transfer giovedì. Mi hanno trasferito due embrioni. Purtroppo ne hanno dovuti scongelare quattro, perché due sono morti subito.
Il transfer non è stato facile. La prima volta non avevo provato alcun dolore, questa volta invece ho sofferto molto. Devo dire che la ginecologa non è stata molto delicata. Mi ha inserito lo speculum con la gentilezza di un elefante. Ho subito urlato per il male, e mi son irrigidita tutta. Cercavo in tutti i modi di rilassarmi, ma non ci riuscivo!
Ha dovuto persino usare le pinze per trovare il collo dell’utero… Io, che da sdraiata non vedevo cosa stesse accadendo, sentivo degli strani rumori e credevo si trattasse di forbici…! Meno male che l’infermiera mi ha rassicurata spiegandomi che si trattava solo di pinze. Ho sentito gli stessi dolori che provo dopo il pick up, che poi sono come dei dolori mestruali fortissimi… Meno male che è durato solo pochi minuti, durante i quali mi sono fatta però compatire per bene, piangendo e praticamente spaccando la mano dell’infermiera…

E’ da giovedì pomeriggio che vivo tra divano e cibo… Non ho voglia di far niente, ho sempre sonno, anche se a volte mi costringo ad alzarmi perché stare troppo ferma non va bene, il sangue non circola! Mi hanno consigliato di fare delle passeggiate e mi hanno detto che potevo andare a lavorare, dato che faccio l’impiegata, ma io ho preferito mettermi in malattia per due settimane.

Mi sento una stupida. Sto attenta ad ogni movimento, quando salgo o scendo le scale lo faccio a passo di lumaca, Marito non mi lascia neppure apparecchiare la tavola per timore che mi stanchi troppo…!
E io non faccio altro che pensare… E se stessi facendo tutto questo per niente? E se andasse male anche stavolta e mi sentissi una deficiente totale per aver vissuto due settimane come una malata?
Ma non è veramente questo a impensierirmi…
Io ho paura.
Ho il terrore che vada male. Ho il terrore di vedere il test di gravidanza negativo. E ho pure il terrore di vederlo positivo, perché potrebbe succedere come l’altra volta…

E poi… Non so se è a causa del Progynova, del Progesterone, della solitudine forzata o dell’astinenza dal fumo e dall’alcool, ma è da due giorni che mi sento perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, comincio ad urlare ed inveire senza motivo, mi viene sempre voglia di piangere e urlare.

Forse è solo la paura.

Farò il test il 22 gennaio, in anticipo di due giorni rispetto a quello che mi ha detto il centro, tanto si dovrebbe già vedere un risultato positivo.

Questi giorni sono lunghissimi. Noiosi. E vuoti. Spero che un giorno ricorderò questi giorni come fantastici. Spero che un giorno riderò ripensandomi sul divano a strafogarmi di cibo per alleviare la malinconia, e dirò: “E’ in quei giorni che è iniziata la vita di mio figlio!”

Speriamo.

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Organizzazione post transfer

homer_sleepingImmagine presa dal Web

Sabato ho fatto l’ecografia.
Il mio endometrio era spesso 8,6 mm. Urrà!

Domani la dottoressa vuole visitarmi di nuovo e, se sarà cresciuto oltre ai 10 mm, potrò fare il criotransfer mercoledì o giovedì (speriamo mercoledì, non ne posso più di aspettare!).

Come al solito starò a casa almeno due settimane in malattia. E, dato che io guardo sempre avanti, ho già iniziato a programmare il riposo post transfer.

Questa volta, per stare sul sicuro, Marito non ha intenzione di lasciarmi uscire dal letto almeno per qualche giorno, per evitare che debba fare le scale, e mi ha raccomandato di tenermi lontano dai cani, perché non vuole che mi saltino addosso. In realtà le nostre adorate bimbe pelose non mi saltano mai addosso, tranne quando gioco con il Playstation move (soprattutto quando gioco a tennis, non capiscono perché mi agiti tanto) o quando sono io stessa ad incitarle perché ho voglia di ballare con loro (…).

Credo che Marito sia convinto che le nostre cagnoline abbiano intenzione di boicottare una possibile gravidanza perché vogliono restare le uniche “bambine” di casa…

In tutti i modi, sia che io rimanga sul letto o mi trasferisca sul divano, ho intenzione di rimanere in posizione orizzontale il più a lungo possibile, perciò ho assolutamente bisogno di pensare a qualcosa da fare per distrarmi durante il riposo forzato, per non rischiare di impazzire.

