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TE PIACERE BAMBINI? (Racconto di un pick up tragicomico)

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La mia cameretta d’ospedale

Rieccomi.

Voi vorreste sapere com’è andato il pick up di ieri, vero? Lo saprete, lo saprete… Ma, prima, dovrete sopportare tutto il mio dettagliato resoconto.
Voglio rendervi partecipi della mia tragicomica esperienza. E non barate, non vale andare a leggere in fondo al post! Voglio creare un po’ di suspence!

Dunque. Per prepararmi al pick up la dottoressa mi ha prescritto tutta una serie di terapie da effettuare ad orari precisi nei tre giorni precedenti: lavande vaginali, ovuli vaginali e pastiglie di carbone attivo. Ho speso 60 euro in farmacia per prendere tutta ‘sta roba. Mi sono detta che, in qualunque modo fosse andato il prelievo ovocitario, sarei stata la donna dalle parti intime più pulite e profumate del mondo. Nonché dall’intestino più libero.

Tralasciamo questa parte e arriviamo al giorno del giudizio.

Marito aveva già programmato la giornata minuto per minuto da settimane. Lui è peggio di me. Se non pianifica tutto nei minimi dettagli va in paranoia. Oh, Dio li fa poi li accoppia.

Giovedì sera siamo andati a letto alle dieci di sera. Mai successo. Di solito alle dieci siamo ancora a tavola. Naturalmente, per l’agitazione, ho faticato a dormire. Quando finalmente sono riuscita ad addormentarmi, ho sognato (in maniera così nitida che sembrava reale) il momento del pick up. Ho sognato la ginecologa che mi annunciava che non avevo neppure un ovocita. E io mi incazzavo di brutto.

Venerdì 7 marzo. Sveglia ore 4.30. Eh sì, avete capito bene. Naturalmente avevo già preparato la borsa per il ricovero la sera prima. Ero convinta di aver preso su tutto: camicia da notte, assorbente (dopo il pick up perdo sempre un po’ di sangue), le nostre cartelle mediche da più o meno cinque chili di peso, tessera sanitaria, cellulare per scattare qualche foto (sono peggio dei giapponesi in vacanza), libro da leggere per ingannare l’attesa.

Siamo partiti alle 5.30 e arrivati all’ospedale a Milano alle 6.30. Non so che a velocità sia andato Marito e preferisco non scoprirlo. Il ricovero era previsto per le 7. E pensare che Marito aveva il terrore di arrivare in ritardo…
Il reparto day hospital di Ginecologia era vuoto, fatta eccezione per altre due donne, accompagnate dai rispettivi mariti. Ci siamo salutate e scambiate un sorriso, ho capito subito che erano lì anche loro per il pick up.
Il mio terrore era quello di ritrovarmi in stanza con altre donne, magari incinta… Non penso che avrei potuto sopportarlo. E invece… Sorpresa. Quando l’infermiera è arrivata per accompagnarci nelle nostre camere, ho scoperto di avere una stanza tutta per me. Con bagno privato. Che figata.

L’infermiera mi ha detto di cambiarmi, in attesa di andare in sala operatoria. Mi sono messa la camicia da notte, ed è stato allora che mi sono accorta di non aver portato con me le ciabatte. Poco male, mi sono detta. Tanto, mica devo camminare. Ero certa che ci avrebbero portato in sala operatoria in barella. Eh, no. Troppa grazia.

Dopo una mezz’oretta l’infermiera è tornata per dirmi che, insieme alle altre ragazze, dovevo scendere al piano di sotto per andare in sala operatoria. Panico.
Ho fatto presente di essermi dimenticata le ciabatte. Ho chiesto – anzi, implorato – un paio di ciabatte, anche usa e getta. L’infermiera ne era sprovvista. Ho persino chiesto a Marito di togliersi le calze e darle a me. Si è rifiutato.
“Beh, dai, vorrà dire che ti metterai le scarpe per scendere…” mi ha detto l’infermiera. Poi ha guardato alle mie spalle, dove avevo gettato tutti i miei abiti, e ha esclamato: “Ah, hai gli stivali. E va beh, dai, mettiti quelli…” Sono sicura che stesse per scoppiare a ridere. Sì sì.

