Pubblicato in: La mia storia

Tra sette giorni…

La mia faccia mentre aspetto l’esito delle beta.

 

Oggi 7 pt.

Per chi ancora non mastica queste abbreviazioni internettiane, significa “7° giorno post-transfer”. (Io ho impiegato settimane intere a capire queste cavolo di abbreviazioni… Pt, pm, po, e chi più ne ha più ne metta…).

Questo significa che sono a metà della mia attesa. Tra altri sette giorni potrò fare l’esame delle beta e scoprire se sono incinta oppure no. Se i miei embrioncini hanno attecchito oppure se – puff! – se ne sono andati, così, senza dire nulla.

L’attesa è atroce.

Ho passato i primi tre giorni a dormire 20 ore su 24, proprio io che sono una donna così attiva e quando sono a casa dal lavoro, anche se sto poco bene, colgo sempre l’occasione per fare qualcosa di utile. Avevo paura a muovermi anche solo di un centimetro, nonostante sapessi che le mie erano solo stupide paranoie. Mi sentivo stanca, stanchissima, sia fisicamente che mentalmente. E quando mi svegliavo aprivo il frigo e mangiavo qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani, per poi ricominciare a dormire.

Dopo tre giorni passati così mi sentivo le gambe a pezzi, ed ero psicologicamente sconvolta. Mi sentivo trasformata, una specie di ameba.

Piano piano ho ritrovato le energie, e anche la voglia di fare. Ovviamente non posso fare grandi sforzi, ed è Marito a fare la maggior parte dei lavori di casa, però ho ritrovato la forza per mettere un po’ in ordine qua e là, per guardarmi dei bei film che non ho mai il tempo di guardare, per finire di scrivere il mio romanzo, per leggere senza addormentarmi con il libro in mano come succede in ogni sera “normale”, per stare in giardino con i cani a prendere il sole, per fare qualche collage di foto che rimandavo da troppo tempo…

Lunedì è il mio compleanno e ho invitato un po’ di amici a casa per una cena. Saremo in dodici, non sono abituata a cucinare per tante persone, perciò ho un bel po’ di cose da organizzare!

Insomma, ho trovato il modo per ingannare l’attesa.

Anche se il pensiero, quel pensiero, è sempre lì.

E’ da giorni che prego Marito di andarmi a comprare un test di gravidanza, ma lui si rifiuta, dice che è troppo presto. Per una volta ha ragione lui. Su internet ho letto di diverse ragazze che hanno fatto il test di gravidanza troppo presto e hanno avuto un risultato negativo… Mentre invece le beta risultavano positive. E’ inutile che mi preoccupi per niente.

Ho passato mesi a sopportare analisi di ogni tipo, punture, paure, pianti… Ma il momento più difficile è questo. L’attesa.

I primi due giorni sentivo qualche dolorino alle ovaie. Ora non ho più alcun sintomo, se non il seno gonfissimo, che però potrebbe anche essere un campanello d’allarme dell’arrivo delle Malefiche Rosse (ecco, quando penso a loro la mia faccia si deforma tipo “L’urlo” di Munch), oppure un semplice effetto collaterale dato dal progesterone che assumo ogni giorno come terapia post transfer.

Non ho sintomi, ma non è questo a preoccuparmi di più.

Il problema è che io NON mi sento incinta.

So che è un discorso stupido. So che durante il primo periodo della gravidanza non si sente nulla. Lo dicono in tante donne. Eppure io ho sempre creduto che, una volta incinta, l’avrei sentito. Non a causa dei mal di pancia o di altri sintomi fisici, ma… Ho sempre pensato che l’avrei sentito nel mio cuore.

Ed io non sento nulla. Se non un grande vuoto.

Marito dice che, anche se fosse così, non devo farne un dramma. Che ci riproveremo. Anche le mie amiche dicono lo stesso. “Tanto puoi riprovare”… oppure: “Beh, dai, almeno sei giovane, pensa se avessi quarant’anni! Ne hai di tempo!”

Certo. Sulla carta hanno tutte le ragioni del mondo.

Ma cosa ne sanno, loro?

Sanno cosa significa desiderare tanto qualcosa (e non un viaggio o una borsa firmata, ma un FIGLIO) e non sapere quanto dovrai aspettare per averlo? Sanno cosa vuol dire farsi fare una puntura ogni sera, sentirsi le ovaie gonfie e avere voglia di ridere e un secondo dopo di piangere? Sanno cosa vuol dire sopportare tutto questo per ottenere quello che le altre coppie, le coppie normali, ottengono facendo l’amore, magari dopo una cena romantica a lume di candela? Sanno cosa vuol dire vivere una vita IN SOSPESO?