Ecco il mio programma:

– Finire di leggere “Il manoscritto ritrovato ad Accra” di P. Coelho

– Rileggere “L’idiota” di Dostoevskij (l’ho dovuto cercare su Google per scriverlo correttamente…)

– Leggere “Fosse ‘a Madonna!” di De Crescenzo

– Leggere “A tale of two cities” (sì, in inglese) di Dickens

– Guardare tutte le stagioni di “Nip/Tuck”

– Guardare “Eli Stone”

– Guardare la quarta stagione di “Misfits” (un telefilm inglese)

– Guardare qualche bel film in streaming noleggiato sui viaggi nel tempo, che mi piacciono tanto

– Riguardare per l’ennesima volta la trilogia de “Il Signore degli Anelli” senza alcuna pausa tra un film e l’altro (alla fine crederò di essere Arwen e mi metterò a parlare in elfico)

– Giocare a The Sims 3 e fare tanto fiki fiki (oh, almeno quello virtuale posso farlo)

– Terminare la revisione del mio romanzo e trovare degli editori a cui inviarlo

– Scrivere tante belle deprimenti poesie su quanto è deprimente non riuscire a diventare madre (sì, è uno dei miei passatempi preferiti)

– Terminare il collage di foto dei miei bimbi pelosi che avevo iniziato a fare durante il primo post – transfer per il futuro bimbo

Direi che di cose da fare ne ho… Penso che niente potrà distrarmi dall’ansia per il responso del test di gravidanza, né alleviare la mia paura di un altro fallimento, ma cercherò in tutti i modi di vivere questo riposo forzato nel modo più sereno possibile. Ne approfitterò per riprendermi un po’ da questo periodo stressante e fare tutte quelle cose che mi piacciono e che, causa lavoro, non riesco mai a fare.

Suppongo che la prossima volta che scriverò sul blog sarò “in cova”…

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Conversazioni assurde

punto-interrogativo-4Immagine presa dal Web

Ho paura. Domani è il Gran Giorno. Anzi, non è proprio paura. E’ voglia di qualcosa di buono.
Domani è il giorno che deciderà quando sarà il Gran Giorno. Insomma, per farla breve, domani ho appuntamento presso il centro PMA per capire come sta reagendo il mio endometrio alla terapia con il Progynova e quando potremo programmare il criotransfer.

Sono agitata. E ho voglia di ridere. Perciò ho deciso di condividere con voi alcune delle conversazioni più assurde che io e Marito abbiamo dovuto sostenere da quando abbiamo iniziato il cammino PMA.

Ho scritto questo post qualche tempo fa, in attesa del momento giusto per pubblicarlo. E credo che quel momento sia arrivato. Dopo un 2012 bisesto e decisamente funesto, ho voglia di ridere. Voi no?

LA COSA (io e il mio capo)

Io e il mio capo non andiamo mai in pausa insieme. Le poche volte che questo accade è perché uno dei due ha bisogno di parlare con l’altro lontano da occhi indiscreti. Perciò, quando qualche settimana fa, alle cinque passate (orario in cui la sala caffè è vuota) mi ha proposto di uscire qualche minuto con lui, ho capito che doveva chiedermi qualcosa di importante.
Dopo avermi offerto il caffè, mi guarda e fa: “Allora? Non per essere indiscreto, ma… Hai idea di quando dovrai stare in malattia per la tua cosa?”

Vi ricordo che il mio capo sa tutto della PMA. Cioè, in realtà non sa nulla di come avviene la cosa in pratica, ha soltanto indovinato (senza che io gli dicessi nulla) a che tipo di fantomatica “operazione” (questo è quello che ho detto in ufficio) mi sto sottoponendo. Devo dire che io non alcuna vergogna a parlare della PMA con chi si mostra disponibile ad ascoltarmi. Mi sento sempre un po’ in imbarazzo per i miei interlocutori, però. Io ormai sono abituata a parlare di ovaie, spermatozoi e mestruazioni, ma dubito che questi siano gli argomenti preferiti dalla gente “normale”.