Ho cominciato a sudare freddo. Camicia da notte e stivali?! No, dai, non potevo fare una figura di merda del genere.
Non io, la veterana dei pick up…! Il tempo stringeva, e dovevo decidermi. Non avevo altra scelta. Camicia da notte e stivali. Oh yeah, baby.
Ero anche piuttosto sexy. Ho raggiunto le altre due donne in corridoio. Prima che potessero dire qualsiasi cosa, ho spiegato perché fossi vestita in quel modo. Si sa, le donne ormonate possono essere abbastanza perfide.

Fortunatamente, durante il tragitto per la sala operatoria, non abbiamo incontrato altri esseri viventi. Fiuuuu.

Io e le altre due ragazze ci siamo accomodate in una specie di sala d’attesa. L’infermiera mi ha messo l’ago per l’anestesia. Come sempre, ha faticato a trovare una vena decente da bucare. E io, come sempre, ho urlato dal dolore. Non so che farci, ho la fobia degli aghi. E pensare che sono anche donatrice di sangue. Poi l’infermiera se n’è andata, annunciandoci che ci avrebbe chiamate una alla volta per il pick up. Io dovevo essere l’ultima.

Ho cercato di fare conoscenza con le altre due donne. Nel frattempo Marito è andato, insieme agli altri uomini, ad effettuare la – ehm – donazione.

Ho conosciuto S., una donna di quarant’anni che ha già un figlio di venti dal primo matrimonio. Ora vorrebbe un figlio con il suo nuovo marito, ma dato che non riesce a rimanere incinta (non ho chiesto perchè, forse a causa dell’età), ha deciso di provare con la PMA. E’ al suo primo tentativo.
L’altra donna, di cui ignoro il nome, è una ragazza trentenne originaria dello Sri Lanka. Anche lei al suo primo tentativo. Dato che a me piace fare la maestrina, ho fatto presente che questo, invece, è per me il terzo pick up (manco fosse un vanto, mamma mia…) e, visto che entrambe erano molto spaventate, ho cercato di rassicurarle come meglio potevo.
A questo punto ero ancora abbastanza tranquilla. Abbiamo scherzato un po’ su tutte le lavande che ci siamo dovute fare in questi giorni.

S. era la prima, e una volta che è stata chiamata siamo rimaste da sole io e la ragazza dello Sri Lanka.
Non parlava benissimo l’italiano, mi ha detto di essersi trasferita in Italia da un paio d’anni. Ha raggiunto il marito che, invece, lavora qui da più tempo.
Non sapeva praticamente nulla di quello che stava per accadere.
“Oggi mi prendono uova, vero?” mi ha chiesto. “E poi, quando mettono embrioni?”
Ho cercato di spiegarle un po’ come funziona il tutto. Cavolo, ma possibile che non si fosse fatta spiegare bene cosa le avrebbero fatto? Lei si è accorta del mio stupore, e si è giustificata dicendo che era suo marito a sapere tutto, perché capisce bene l’italiano.

Aveva molta paura, e ho cercato di tranqillizzarla.

Ad un certo punto mi ha detto che quella mattina non era riuscita ad andare in bagno.
Si è toccata la pancia e ha esclamato: “Sai… Cacca!”
Non so come ho fatto a non ridere. Anche se, a dire il vero, l’argomento non mi fa tanto ridere. Io avevo il terrore di arrivare al pick up senza esserer riuscita a… Liberarmi prima.
Sapete, sveglia alle 4.30, niente colazione… E’ un po’ difficile riuscire ad andare in bagno!
Per fortuna, grazie alla privacy del mio bagno privato, ci ero riuscita. Ma non ho condiviso il mio successo con la ragazza dello Sri Lanka.

Dopo una pausa di silenzio, la ragazza mi guarda con aria sognante e fa: “Ma a te piacere bambini?”

Ho sgranato gli occhi. Ma, sai… Non è che mi piacciano poi tanto… Se arriva, un figlio, lo tengo… Ma mica lo sto cercando!

Secondo Marito avrei dovuto rispondere così.
Invece, ho allargato le braccia e esclamato: “Eh beh… Direi!” La ragazza si è messa a ridere.