Non ne sanno niente. Beati loro.

Anch’io un tempo non ne sapevo niente. Ora so tutto. E fa male. Cazzo, se fa male.

Voglio solo sapere la verità, per poter gioire, o per poter piangere un po’ e poi trovare la forza per ripartire.

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La scoperta della verità

Ho sempre avuto un forte istinto materno. Quando ero bambina amavo fare da babysitter ai figli delle famiglie bisognose che mia madre, volontaria in parrocchia, seguiva.
Da adolescente parlavo spesso con la mia amica A. di quanto sarebbe stato bello diventare madre.
Ricordo in particolare una conversazione che abbiamo avuto quando avevamo sedici anni ed eravamo in vacanza in Sardegna. Era sera e stavamo passeggiando sul lungomare. Ad un tratto iniziammo a parlare dei figli che avremmo avuto, un giorno. 
Entrambe desideravamo una femminuccia, dato che in quel periodo dell’adolescenza, com’è giusto che sia, odiavamo i maschi, così bugiardi e infingardi.
Rammento quell’episodio come se fosse accaduto ieri. Credo d’aver capito proprio quella sera quanto fosse forte il mio desiderio di diventare madre. A quel tempo, da brava adolescente pessimista e priva di autostima, credevo che il mio sogno fosse impossibile, perché non avrei mai trovato un uomo con cui realizzarlo (e A., che ha dovuto sopportare i miei lamenti e piagnistei, ne sa qualcosa).

Quando ho incontrato Marito, però, la mia vita ha preso una piega diversa. Ero convinta di poter essere finalmente, pienamente felice. Abbiamo aspettato di comprare una casa e di trovare entrambi un lavoro fisso e poi, ancora prima di sposarci, abbiamo deciso di metterci all’opera per realizzare il nostro desiderio comune.
Dato che il pessimismo della mia giovinezza era ormai scomparso, non avrei mai potuto immaginare che il nostro sogno sarebbe stato tanto difficile da realizzare.
Come potevo sapere che uno di noi avesse dei problemi? Perché proprio noi?
Dopo un anno e mezzo di tentativi falliti (e dopo un matrimonio), a dicembre dell’anno scorso ho chiesto consiglio alla mia ginecologa. Quando ho detto a mio marito che la dottoressa aveva prescritto le analisi ormonali per me e uno spermiogramma per lui, mi ha guardato come se fossi impazzita.
“Il mio sperma sta benissimo!” ha detto, visibilmente offeso.
“Certo, certo…” ho risposto io, alzando gli occhi al cielo. “Ma un controllino non fa male, non credi?” Marito non era molto convinto, ma alla fine, dopo mille insistenze, ha accettato di sottoporsi a questa immensa tortura. Anzi, a dire il vero dopo averci riflettuto sembrava quasi contento.
“Quindi questo vuol dire che per una volta ho il tuo permesso per guardare i siti porno?” ha esclamato, tutto felice.
“…Se proprio devi…” Marito ha raccolto il campione in casa.
Io l’ho aspettato in macchina, con il motore acceso, per scaldare l’abitacolo. Era una freddissima mattina di dicembre, non volevo che gli spermini si congelassero! Dopo una decina di minuti Marito è uscito, con un faccia stanca, manco avesse appena corso la maratona… È entrato in macchina e mi ha consegnato il prezioso contenitore, che io ho avvolto tra le mie braccia, come se fosse un bambino.
“Beh? Soddisfatto? Ti sei guardato un bel video porno?” ho chiesto, un po’ ingelosita, effettivamente.
“No, ho usato l’immaginazione…”
“E a che hai pensato?”
“Boh, a delle donne nude, così…”
Ora, se noi esponenti del gentil sesso fossimo dotate di un membro come i maschietti, probabilmente per raggiungere autonomamente il piacere ci impegneremmo ad immaginare nella nostra complicata mente l’intricata trama di un film erotico… Ci metteremmo una buona mezz’ora soltanto per delineare perfettamente i corpi dei personaggi, per inventare i dialoghi più eccitanti… Invece lui, cinque minuti e – bum! – aveva già fatto. E, nonostante non avesse neppure minimamente sforzato la fantasia, pareva fisicamente distrutto.
Gli uomini sono veramente strani.
Comunque, i risultati del primo spermiogramma erano disastrosi. Pochissimi spermini, talmente pochi che il laboratorio non si era neppure curato di misurarne velocità e forma.
Né io né Marito eravamo riusciti ad interpretare i risultati delle analisi, ma quando li ho mostrati alla ginecologa, la sua espressione ha fugato ogni mio dubbio.
Le mie analisi ormonali andavano bene, ma ha detto che lo spermiogramma era il più brutto che avesse mai visto (grazie, eh), e che la nostra unica possibilità era la fecondazione assistita.
Era comunque abbastanza ottimista che, grazie alla scienza, ce l’avremmo fatta. Il suo ottimismo mi ha infuso speranza, ma, naturalmente, ero ugualmente devastata.
Come affrontare una notizia del genere? Davanti ad un dramma simile, marito e moglie dovrebbero rimanere uniti, sostenersi a vicenda, non colpevolizzare nessuno, lottare insieme per il sogno comune… Ed è quello che noi stiamo facendo, ora.
Il primo periodo dopo questa terribile scoperta, però, non è stato particolarmente positivo per noi.