“Purtroppo non lo so ancora,” gli ho risposto. “Sai, quello che devo fare è condizionato dal ciclo, e… Non mi sono ancora arrivate, perciò non so dirti bene quando sarà programmata LA COSA.”
“Ah, capisco… E quando ti dovevano venire??”
“Tra il sei e il dieci dicembre… Ho un gran ritardo… Però ho tanta voglia di cioccolata, perciò penso che tra poco mi verranno!”
“Speriamo che ti arrivino presto, allora!”
“Eh, sì… Comunque ti avverto non appena mi vengono!”
“Ok! Dimmi quando ti arrivano! Aspetto fiducioso!”

Poi siamo tornati in ufficio. Io ero allucinata. Avevo appena speso dieci minuti a parlare di mestruazioni (delle MIE mestruazioni) con il mio capo davanti alla macchinetta del caffè.

MADRE DI MIO FRATELLO (io e mia mamma)

Qualche anno fa, mentre cercavo di riallacciare i rapporti con la mia incasinata famiglia, ho invitato a casa mia e di Marito (a quel tempo fidanzato) i miei genitori e mia nonna materna per il pranzo di Natale. Mio padre ha preferito andare dai suoi genitori, mia nonna non stava bene e alla fine l’unica che si è presentata è stata mia madre. Per tutta la durata del pranzo (che io avevo faticosamente preparato) mia madre non ha fatto altro che parlare di sesso. Con sua figlia. Davanti al suo futuro genero.

Ad un certo punto, mia mamma ci guarda intensamente e, con tono melodrammatico, fa: “Ragazzi, ma sapete che ieri sera mentre io e PapàdiEva facevamo l’amore si è rotto il preservativo? Ma secondo voi sono incinta? Se sono incinta il bambino lo potrei dare a voi!”
Io e Marito ci siamo guardati, stralunati. Il gamberetto in salsa rosa che stavo mangiando mi è andato di traverso.
Poi, come al rallentatore, ci siamo voltati nuovamente a guardare mia mamma.
“No, dai, MammadiEva, vedrai che non è successo niente…” ha bofonchiato Marito, cercando con lo sguardo una via di fuga (che non ha trovato).
Meno male che a quel tempo non sapevo ancora dei nostri problemi d’infertilità. Avrei persino potuto accettare l’offerta. E la conversazione si sarebbe fatta ancora più assurda.

LA CACCA NELLA VAGINA (io e la Gine1)

La Gine1 (la mia ginecologa abituale, per differenziarla da quella del centro PMA, che chiamerò GinePMA – wow che fantasia) non ha peli sulla lingua. In quest’ultimo anno, oltre ai problemi di Marito, anch’io ho avuto diversi disturbi, per fortuna risolvibili (e che apparentemente non causano infertilità). In sei mesi ho fatto tre pap test.
Ogni volta mi trovavano qualcosa: un’infiammazione, dei batteri, cervicite cronica… La dottoressa, oltre alle terapie, mi ha dato delle regole ferree da seguire per guarire: non mi devo lavare più di due volte al giorno, non devo fare lavande di mia iniziativa, non devo portare il salvaslip e di notte devo dormire senza mutande.
Ecco, quest’ultima regola per un po’ di tempo non l’ho seguita perché mi sembrava poco igienica. Insomma, le mutande ovviamente le cambio tutti i giorni, mentre i pantaloni del pigiama no. Io il pigiama lo cambio una volta a settimana, e credo sia normale (ma ho letto su internet di una che cambia gli asciugamani e l’accappatoio ogni giorno quindi, chi sa, magari sono io ad essere strana?!).
Quando l’ho confessato alla Gine1, lei è andata su tutte le furie, manco le avessi fatto un torto personale.
“Ma insomma,” mi ha detto, “vuoi guarire o no?”
“Certo, dottoressa… Ma ecco, vede, non mi sembra molto igienico dormire senza mutande… Insomma, entrerei in contatto con i pantaloni che di certo non sono puliti come le mutande…”
“Tu hai dei batteri! E per farli andare via devi fare come dico io!”
“Ma è sicura che sia igienico dormire senza mutande?”
“Durante la notte le mutande sfregano avanti e indietro e trasportano i batteri! Vedi i nomi di questi batteri?” ha esclamato, indicando le analisi del laboratorio. “Sono batteri che si trovano nel l’ano! Hai la cacca nella vagina! Tu vuoi avere la cacca nella vagina?
No, non voglio avere la cacca nella vagina, grazie. Mi è capitato di avere della cacca sul pavimento della sala quando le mie cagnolone erano cucciole, e mi è bastato.
Da quel giorno sono rimasta talmente traumatizzata che ogni sera, prima di andare a dormire, mi tolgo le mutande e le scaglio via, lontano, manco fossero il demonio.