Quando anche la ragazza dello Sri Lanka è stata chiamata in sla operatoria, io sono rimasta da sola nella sala d’attesa. Non sapevo cosa fare. Mi sono stesa su una barella, poi mi sono rialzata e sono andata un paio di volte in bagno per liberarmi dalla pipì nervosa.
Mi ero atteggiata tanto da veterana, da saggia, da esperta… E tremavo dalla paura!
Poi, finalmente, è arrivato il mio turno. Sono entrata in sala operatoria (non avevo più gli stivali ai piedi, ma i calzari medici, e una sexissima cuffia sulla testa.).
Sono rimasta a bocca aperta. Mi sembrava di essere protagonista di un episodio di Grey’s Anatomy. Vi giuro, davanti agli occhi avevo la sala operatoria più bella che abbia mai visto. C’erano un sacco di medici che si muovevano da tutte le parti…

Mi sono sdraiata, come al solito, a gambe aperte, e la dottoressa mi ha infilato lo speculum.
Primo problema. Ero rigida come un tronco. Più cercavo di rilassarmi, più peggioravo la situazione. M sentivo sempre più in ansia.
Ho pregato l’infermiera di darmi la mano. Gliel’ho stritolata.
La dottoressa mi ha fatto una lavanda (ancora?!). Io mi sono messa a piangere dall’agitazione. L’infermiera mi ha dovuto asciugare le lacrime. Sono stati tutti carinissimi ma immagino che, una volta che mi sono addormentata, abbiano fatto la ola tutti, dottori, anestestesista, biologa, infermiere.
Infine, finalmente, l’anestesista mi ha addormentata. E’ una sensazione piacevole, che ormai conosco bene. Prima di addormentarmi, ricordo di aver detto che non riuscivo a respirare bene. Mi hanno risposto che è normale. La vista si è annebbiata e poi… Il nulla.

Quando mi sono risvegliata, naturalmente la prima cosa che ho chiesto è stata: “Quanti?”
Mi hanno risposto che avevano recuperato tre ovociti, tutti e tre maturi e fecondabili. Io non ero molto in me, perciò ho ripetuto la domanda tre volte.
E poi… Mi sono riposata un po’ nella mia stanza, con una bella borsa di ghiaccio sulla pancia. Niente dolori, questa volta, per fortuna.
Io e Marito abbiamo parlato con la biologa, che ci ha spiegto che gli ovociti andavano bene e hanno provato a fecondarli tutti e tre. Il transfer è programmato per lunedì. Nel caso in cui ci siano dei problemi (ovvero, nel caso in cui non ci sia neppure un embrione da trasferire) ci hanno detto che ci avrebbero contattato oggi o domani.

Oggi ho cercato di distrarmi facendo le pulizie di casa. Ma avevo sempre il cellulare con me. Non ho ricevuto nessuna chiamata. Buon segno.
Se anche domani tutto tace, lunedì finalmente i miei bimbi, o bimbo, entreranno nel loro nido.

Dio, ti prego, fa che il telefono non squilli.
Marito dice di spegnerlo.
Non mi sembra una grande soluzione.

P.S. Oggi è l’otto marzo. Nonostante tutto, non me ne sono dimenticata.

Auguri a tutte le donne. A quelle che si vestono con tailleur e tacco a spillo e a quelle che indossano jeans e maglietta. A quelle che si sentono belle e a quelle che odiano la propria immagine allo specchio. A quelle hanno tanti bambini, e  a quelle che ad un figlio non ci pensano neanche lontanamente. A quelle che cercano un figlio disperatamente, a quelle che decidono di abortire. A quelle che fanno sesso, a quelle che fanno l’amore. A quelle che sognano il matrimonio, a quelle che preferiscono rimanere single. Auguri di un futuro migliore, un futuro in cui non saremo più divise tra “sante” e “puttane”, in cui potremo vestirci, amare e vivere come desideriamo. Senza essere giudicate, additate, emarginate. Auguri a tutte noi!
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Three is a magic number (la stimolazione della felicità)

uovaLe mie uova

Sono giorni strani, questi. Non belli, non brutti, ma solo… Strani.
I giorni in cui imparo a riconoscere i veri amici. Sono quelli che mi chiedono come sto, quelli che mi ascoltano fingendo interesse quando inizio a parlare di ovociti, provette, spermatozoi… Sono quelli che mi sopportano anche se sono insopportabile, perché sanno che, se mi sono trasformata in una iena (poco) ridens, è solo per colpa di un mix letale di ormoni, tensione e speranza.

Sono i giorni in cui ogni sera condivido un momento romanticomico con Marito, quando ci chiudiamo in una stanza non perché presi da un momento di irrefrenabile passione, ma per scoprirmi la pancia e lasciare che mi faccia una bella iniziezione di follitropina alfa…
Chi non ha vissuto sulla propria pelle la PMA non ha idea di quanto sia importante questo momento. Di quanto amore e speranza ci possano essere in un’iniezione sottocutanea.
Sono i giorni in cui ho scoperto di fidarmi di più della mano insicura e gentile di Marito che tiene una siringa come se fosse un oggetto strano e spaventoso, piuttosto di quella ferma e sicura di un medico.