Prestate particolare attenzione al mio racconto, poiché nelle prossime righe scoprirete tutto quello che NON dovete fare quando venite a sapere che vostro marito/moglie ha un problema di sterilità.
Dopo aver sentito il parere della ginecologa sono tornata a casa in lacrime. Marito era molto preoccupato, e mi ha chiesto cos’avessi. Ancora non poteva sapere quanto fosse grave la situazione.
Senza smettere di piangere ho sbattuto il foglio delle analisi sul tavolo e ho urlato: “Avevo ragione! Noi non possiamo avere figli! Sei tu!”
Marito non sapeva cosa dire. Non aveva ben capito cosa stessi dicendo. Mi sarei meritata un bel ceffone, ma lui è troppo buono e ha cercato solo di consolarmi. In realtà non volevo colpevolizzarlo, anche se così sembrava.
Ovviamente lui non ha scelto di avere questo problema! E se fossi io ad avere un problema del genere, non potrei sopportare di essere accusata per questo.
In verità ero arrabbiata perché da diversi mesi, ormai, mi ero convinta che uno di noi avesse un problema, perché non era possibile che il nostro bambino impiegasse così tanto tempo ad arrivare… Marito, però, mi aveva fatto patire prima di accettare di sottoporsi a delle analisi. E, come spesso accade, il mio intuito aveva ragione.
Insomma, ero arrabbiata perché Marito non mi aveva dato retta prima.
Un mese dopo, Marito ha ripetuto lo spermiogramma, per confermare, oppure stravolgere, il primo risultato. Entrambi, ovviamente, speravamo che il primo esame fosse andato così male perché durante il trasporto il prezioso liquido era stato influenzato dal freddo, nonostante le mille precauzioni…
La seconda volta Marito ha fatto meno storie, fortunatamente. Il secondo spermiogramma l’ha effettuato presso un centro privato di fecondazione assistita, direttamente sul posto. Marito era convinto che il centro privato avesse a disposizione una sala apposita per la “raccolta campione”, dotato persino di televisione per guardare dei film a luci rosse per velocizzare il tutto… (In effetti, questo gli aveva riferito un amico che aveva fatto lo spermiogramma presso lo stesso centro).
Forse siamo veramente sfigati, perché Marito, invece, ha dovuto sostenere l’ardua impresa dentro ad un angusto bagno unisex… Dove per ben due volte gli hanno bussato alla porta, interrompendo bruscamente le sue visioni di donnine svestite… Non potete immaginare quanto ho riso quando me l’ha raccontato!
Noi donne siamo solite sostenere così tanti esami imbarazzanti (e spesso dolorosi), i maschietti non capiscono che una “disavventura” del genere non è niente!

Purtroppo il secondo spermiogramma di Marito ha evidenziato la stessa identica situazione riportata dal primo esame. Anzi, addirittura peggiore, dato che il secondo laboratorio ha effettuato indagini più approfondite. Gli spermini sono pochissimi e tutti malformi (100% di forme anomale).
La ginecologa, una volta visionato il risultato, ha confermato la diagnosi precedente: la fecondazione assistita è la nostra unica speranza. Da quel giorno io e Marito ogni sera abbiamo iniziato, una volta tornati a casa dal lavoro, a parlare di sperma, spermatozoi, fecondazione assistita, bambini… Per lungo tempo le nostre conversazioni hanno ruotato soltanto attorno all’argomento bimbo (conversazioni farcite da litigate e pianti) finché non abbiamo capito che questo pensiero fisso ci stava rovinando.
Non passa giorno senza che io pensi al nostro bambino, quel bambino che non so quando finalmente potrò abbracciare… Ho imparato, però, che la vita deve comunque  andare avanti.
Il coraggio è la prima cosa che insegnerò al mio bambino, e se io stessa non riesco ad essere coraggiosa, come posso pretendere che lui lo sia?