La cacca nella vagina. Insomma, c’è modo e modo di dire le cose, ecchecavolo…

L’ALIENO (io e la ginePMA)

Questa ve l’ho già raccontata, ma merita di essere riportata alla memoria. Durante il primo colloquio con la GinePMA, quando la carpetta contenente le analisi mie e di Marito non pesava ancora diversi chili, la dottoressa non si è mostrata molto disponibile. Dopo aver accertato insieme a lei che una gravidanza naturale era impossibile, le abbiamo chiesto se con la PMA ce l’avremmo potuta fare.
“Beh, prima dovete fare diverse analisi,” ha detto, consegnandoci un elenco con la prescrizione di millemila esami, “e poi vediamo… Sa, signora, non so se potrete fare la PMA… Insomma, non sappiamo cosa potreste concepire, voi due!”
Un mostro a due teste? Un cane? Una fotocopia di mia madre? Oh, dottoressa, a noi va bene tutto, non siamo mica choosy!

LA MATEMATICA E’ UN’OPINIONE (io e Marito)

Era il 13 gennaio 2012. Quel giorno, oltre ad aver tamponato una macchinata di vecchie davanti ai miei genitori che, per pura BDS (botta di sfiga) passavano da lì, ho scoperto che io e Marito non possiamo concepire. La mia ginecologa aveva visionato lo spermiogramma di Marito e mi aveva dato la terribile notizia. Ho guidato verso casa in lacrime. Non appena ho varcato la soglia ho gettato le analisi sul tavolo. Marito è corso a chiedermi com’era andata.
“Lo sapevo, lo sapevo che c’era qualcosa che non andava!” ho urlato, piangendo, rossa di rabbia. “Avevo ragione! E tu non volevi credermi!”
“Ma che è successo?”
“E’ colpa tua! E’ tutta colpa tua!”
“Ma cosa?”
“Leggi le analisi! Leggi quei cazzo di numeri!”
Marito ha preso il foglio in mano. “Qui dice che ci sono centomila spermatozoi… Non capisco… E quindi?”
“Leggi i valori di riferimento, scemo!”
“Eh, c’è scritto che i valori normali sono tra 20 e 40 milioni… Beh, non va mica male allora, no?”
“Ma che cazzo dici, scemo? Ma non sai contare?”
Marito continuava a guardarmi, perplesso. Non sapevo se essere più preoccupata per la sterilità o per il Q.I. di Marito.
“Non hai neanche l’1% degli spermatozoi che dovresti avere!”
Marito mi continua a guardare… Poi d’un tratto diventa rosso… E comincia a ridacchiare.
“Oh, è vero sai?”
Cazzo te ridi??

P.S. Lo so, sono stata un po’ stronza. Ma ero fuori di me. In realtà non ce l’avevo con Marito, ma con il destino.

SPERIAMO CHE PORTI BENE (la vecchina e Marito)

Era il 23 dicembre. Marito, mentre tornava a casa dopo aver fatto la spesa (oh sì, questa incombenza di solito spetta a lui – si diverte un mondo ad andare al supermercato – e torna sempre a casa con un mucchio di stronzate tipo ovetti kinder o Mars – e ovviamente dimentica le cose principali tipo il detersivo per i piatti o la carta igienica…)… Dicevo? Ah, sì, mentre Marito tornava a casa, si è dovuto fermare a soccorrere una vecchina che era finita con la sua Jaguar nel fosso, fortunatamente senza farsi nulla.
Noi abitiamo in campagna, qua le strade sono molto strette e se uno non è abituato a percorrerle c’è il rischio di finire nel fosso, soprattutto quando arriva un’auto dall’altra parte. Ora, già immaginarmi una vecchina alla guida di una Jaguar mi fa sorridere, ma la conversazione che mi ha riportato Marito è ancora più divertente.