La Chiesa è contraria alla fecondazione assistita perché dice che uomo e donna devono procreare con amore, unendo i propri corpi, e non ovociti e spermatozoi in una sterile provetta… Io dico che c’è molto più amore tra due persone che cercano un figlio così disperatamente, che non in un uomo e una donna che mettono al mondo un figlio dopo una sveltina, o per ricucire un rapporto ormai morto, o per chissà quale altro, stupido, motivo…

Questi sono i giorni dell’illusione, della speranza. I giorni in cui un attimo tutto sembra possibile, e quello successivo penso che tutto andrà male. Ma poi ricordo che ancora nulla è stato deciso. Che posso ancora sperare, sognare. E sognare è bellissimo.

Sono i giorni in cui a volte mi sfioro la pancia, come se sotto tutti questi strati di ciccia (ciccia non causata solo dagli ormoni) ci fosse già qualcosa… Un piccolo cuore pulsante… Una vita.
I giorni in cui mi vergogno anche solo a pensarlo, di poter essere presto madre. Ché l’idea mi sembra assurda. Ma neanche tanto, in fondo.

Sono i giorni in cui sono costretta a discutere le ferie con i colleghi, e ci rimango male quando mi chiedono se ho intenzione di prendere dei giorni sotto Natale… Perché io, a Natale, spero di avere la mente ben lontana dalle noiose pratiche d’ufficio, e di essere a casa a coccolare il mio cucciolo.

Sono i giorni in cui vorrei che il mondo mi ritenesse già madre, come un po’ faccio io, anche se so che non ha senso. Se non per me.

Questi sono i giorni della stimolazione della speranza, come li chiamo io. Un termine un po’ più romantico di stimolazione ovarica, che dite?

Questi sono giorni frenetici, in cui c’è poco tempo per fermarsi a pensare ma, quando ci riesco, i pensieri belli e quelli brutti si sovrappongono, facendomi impazzire.

Lunedì scorso ho iniziato la terapia con il mio solito, amato-odiato Gonal F, 75 unità, poi 100, e da ieri 125. Lunedì ho fatto la prima iniziezione di Cetrotide, oggi la seconda. L’ago è molto più grosso rispetto a quello che uso per il Gonal. Domani dovrò fare la terza iniezione, ho già paura.
Un giorno sì e uno no devo alzarmi alle 5.30 per andare a Milano a fare i monitoraggi. Sono stanca morta, dato che il viaggio in macchina dura molto più della visita e che, una volta rientrata a casa, dopo essermi data una sistemata (= ripulirmi per togliere il gel laggiù), devo correre al lavoro, per fare in modo di usare il minor numero di ore di permesso possibile.

Ma affronto volentieri tutto questo, se servirà a portarmi da lui.

Ieri, dopo l’ecografia, ho scoperto il mio numero.
Come, quale numero? Il numero della speranza. Il numero magico. Insomma, il numero di follicoli ormai pronti. Sono tre.

Tre, il numero perfetto.
Tre, come la Trinità.
Tre, come il numero di bimbi che vorrei avere.
Tre, come 3Juno, l’asteroide battezzato così in onore alla dea Giunone, divinità del matrimonio, del parto e protettrice degli animali.
Tre, che nella Smorfia è il numero della gatta.

Ho cercato tanti motivi per amare questo numero (e Wikipedia mi ha dato una mano), per convincermi che sia un numero fortunato, ma…
Quando la dottoressa mi ha detto che ho tre follicoli, mi sono sentita morire.

In realtà i follicoli sarebbero molti di più, ma quelli che raggiungeranno le dimensioni giuste per il pick up sono, appunto, soltanto tre.

Tre follicoli. E inoltre bisogna tener conto che in ogni follicolo ci può essere al massimo un ovocita, ma anche nessuno. Si saprà solo al pick up. Considerando che gli spermini di Marito fanno schifo e che la fecondazione non è mai del 100%… Se riusciamo ad ottenere uno/due embrioni siamo già fortunati.

E io che speravo di poter affrontare questo tentativo con più tranquillità. Di riuscire a produrre tanti embrioni, magari di congelarne qualcuno… Così, nel caso in cui fosse andata male di nuovo, avrei potuto riprovare subito con un bel criotransfer…

La dottoressa non capisce la mia agitazione, secondo lei va tutto bene. Per me tre follicoli in una donna di 27 anni è un risultato pessimo.

Ma ormai non posso far altro che sopportare l’attesa. Non è facile.

Domani la dottoressa mi darà la conferma, ma il pick up dovrebbe essere questo venerdì. E, quindi, il transfer il lunedì successivo. Considerando che il centro PMA chiude di sabato e domenica, non potrò neppure chiamare per chiedere se si sono formati degli embrioni oppure no. Vivrò un week end da incubo.

Lo so, mi sto fasciando la testa prima di essermela rotta. Ma io sono fatta così.
Lo so, devo essere ottimista, e bla bla bla.

La mia preoccupazione ha spinto Marito a mettersi alla ricerca di informazioni su internet… E così anche lui è entrato nel vortice di AlFemmile, CUB, e chi più ne ha più ne metta…
Ma questo merita un post a parte. Ecco, solo immaginare Marito che legge i post di donne invasate sui forum mi fa sorridere 🙂

Restate sintonizzate, suppongo che avrò molto di cui parlare nei prossimi giorni 😉

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Il pick up 2 – Chi l’ha detto che il numero 13 porta male?

Premetto che quella che sta scrivendo non è Eva, la vostra blogger prediletta (?), ma il suo fantasma. Dopo tutte le emozioni di oggi, una notte piena di incubi, un’anestesia generale e un pisolino pomeridiano di tre ore circa, e il bicchierone di prosecco che mi sto scolando in questo momento dopo due settimane passate a ubriacarmi di ormoni e succhi di frutta… Direi che sono più di là che di qua. Ma, nonostante questo, avevo voglia di raccontarvi quello che è successo oggi. Un altro piccolo ma importante passo è stato fatto. Un piccolo passo per Eva, un grande passo per la PMA.

Sveglia ore 6.15 dopo una notte passata a sognare ovociti e spermatozoi che si rincorrevano in una provetta (e non ho neanche mangiato pesante ieri, eh). A differenza dell’altra volta, non mi sono lasciata prendere dal panico e non ho litigato di proposito con Marito per sfogare la mia ansia, come spesso faccio (poveretto). L’ho persino lasciato dormire a letto senza cacciarlo sul divano, pensate un po’ quanto sono buona.

Arrivata in clinica alle 8, mi hanno fatto sistemare nella mia camera e ho fatto la conoscenza dell’anestesista, un altro medico rispetto alla scorsa volta, un uomo sui sessant’anni simpatico e che mi ha fatto ridere facendo qualche battuta. Mi sentivo tranquilla, dentro di me continuavo a ripetermi “Dai, Eva, dai che ce la fai, questa volta non urlare e non farti compatire, in fondo ti devono fare solo un paio di punture!”
Ah, i buoni propositi… Nella nostra mente suonano sempre molto bene, vero? Peccato che poi, davanti alla realtà, le cose siano ben diverse…! Non appena il medico mi ha preso il braccio per inserirmi l’ago, ho cominciato a dare di matto… Purtroppo le mie vene non sono molto visibili (infatti anche quando vado a donare il sangue è una tragedia), perciò me l’ha dovuto inserire nel polso, dove fa un male atroce (ok, atroce forse è esagerato, però fa abbastanza male!). Ho stretto talmente tanto la mano di Marito che, quasi quasi, ha urlato più lui di me dal dolore.

Poi è stata la volta della puntura di antibiotico sul sedere… L’infermiera, la stessa dell’altra volta, per fortuna è abbastanza comprensiva e paziente, perciò non si è lamentata davanti ai miei capricci… E non ha fiatato mentre sfoggiavo il mio repertorio di parolacce. Oh, non so che farci, le punture mi fanno paura (tranne quelle sulla pancia, sarà perché ormai mi sono abituata?).

Verso le dieci mi hanno fatta entrare in sala operatoria, ma prima mi hanno fatto indossare la cuffia e i copri piedi in plastica… I medici si sono dovuti sorbire le mie solite battutine sul favoloso e sexy outfit.
E poi, via!, a gambe all’aria sul lettino… Ormai non mi vergogno più di nulla, devo ammettere. Ho raccontato al medico che la prima volta avevo cercato di resistere all’anestesia… Lui si è messo a ridere… Poi mi ha iniettato il solito liquido color latte e… Stavolta non ho avuto neppure bisogno di contare fino a dieci, mi sono addormentata subito come una bimba.