Oltre a Marito si è fermato un ragazzo con due bimbe piccole al seguito.
Ah, l’innocenza dei bambini… Una delle due piccole ha esclamato, candidamente: “Ma noi ora dovevamo fare la spesa… Adesso per colpa di questa signora dobbiamo stare qui per chissà quanto tempo!” Meravigliose. Chissà com’era imbarazzato il loro papà…

Mentre aspettavano che arrivasse un conoscente della signora per portarla a casa, la vecchina ha chiesto a Marito di poter salire sulla sua macchina perché aveva freddo. Marito ovviamente le ha risposto di sì, e si è seduto in auto di fianco a lei.
“Ma lei è sposato?” ha domandato la vecchina ad un tratto.
“Eh, sì,” ha risposto Marito.
“E avete dei piccini?” ha domandato la signora, innocentemente.
Non oso pensare all’espressione di Marito…
“Certo… Abbiamo due cani!”
“Beh, ma non è la stessa cosa!”
Dai, cazzo! Mo’ pure la vecchia ci si mette!

Quando finalmente è arrivato il conoscente della signora, quest’ultima ha salutato Marito facendogli gli auguri di Natale e chiedendogli il nome e l’indirizzo (oh, magari ci manda un bell’assegno come ricompensa per l’aiuto! – Alla faccia dello spirito natalizio).
E poi gli ha detto, così, tutto d’un tratto: “Vedrà, signore, che il 2013 sarà un bell’anno… Spero che le porti quello che cerca!”

Quando Marito mi ha riferito queste parole sono rimasta di stucco. Secondo lui quella vecchina era l’ “angelo dei bambini”… Tra i due quella più sognatrice e romantica sono sempre stata io, anche perché, in quanto scrittrice, amo far volare la fantasia. Ultimamente, però, i ruoli si sono invertiti. Io sto diventando sempre più razionale e pure un po’ cinica, mentre Marito sta svelando un lato “spirituale” che non conoscevo.

Non so se un’anziana signora finita nel fosso con la sua Jaguar possa portarci bene, ma è bello pensarlo.

 

Vecchinadeibambini (ah, era angelo dei bambini, forse), ti prego, fa che domani la GinePma dica che il mio endometrio è spassosissimo spessissimo, e che la settimana prossima possiamo fare il criotransfer!!

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Il bimbo portafortuna

bimboportafortuna

Quest’anno ho fatto pochissimi regali di Natale. Per fortuna sono riuscita ad evitare tutti i vari aperitivi pre-feste, non mi sono scambiata auguri falsi con persone che non vedo mai e non ho dovuto né fare regali a persone che a malapena conosco, né riceverne da gente che si ricorda di me solo a dicembre. Perciò, tutti i pochi regali che ho fatto/ricevuto, sono doni che vengono veramente dal cuore.

Per la prima volta io e Marito non ci siamo scambiati regali. Abbiamo deciso di risparmiare per la PMA. Un figlio è l’unico vero regalo che desideriamo ricevere.

Quello che vedete nella foto qua sopra è il regalo più bello che ho ricevuto, anche se non era avvolto in una luccicante carta natalizia e chi me l’ha dato non ha speso un euro per comprarlo.

La sera della Vigilia sono andata a trovare i miei nonni paterni insieme a Marito. Ad un tratto, mentre chiacchieravamo tutti insieme davanti ad un bicchiere di spumante, mia nonna mi ha pregato di seguirla. Mi ha portato in bagno e ha chiuso la porta, dicendo che doveva darmi una cosa.
Si è messa a frugare in tutti i cassetti dove tiene le spazzole, bigodini e creme varie. Ero incuriosita, mi chiedevo come mai avesse nascosto il suo regalo proprio in bagno. Ero convinta che volesse darmi dei soldi, e che magari non desiderasse che gli altri vedessero, anche se non ne capivo il motivo.

Ad un certo punto il suo sguardo si è illuminato. “Ah! Eccolo qua!” ha esclamato.
Mi ha preso la mano e mi ha messo sul palmo questo strano e vecchio pupazzetto di plastica. Un bambino senza braccia né gambe.
Il mio primo pensiero è stato: Ma che cavolo è questo coso tanto macabro?! La nonna è impazzita!
Il mio sguardo doveva essere veramente stupito, perché lei si è messa a ridere, forse anche un po’ imbarazzata.
Sussurrando, mi ha detto: “Ho trovato questo pupazzetto tanti anni fa in mezzo ad un bosco, in Svizzera… Poco tempo dopo sono rimasta incinta. Poi l’ho dato ad una mia amica e… Tempo qualche mese, e anche lei ha avuto un bambino! Ora lo regalo a te, magari ti porta fortuna!”

Io non sono superstiziosa. Non credo agli amuleti, non credo alla fortuna né alla sfortuna. Credo solo in Dio, e nel caos in cui ci fa vivere in questo mondo terreno, per quale motivo solo Lui sa. Eppure in quel momento anche il mio cuore si è illuminato, proprio come lo sguardo di mia nonna. Nessuno ha mai avuto un pensiero tanto dolce per me! Come sarebbe stato bello se fosse stata mia madre a fare un gesto del genere!
Non sapevo cosa dire, ero commossa, così ho ripetuto “grazie” mille volte e poi timidamente l’ho abbracciata e le ho dato un bacio. Io faccio molta fatica ad esprimere i sentimenti, soprattutto fisicamente, ma in quel momento non ho avuto alcuna esitazione. Non c’era nient’altro da fare, nient’altro da dire.

La notte della Vigilia l’ho passata insieme a Marito. Solo noi due e le nostre cagnolone. La nostra famiglia. Quanto sarebbe stato bello se ci fosse stato un bimbo insieme a noi, o se almeno io avessi avuto un bel pancione da accarezzare, un bel pancione su cui riversare le nostre speranze…
Nonostante questo, dopo la visita ai miei nonni all’improvviso mi sentivo avvolta dalla magia del Natale, e così abbiamo allestito in fretta e furia un piccolo alberello e un presepe, dentro cui ho messo anche il bimbo portafortuna. Abbiamo cucinato e cenato insieme, ed è stato bello. Verso le 23 siamo andati in centro, ci siamo bevuti un bicchiere (a dire il vero più di uno) nell’unico bar aperto e poi siamo andati alla Messa di mezzanotte. Purtroppo la chiesa dove voleva andare Marito era chiusa, perciò siamo andati in un’altra. Era bellissima. Se davanti a me non avessi avuto una signora di mezza età ricoperta da non so quanti cadaveri di visoni, mi sarei goduta la Messa molto di più. Le parole con cui il prete ha esordito mi hanno lasciata di stucco…
“Questa è una Messa che qualcuno di voi ha aspettato a lungo…”
Sembrava che stesse parlando proprio con me!

Purtroppo la sua omelia non mi è piaciuta molto… Praticamente ha fatto solo una parafrasi del passo del Vangelo che era appena stato letto, sinceramente mi aspettavo qualcosa di più per la Messa di Natale (considerando anche che molte persone vanno in chiesa solo quel giorno, un prete ha il dovere di coinvolgerle, di far capire loro che vale la pena andarci molto più spesso).
Un tempo andavo sempre in chiesa, e ho capito che sono pochi i sacerdoti capaci di parlare alla gente. Non ho sentito quella magia, quel calore che speravo di ritrovare… Perciò, nonostante la bellezza di quel luogo, credo che non sarà quella la chiesa dove potrò riavvicinarmi alla religione, dove io e Marito ci sposeremo e dove il nostro bimbo sarà battezzato. Ma non mi arrendo mica, eh!
Marito era molto entusiasta per il fatto di essere andato a Messa con sua moglie per la prima volta in otto anni che stiamo insieme. Ed è d’accordo con me sul cercare un luogo che coinvolga entrambi per cominciare insieme questo nuovo percorso.

Anche la PMA non è andata bene la prima volta, ma questo non significa che bisogna arrendersi, no?

E per concludere questo post pieno di speranza, vi annuncio con gaudio che il giorno di S. Stefano le Malefiche hanno deciso di farmi finalmente visita. Il giorno stesso ho iniziato la terapia, due compresse di Progynova al mattino e due alla sera. Questo sabato ho appuntamento presso il centro PMA per fare l’ecografia e vedere se sono pronta per il criotransfer. Spero vivamente di sì, non ne posso più di aspettare e inoltre anche questi ormoni stanno avendo un effetto devastante sul mio umore…

Quindi, se tutto va bene… Tra pochi giorni ci siamo!
Il mio corpo è pronto ad accogliere di nuovo quei bellissimi puntini luminosi, e il mio cuore pronto di nuovo a sperare. Saranno giorni duri, lunghi, che forse mi porteranno finalmente alla realizzazione del mio sogno, oppure ad un altro fallimento, o ad un’effimera illusione.
Devo cercare di tenere i piedi per terra, ma non posso che sperare che il 2013 sia l’anno in cui i sogni diventano realtà.