Da quello che mi hanno detto il pick up è durato circa una ventina di minuti. Mi sono svegliata sentendo qualcuno (un medico? L’infermiera? O Marito? Non lo so!) che continuava a ripetere il numero “tredici”… Io non capivo se stavo ancora sognando o se ero tornata alla realtà…
“Tredici? Tredici che?”
“Tredici ovociti!”
Ho sorriso come un ebete… Dopo pochi minuti, rientrata in camera, mi sono girata verso la persona al mio fianco (di nuovo, non ricordo chi fosse) e ho chiesto:
“Allora? Quanti?”
“Tredici… Tredici ovociti!”
Di nuovo lo stesso sorriso idiota…
Passa ancora qualche minuto (ma potevano anche essere secondi, chi lo sa) e comincio a capire di essere tornata alla realtà… Al che mi giro e chiedo a Marito (questa volta sono sicura che fosse lui!): “Ma… Allora… Quanti??” (dentro di me qualcosa mi diceva che lo sapevo già, ma non ne ero totalmente convinta!)
“Tredici! Te l’abbiamo detto già mille volte!”
“Ma davvero??”
“Sì, sì… Tredici!”
Sorriso ebete…
“Ma è meraviglioso!!”

Quando mi sono ripresa del tutto (sì, insomma, quando ho ricordato chi ero, cosa ci facevo lì ed ero riuscita a memorizzare il fantastico numero tredici), la biologa è venuta a parlarci. Sembrava molto soddisfatta della situazione, dato che la prima volta avevo prodotto solo tre miseri ovociti. Purtroppo gli spermini di Marito sono calati ancora… Erano solo centomila questa volta (ammazza che miseria, e gli altri che fine han fatto, il padron Pene li ha messi in cassa integrazione??), ma la dottoressa spera di riuscire a trovarne tredici abbastanza vitali e mobili per riuscire a fecondare i miei ovetti. Certo che ci deve riuscire, altrimenti le stacco la testa a morsi.

Visto che questa volta la situazione è decisamente migliore, probabilmente riusciremo a ottenere diversi embrioni e potremo anche, forse, congelarne qualcuno per un eventuale futuro tentativo. La percentuale di fecondazione non è mai del 100%, ma del 60% o 80% (dipende dalla qualità della materia prima), perciò prevedo che avremo dai 7 ai 10 embrioni… Un’enormità! Se la situazione dovesse essere questa, la biologa ha detto che faremo il transfer non il terzo giorno (come l’altra volta), ma il quinto, quando gli embrioni raggiungo lo stadio di blastocisti. La dottoressa mi ha spiegato che solo gli embrioni migliori e più forti resistono in provetta fino al quinto giorno, per questo la prima volta me li hanno trasferiti subito al terzo giorno. Visto che ne erano stati prodotti solo due, se avessero aspettato il quinto giorno c’era il rischio che non ci fosse nulla da trasferire… Invece ora, con tutta questa abbondanza, potremmo persino permetterci di aspettare! Mentre la biologa ci spiegava tutto quanto, nella mia testa sentivo la musichetta di “Eye of the Tiger” e mi immaginavo degli embrioni in stile Rocky che combattono uno contro l’altro per decidere chi è il più forte… (effetto dell’anestesia…).

Per fortuna questa volta non ho patito un gran mal di pancia, anche perché subito dopo il pick up mi sono drogata con il Moment che mi ero portata (volevo evitare l’ennesima puntura per farmi somministare l’antidolorifico). Poi mi è venuta una gran fame, verso le undici Marito mi ha portato un bel cappuccino e un cornetto al cioccolato (slurp) e quando mi hanno dimessa, verso le 13, siamo andati a festeggiare i nostri ovetti con una bella pizza.
Una volta tornata a casa mi sono buttata sul letto pensando “vediamo se riesco a dormire un po’…”
Mi sono risvegliata tre ore dopo soltanto perché uno dei miei cagnoloni mi ha leccato la faccia…

Sono a casa dal lavoro almeno fino al 12 novembre. Non so come farò a sopportare l’attesa… Venerdì devo chiamare la biologa per sapere quanti embrioni sono riusciti ad ottenere (e, di conseguenza, quando faremo il transfer)… E già questa mi sembra un’attesa infinita! Dovrò attrezzarmi con tanti libri e buoni film per sopportare le due settimane post transfer!

E anche voi, ovviamente… Preparatevi a sopportarmi! 😉