E lo auguro anche a tutti voi.

Pubblicato in: La mia storia, Riflessioni

Il nostro pianto

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Immagine di sepulture/is.dead/

Lunedì sono tornata al lavoro. Ero felice, a dire il vero. Pensavo che sarebbe stato bello rivedere i miei colleghi, anche se spesso discutiamo, e riprendere la vita “normale”.
Ma il ritorno alla realtà è stato più brusco di quanto non pensassi. Mi sono ritrovata a dover rispondere alle solite domande stupide, a dover lavorare mentre la testa vagava altrove, a dovermi sforzare per sorridere e recitare come al solito la parte del pagliaccio per non lasciar trapelare quello che provo… Pensavo che sarebbe stato piacevole, forse in un certo senso persino rilassante, tornare a “vivere”… Ma questa può forse dirsi “vita”?

Tutto quello che faccio durante il giorno – alzarmi, guidare, entrare in ufficio, lavorare, chiacchierare, sorridere – lo faccio come se fossi un automa, senza neppure riflettere, perché so che è quello che devo fare, che gli altri si aspettano da me. Tutto quello che vorrei fare, in realtà, è fermarmi e urlare, urlare a squarciagola. Tutto quello a cui riesco a pensare sono quegli embrioncini che mi aspettano, quelle potenzialità di vita che, forse, una vita non l’avranno mai. A cui io forse non riuscirò a donare la vita.

Sabato sono tornata al centro PMA e, come previsto, la ginecologa mi ha detto che il transfer è rimandato al mese prossimo, perché le mie ovaie sono ancora un po’ gonfie, nonostante io mi senta bene. Dovrò aspettare che mi tornino le Malefiche, probabilmente tra il 6 e il 10 dicembre, poi almeno per dodici giorni dovrò impasticcarmi di Progynova e infine, finalmente, potremo fare il transfer, si spera entro Natale. Altrimenti, suppongo, tutto slitterà a gennaio.

Questa notizia non mi ha intristito più di tanto, all’inizio. Ormai sono due anni e mezzo che aspetto il mio bimbo, un’attesa di un altro mese, o anche due, non è di certo una tragedia.

Ma negli ultimi giorni, dopo essere rientrata alla “realtà”, il panico ha cominciato a prendere il sopravvento.

Non so perché, forse è causato dallo scombussolamento ormonale, ma mi sento triste come mai prima. Mi sento molto sola. E mi sono data della stupida per aver creduto di essere felice rientrando in ufficio e rivedendo i miei colleghi. Quelle persone non sanno niente di me, non sanno cosa sto passando, non se lo possono neppure immaginare… E, anche se lo dicessi loro, probabilmente non otterrei nient’altro che critiche e le solite frasi banali che ci fanno tanto incazzare.

Mi sento tanto sola. E tanto stanca. So che non dovrei. Dovrei essere forte. E speranzosa. Tra un mesetto o poco più quei puntini luminosi che amo così tanto entreranno a far parte di me. Avrò un’altra possibilità. Ma, mentre a volte mi sento agguerrita e piena di ottimismo, in questi giorni provo soltanto un grande senso di vuoto.

Oggi ho ricevuto l’ennesimo annuncio di gravidanza. Una conoscente mia e di Marito è incinta. Una ragazza che avrà più o meno la mia età. E’ stato Marito a dirmelo, mentre stavo per uscire dall’ufficio. Sapeva che prima o poi l’avrei scoperto, e non voleva che lo sapessi da altri. Questa notizia è stata la ciliegina sulla torta di una giornata molto triste.

Quando sono uscita dal lavoro, mentre mi incamminavo verso la macchina, nascosta nel buio, ho cominciato a piangere. E ho continuato durante tutto il viaggio in macchina verso casa. E mentre piangevo pensavo che forse quella ragazza avrebbe perso il suo bambino. In fondo, anche le gravidanze “naturali” possono andare male. Questo pensiero ha attraversato la mia mente per un millesimo di secondo, ma in quel millesimo di secondo ho provato un macabro sollievo. Poi mi sono vergognata di me stessa. E ho cominciato a piangere ancora più forte.

In questo periodo le uniche persone che sono riuscite a strapparmi un sorriso o a scaldarmi il cuore sono quelle che ho conosciuto su internet.

Da quando ho aperto questo blog mi capita sempre più spesso di ricevere lettere da parte di donne che soffrono come, e con, me.

Il termine “e-mail” mi ispira freddezza. Preferisco chiamarle “lettere” perché è proprio questo che sono. E ogni volta che una donna mi scrive per raccontarmi la sua storia e per donarmi un abbraccio, seppur intangibile, mi sento un po’ meno sola, e un po’ più triste.

Oggi, mentre piangevo, ripensavo a quelle donne. Alle donne invisibili. Pensavo a quando mi raccontano cos’hanno provato al primo, o all’ennesimo, tentativo di PMA fallito. Pensavo a quando avevo creduto di essere incinta, per poi vedere il mio sogno dileguarsi nel sangue. Pensavo a quanto mi sembrassero forti, loro, e quanto io abbia paura di sperare ancora. E il mio dolore si confondeva con il loro. Oggi ho pianto per me, e per voi. E questa, sicuramente, non è una grande consolazione per nessuno. Noi dovremmo sorridere, non piangere. Noi ci meritiamo di sorridere, non di piangere.

Vi è mai capitato di ascoltare una canzone e pensare che fosse stata scritta proprio per voi, che addirittura voi stessi avreste potuto scriverla, che sono le stesse parole che si celano da tempo immemore nel vostro animo…?

A me sì.

Ultimamente non posso fare a meno di ascoltare questa canzone. E’ “All Alright” dei Fun.

 

I’ve given everyone I know
a good reason to go
I was surprised you stuck around
long enough to figure out
That it’s all alright
I guess it’s all alright.
I got nothing left inside of my chest, but
it’s all alright.
Yeah, it’s all alright.
I guess it’s all alright.
I got nothing left inside of my chest, but
it’s all alright.

Ho dato a tutti quelli che conosco
una buona ragione per andarsene
mi ha sorpreso che tu sia rimasto
abbastanza a lungo per capire
che va tutto bene
Penso che vada tutto bene
Non mi è rimasto più niente nel petto, ma
va tutto bene.
Sì, va tutto bene.
Penso che vada tutto bene.
Non mi è rimasto più niente nel petto, ma
va tutto bene.

Pubblicato in: La mia storia

Iperstimolata e iperannoiata

Sabato scorso finalmente la ginecologa si è decisa a visitarmi e a farmi un’eco per controllare la situazione, dato che ormai la mia pancia aveva raggiunto dimensioni mostruose. Mi ha ordinato di stare a riposo per altri quindici giorni, mi ha prescritto un sacco di analisi del sangue e mi ha detto di fare una puntura di un anticoagulante, il Fragmin, ogni sera. Sulla pancia. Ecchepalle.

Questa settimana, però, ho cominciato a stare molto meglio, anche perché martedì sono arrivate le Malefiche. Mi sono finalmente sgonfiata e ho ritrovato la mia forma e il mio peso normali, e ho deciso che lunedì tornerò a lavorare. Ho smesso le punture e non ho ancora fatto le analisi; le farò domattina tanto per dare una controllatina ai valori ma penso che la dottoressa me le avrebbe dovute prescrivere molto prima…

Domani torno al centro PMA per sapere se posso iniziare l’assunzione degli estrogeni per prepararmi al transfer degli embrioni congelati o se dobbiamo aspettare il prossimo ciclo. Al telefono la dottoressa mi ha detto che è più propensa ad aspettare, dato che sono stata molto male, ma ora sto benissimo e spero che cambi idea… (Sono una testona, lo so).

Credevo che durante questo riposo forzato avrei trovato tanto tempo per scrivere sul blog e invece… Invece, questi sono stati giorni pigri, lunghi e noiosi. Quando stavo male non riuscivo a concentrarmi su nulla, e anche ora che sto meglio mi sento stanca, spossata, una specie di ameba.

Non pensavo che l’avrei detto, ma sono contenta di tornare a lavorare… Anche se so che poi rimpiangerò tutto questo tempo libero!

Penso che riacquisterò un po’ di energia e di ottimismo solo quando finalmente cominceremo a programmare il transfer… Sono una maniaca della pianificazione, che ci posso fare?!